La memoria della deportazione

La mattina del 23 febbraio 1944 migliaia di soldati sovietici accerchiarono le città e i villaggi ceceni e in poche ore deportarono l’intera popolazione, circa 500mila persone, trasferite forzosamente in Asia centrale. Secondo un piano meticolosamente studiato la deportazioni colpì anche i ceceni che si trovavano al di fuori della RSSA Ceceno-Ingiuscia. Molte persone durante il viaggio, che durò sei settimane, morirono di fame e di freddo. Arrivati in Asia centrale, ovviamente, non c’era nulla ad aspettarli: mancavano abitazioni, materiale da costruzione, cibo, vestiti. Furono insediati principalmente in Kazakhstan e in Kirgizistan, controllati a vista e limitati nelle possibilità di spostamento. Solo dopo la morte di Stalin le cose cambiarono e nel 1956 il popolo ceceno fu “perdonato” di una colpa che non aveva commesso. I ceceni cominciarono a tornare nel Caucaso dove, però, molte cose erano cambiate in loro assenza. Terre e case occupate da altri, in genere russi che Mosca aveva spinto a insediarsi nel territorio. I cimiteri distrutti, le lapidi usati per la pavimentazione delle strade. Non mancarono tensioni e scontri ma anche quando si stabilì una apparente normalità, il ricordo della deportazione rimase vivo nella memoria dei ceceni anche se, ufficialmente, era vietato parlarne. Addirittura gli storici di regime presero a parlare di “volontaria annessione” della Cecenia alla Russia. Fu solo con la perestrojka che, complice la libertà di espressione, si diffusero circoli in cui si cominciò a ricordare apertamente il trauma della deportazione. Presto il tema della deportazione entrò nel dibattito politico e, nel 1990, venne persino istituita una “giornata della memoria e del dolore”. La riscoperta della deportazione in termini politici, poetici e patetici fu presto utilizzata come strumento di consenso dalle nuove classi dirigenti locali.

In quegli anni emerse il primo protagonista della nostra storia, il primo nome da ricordare, quello di Dzhokhar Dudaev. Dudaev nacque nel febbraio del 1944, durante la deportazione forzata della sua famiglia verso il Kazahstan, Dopo il ritorno in Cecenia studiò e si laureò in elettrotecnica, per poi darsi alla carriera militare. Si dice che, per non subire discriminazioni, si spacciasse per osseto. Dopo aver partecipato all’invasione sovietica dell’Afghanistan, divenne generale dell’aeronautica e assunse il comando della base di Tartu, in Estonia. E’ lì che lo coglie il vento della storia. Nel maggio del 1990, Dudaev si rende conto che il disfacimento dell’URSS è ormai irreversibile e decide di fare ritorno a Groznyj, la capitale della Cecenia, per dedicarsi alla politica locale. E’ un personaggio eminente, un generale dell’aeronautica, e non fatica a inserirsi nelle fila della nascente opposizione al regime sovietico che, in Cecenia come in tutta l’URSS, si andava formando grazie anche alla glasnost (trasparenza) avviata da Gorbacev che mosse molti intellettuali e notabili verso una riscoperta in senso nazionale della storia locale. Anche in Cecenia si formò un comitato che raggruppava l’opposizione detto Congresso della Nazione Cecena, il quale invocava la sovranità della Cecenia come Repubblica dell’Unione Sovietica. Si chiedeva, insomma, che la Cecenia fosse non più una semplice repubblica autonoma all’interno della repubblica federativa russa, ma “salisse di rango”, e senza l’Inguscezia. L’indipendenza non era ancora una richiesta all’ordine del giorno. Sarà proprio Dudaev a capire che la storia stava girando pagina e far leva sul sentimento nazionale ceceno e sulla memoria della deportazione per arrivare all’indipendenza del paese.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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