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ALBANIA: Il dopo elezioni, tutti vincenti, tutti perdenti

Mutuando la battuta di una nota campagna pubblicitaria, si potrebbe dire che a Edi Rama, primo ministro albanese socialista, in carica dal 2013, “piace vincere facile”. Questo perché alle elezioni amministrative di domenica scorsa, nei 61 comuni dove si è votato, i candidati del Partito Socialista (PS) hanno vinto a mani basse. Non si può dire che abbiano vinto sbaragliando la concorrenza, tuttavia, perché in oltre metà dei casi, il candidato socialista era l’unico in lizza e nelle rimanenti municipalità il contendente apparteneva a liste largamente minoritarie e poco rappresentative.

Astensione protagonista: una vittoria per l’opposizione?

Questa situazione, che ricordava vagamente (ma nemmeno troppo), i tempi in cui al governo c’era il partito unico, quello comunista di Enver Hoxha, e il muro di Berlino era ancora ben saldo al suo posto, si è venuta a creare, come noto, in conseguenza del boicottaggio promosso e portato fino a compimento dalle opposizioni. Lulzim Basha, leader del Partito Democratico (PD, compagine di centro destra) e Monika Kryemadhi, capo del Movimento Socialista per l’Integrazione (LSI), nonché moglie del presidente della Repubblica Ilir Meta, entrambi all’opposizione, non hanno infatti anteposto alcun candidato: questo, all’apice di un periodo di proteste in atto da mesi in tutto il paese, non privo di manifestazioni violente e disordini di piazza.

Stanti così le cose, la vera cartina di tornasole per capire come effettivamente siano andate le elezioni, chi le abbia vinte e chi perse, è quella relativa al dato dell’affluenza: e ciò, anche, in ragione del fatto che Basha, alla vigilia del voto, aveva esortato i cittadini albanesi a disertare le urne restandosene a casa. E il dato dell’affluenza è, effettivamente, molto basso, poco superiore al 20%: una percentuale che appare in tutto il suo significato se raffrontata non solo al valore di affluenza media che in Albania è pari al 50% circa (elezioni nazionali), ma soprattutto, se comparato al risultato elettorale del Partito Socialista negli ultimi due decenni.

Dal 2001 il Partito Socialista è stabilmente oltre il 40% e alle ultime elezioni politiche, quelle del 2017, aveva addirittura sfiorato la maggioranza assoluta assicurandosi oltre il 48% dei consensi. Al netto del fatto che le elezioni politiche nazionali non sono quelle amministrative e che il boicottaggio delle opposizioni non ha certo incentivato la corsa ai seggi elettorali nemmeno dei fedelissimi di Rama, il dato politico resta, ed è, piuttosto impressionante. Ne è ben consapevole Rama stesso che, infatti, nelle dichiarazioni a caldo post-voto ha immediatamente dato disponibilità ad aprire un confronto con le opposizioni con toni concilianti che, in Albania, non si vedevano da un bel pezzo (“se l’opposizione vuole la pace, allora l’avrà”). E ne sono ben consapevoli i leader delle opposizioni: la Kryemadhi, in particolare, ha parlato di “tentativo fallito di istituire uno stato dittatoriale” dicendosi certa che “l’85% degli albanesi è nostro alleato”.

L’auto-esclusione: un favore alla maggioranza?

Vista da fuori, tuttavia, la presunta vittoria delle opposizioni appare in tutta evidenza come quella, epica, di Pirro. A riassumere perfettamente questo sentimento, per non dire questa certezza, è Jozefina Topalli, ex presidente del parlamento albanese ed esponente del Partito Democratico, che in un post pubblicato sulla propria pagina Facebook, definisce come “tradimento” dei propri sostenitori la linea dettata da Basha, annotando amaramente che “il PD non ha più alcun potere” e che, in pratica, “non esiste più”.

Difficile dare torto alla Topalli, difficile non vedere che il duo Basha- Kryemadhi si sia, nei fatti, infilato in un cul de sac: se l’atteggiamento “aventiniano” non dovesse cambiare, infatti, né il PD, né l’LSI potranno essere parte attiva nelle predisposizione di quelle riforme di cui l’Albania si dovrà dotare nei prossimi mesi, quella della giustizia in primis. Né, tanto meno, potranno giocare alcun ruolo nel definire la composizione di alcuni organi statali di fondamentale importanza, come la corte costituzionale, ad esempio, congelata da mesi per mancanza di giudici.

Un futuro di cooperazione?

L’auspicio, corroborato dall’approccio inusualmente accomodante di Rama, è che queste elezioni amministrative abbiano rappresentato il fondo del barile di una crisi politico-istituzionale senza precedenti nella storia recente albanese. Crisi ulteriormente fomentata dall’atteggiamento del presidente della Repubblica che, abbandonato il proprio ruolo super-partes, è diventato parte attiva della disputa politica, arrivando ad evocare presunte (e non comprovate) teorie cospirative per destabilizzare l’Albania: il suo tentativo, poi abortito, di posporre, se non addirittura annullare, le elezioni del 30 giugno, poteva apparire come un endorsment politico all’azione delle opposizioni se non, addirittura, giustificazionista dell’atteggiamento ostruzionistico e persino violento da loro promosso.

Se effettivamente si sia toccato il fondo potremmo dirlo solo nelle settimane e nei mesi prossimi, così come servirà tempo per capire se ci troviamo di fronte ad una possibile collaborazione tra maggioranza e opposizione o, magari, ad un governo di unità nazionale. Fa ben sperare, in questa direzione, il fatto che la giornata di domenica sia passata senza i temutissimi scontri, in un clima tutto sommato sereno, cosa nient’affatto scontata alla vigilia. La tenuta democratica sembra esserci stata, la crisi istituzionale scongiurata. Tira un sospiro di sollievo l’Europa (e non solo) che, ad ottobre, dovrà riaprire il fascicolo Albania e decidere, una buona volta, cosa fare.

Chi è Pietro Aleotti

Milanese per caso, errabondo per natura, è attualmente basato in Kazakhstan. Svariati articoli su temi ambientali, pubblicati in tutto il mondo. Collabora con East Journal da Ottobre 2018 per la redazione Balcani ma di Balcani ha scritto anche per Limes, l’Espresso e Left. E’ anche autore per il teatro: il suo monologo “Bosnia e il rinoceronte di pezza” ha vinto il premio l’Edizione 2018 ed è arrivato secondo alla XVI edizione del Premio Letterario Internazionale Lago Gerundo. Nel 2019 il suo racconto "La colazione di Alima" è stato finalista e menzione speciale al "Premio Internazionale Quasimodo". Nel 2021 il racconto "Resta, Alima - il racconto di un anno" è stato menzione di merito al Premio Internazionale Michelangelo Buonarroti.

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