Come ogni anno, il 10 febbraio si parla di foibe. Un tema assai controverso dove retorica nazionalistica e patriottarda coprono con un velo ciò che è stato. L’istituzione del Giorno del Ricordo, promossa dalle forze reazionarie e post-fasciste dell’allora governo Berlusconi, nasce con il duplice intento di trasformare i carnefici in vittime, glorificando l’italianità – fascista, all’epoca dei fatti – e reiterando il mito della barbarie slava; e di presentare il comunismo come ideologia criminale di cui, a 70 anni di distanza, la sinistra italiana sarebbe erede e quindi complice.
Il Giorno del Ricordo, lungi dal voler indagare il passato, è tutto proteso sul presente: si tratta di una ricorrenza strumentale, come ebbe a dire lo storico Angelo Del Boca, che ribadisce il mito degli “italiani brava gente” obliterando le cause che portarono alla tragedia della foibe. E le cause stanno largamente nella brutale repressione italiana sui territori jugoslavi occupati durante la Seconda guerra mondiale. Storici come Franco Cardini e Giovanni De Luna hanno sottolineato come il Giorno del Ricordo sia utilizzato, nel dibattito politico e pubblico, in contrapposizione alla Giornata della Memoria come se si dovesse procedere a un “riequilibrio” della memoria del morti per mano nazifascista attraverso il ricordo dei massacrati nelle voragine carsiche da parte dei partigiani comunisti sloveno-croati.
La scarsa attitudine italica ad assumersi le proprie responsabilità storiche, unita a retoriche che dipingono gli italiani unicamente come vittime – persino innocenti – delle atrocità compiute durante la Seconda guerra mondiale, ha esito in un collettivo processo di auto-assoluzione favorito dalle autorità politiche le quali, da un lato, sono timide nell’affermare le responsabilità italiane all’origine dei fatti, mentre – dall’altra – adoperano questa ricorrenza come strumento di consenso e propaganda, in difesa di un’italianità perennemente minacciata dall’altro etnicamente inteso. La chiave di lettura etnica, messa in discussione da molti storici, serve ai discorsi nazionalisti (o anti-nazionalisti) e va per la maggiore, specie sotto elezioni, anche perché la chiave di lettura politica – assai più concreta – imbarazza tanto la destra post-fascista quanto la sinistra post-comunista.
Negli articoli che seguono si troveranno tracce del dibattito storico in corso, si darà contezza delle cause politiche della tragedia delle foibe (e non etniche), si faranno cenni al rapporto della commissione italo-slovena che, superando le barriere nazionali, aveva finalmente ricostruito una verità storica sulle foibe, ma i cui risultati sono stati accantonati poiché non confermavano le attese di assoluzione delle élite politiche nazionali. L’ ultimo articolo tra quelli proposti si sofferma sulla necessità della riconciliazione di fronte allo sterile esercizio dei “due minuti d’odio” cui molti bravi italiani sembrano abbandonarsi in occasione di questa penosa ricorrenza. E di questo esercizio, comunque la si pensi, dovremmo imparare a fare a meno.
East Journal ha dedicato a questo tema diversi articoli negli anni, e qui ne riportiamo una breve selezione:
La tragedia delle foibe e il nazionalismo italico. Una memoria selettiva? di Matteo Zola (12 febbraio 2016)
In questo articolo si ripercorrono i fatti e le cause che hanno portato alla tragedia delle foibe, presentando alcuni dati e numeri, con un commento finale.
Il ricordo diviso in due. Di foibe e altre memorie di Eric Gobetti (12 febbraio 2015)
Eric Gobetti, storico torinese esperto di Europa orientale, ex-Jugoslavia e mondo slavo, è autore di numerosi saggi tra cui Alleati del nemico (Laterza, 2013) e L’occupazione allegra. Gli italiani in Jugoslavia (Carocci, 2007), dedica questo articolo all’uso politico della memoria.
Ricordare per riconciliarsi. Non abbiamo bisogno del nostro genocidio quotidiano di Davide Denti (11 febbraio 2013)
L’articolo mette l’accento sugli sforzi fatti da Italia e Slovenia per giungere a una riconciliazione storica e ricorda l’imponente lavoro di ricerca storica portato avanti dalla Commissione mista italo-slovena.
Un commento
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