RUSSIA: Quello scambio di territori in Caucaso di cui nessuno sa nulla

Aleksandr Matovnikov ha un bel sorrisone soddisfatto. Nel suo ruolo di rappresentante del Cremlino per il Caucaso settentrionale, spetta a lui soprintendere all’accordo. Ma quale accordo? Non si sa di preciso. Si tratta di uno scambio di territori tra Cecenia e Inguscezia, ma quali siano questi territori e come si sia giunti a tale accordo, resta un mistero. Accanto a Matovnikov c’è Ramzan Kadyrov, in divisa mimetica, presidente soldato della Cecenia. A giudicare dall’espressione, è quello che ha ricavato di più dall’accordo. Il volto teso di Yunus-bek Yevkurov, presidente dell’Inguscezia, tradisce invece preoccupazione. Sa che gli ingusci non la prenderanno bene e – viene da pensare – questo accordo non gli piace.

Infatti, più che un accordo, sembra un’imposizione. Che ci siano state pressioni da parte di Mosca per favorire il fedelissimo soldato Kadyrov? L’uomo che ha pacificato la Cecenia ammazzando gli oppositori, che ha fatto il lavoro sporco al posto dell’esercito russo, che ha eliminato la guerriglia fondamentalista – certo – uccidendo indiscriminatamente donne e vecchi nei villaggi di montagna, ecco, il buon soldato Kadyrov andava premiato.

Le dispute territoriali tra le due repubbliche autonome della Federazione Russa durano da tempo. Fino al 1993 ceceni e ingusci vivevano sotto lo stesso tetto in quella che allora si chiamava Repubblica socialista autonoma ceceno-inguscia. Non una fusione a freddo, i due popoli sono entrambi di etnia Vainakh. Ma la guerra d’indipendenza cecena scoppiata nel 1993 ne ha diviso le sorti: così mentre i ceceni lottavano per l’autodeterminazione, gli ingusci rimasero fedeli a Mosca e la vecchia repubblica socialista si divise in due parti.

Da allora la questione dei confini tra le due repubbliche è una ferita aperta nelle relazioni fra due paesi che, in virtù del comune portato etnico, si considerano ‘fratelli’. Fratelli coltelli, tuttavia. Le autorità cecene reclamano da anni il controllo del distretto di Sunzha, fondando le proprie rivendicazioni sui vecchi confini di epoca sovietica. Nel 2003 le autorità ingusce hanno ceduto alcuni villaggi del distretto, ma non è bastato.

La recente costruzione di un’autostrada che collega il distretto di Galanchozh, sotto il controllo ceceno, con la vicina Inguscezia, ha spinto quest’ultima a dichiararsi “aggredita” dal vicino. Per tutta risposta, i ceceni hanno mandato l’esercito a presidiare la strada rendendo la situazione incandescente. Gli ingusci non l’hanno presa bene e un’ondata di ‘nazionalismo’ ha attraversato il paese. Le virgolette sono d’obbligo trattandosi dello stesso gruppo etnico e, per estensione, della stessa ‘nazione’ Vainakh, e la dice lunga su quanto le nazioni siano immaginarie, per dirla con Benedict Anderson. Esponenti politici, religiosi, e gran parte dell’opinione pubblica inguscia hanno condannato l’espansionismo ceceno. Ecco perché Yunus-bek Yevkurov ha quella faccia tirata, sa che l’accordo scatenerà proteste e disordini e sa che la situazione è tesa. Per questo i contenuti dell’accordo non sono stati resi pubblici.

Ma la censura si è rivelata inutile. Appena si è saputo dell’accordo, sono esplose violente manifestazioni di piazza a Magas, capitale inguscia, sedate dalla polizia in tenuta antisommossa. La città è ora puntellata da posti di blocco. Ma perché gli ingusci si scaldano tanto per qualche villaggio?

Brucia nella memoria la deportazione subita nel 1992, quando il distretto di Prigorodnyj venne ceduto all’Ossezia settentrionale e gli abitanti ingusci vennero cacciati dalle loro case. Brucia soprattutto il ricordo delle guerre cecene che ambivano a costituire una “grande Cecenia” di cui gli ingusci, obtorto collo, avrebbero dovuto far parte in nome della comune identità etnica.

Vladimir Putin per ora non ha commentato, ma egli sa bene che la polveriera caucasica è sempre pronta a esplodere, e sa che ogni intervento nella regione comporta dei rischi. Rischi che evidentemente riteneva di poter correre favorendo un accordo che, a ben vedere, piuttosto che pace porta venti di guerra.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

Leggi anche

Navalny

Navalny, come muore un oppositore politico russo

Il 16 febbraio Alexej Navalny è morto nel carcere russo IK-3, nella regione di Yamalo-Nenets. …

WP2Social Auto Publish Powered By : XYZScripts.com