RUSSIA: Oltre mille arresti nelle proteste contro il governo, mentre Putin vince a Mosca

Si sono svolte domenica 9 settembre – in un clima di proteste e arresti, si parla di 1018 fermi – le elezioni amministrative (governatori, parlamenti regionali, sindaci e dume cittadine) in 80 soggetti federali russi. Mosca, su cui erano puntati i maggiori riflettori, ha riconfermato secondo le attese il sindaco Sergej Sobjanin al suo posto. Nonostante il clima acceso delle piazze, il migliaio di arresti e i disordini, la commissione elettorale fa sapere che da anni non si vedeva una giornata elettorale “così tranquilla”.

I risultati

Bisognerà attendere la mezzanotte del 10 settembre per i dati definitivi, ma già ora è possibile affermare che il partito al governo Russia Unita ha vinto nella quasi totalità dei casi, con qualche eccezione. Nei parlamenti delle oblast’ di Ul’janovsk e di Irkutsk e in Chakassia ci saranno ora più rappresentanti del partito comunista (KPRF) che di Russia Unita. In quattro regioni si andrà al secondo turno per l’elezione del governatore poiché nessuno dei candidati ha raggiunto il 50% richiesto (Chabarovskij kraj, Primorskij kraj, Chakassia e oblast’ di Vladimir); in due di questi casi il candidato di Russia Unita è giunto secondo.

Interessante notare che, nonostante il risultato, Russia Unita è uscito più fragile da queste elezioni rispetto al solito, mentre risultati significativi (soprattutto in termini di presenza nei parlamenti regionali) sono stati ottenuti dal partito comunista.

Mosca sceglie ancora Sobjanin

Per la capitale la giornata di elezioni si è tenuta nel weekend festivo in onore dell’anniversario della fondazione di Mosca (nel 1147), il cosiddetto “giorno della città” (den’ goroda). Ai seggi, aperti dalle 8 alle 22, si è registrata un’affluenza leggermente inferiore alle precedenti elezioni del 2013 (27,54% contro il precedente 32%). I candidati, oltre al sindaco in carica Sergej Sobjanin, ai sondaggi pre-elettorali non arrivavano all’1% delle preferenze, e il 9 settembre le aspettative sono state confermate.

Correva praticamente da solo il candidato favorito che dal 2010 guida la capitale, distanziati gli improbabili avversari di diversi punti e scongiurata la comparsa di altri pretendenti in campagna elettorale. Nel 2013 se l’era vista meno liscia quando dall’altra parte, a sfidare l’uomo del Presidente, c’era Aleksej Naval’nyj, proprio l’organizzatore – seppur da dietro le sbarre – delle proteste di domenica: allora Sobjanin prese il 51% contro il 27% del suo avversario; questa volta i dati non definitivi parlano di una cifra attorno al 70% delle preferenze.

Anche i dati sulle spese della campagna elettorale non lasciavano molti dubbi: contro ai 113 milioni di rubli investiti da Sobjanin poco potevano i 15 milioni investiti da Vadim Kumin (KPRF), giunto secondo stando ai dati ancora  non definitivi (avrebbe raccolto attorno all’11% delle preferenze). Gli altri candidati sindaco erano Michail Degtjarëv, Il’ja Sviridov e Michail Balakin; altri avevano annunciato in precedenza di volersi candidare – come il blogger Il’ja Varlamov o il partito Jabloko – ma hanno alla fine rinunciato.

Quando Vladimir Putin si è recato alle urne domenica ha affermato ai giornalisti che per lui “non è stata una scelta difficile”: Sergej Sobjanin, il siberiano che da tempo il presidente ha scelto come spalla nella capitale, resta ancora una persona fidata – tanto che più di qualcuno lo vede quale futuro volto del Cremlino.

Nonostante le molte critiche, legate soprattutto ai progetti urbanistici voluti dal sindaco che hanno per molti versi cambiato volto alla capitale nonché, stando ad alcune fonti, coperto corruzione e riciclaggio (come i lavori al parco Gor’kij e l’apertura del parco Zarjad’e, il nuovo esercito di filobus, il discusso abbattimento delle chruščëvki), Sobjanin dopo queste elezioni resterà sindaco per altri cinque anni.

Le proteste 

Da alcune settimane si parlava dell’intenzione di Aleksej Naval’nyj e dei suoi sostenitori di organizzare manifestazioni e proteste su tutto il territorio russo in occasione della chiamata alle urne del 9 settembre. Le motivazioni non sono connesse in questo caso a specifici candidati o alle elezioni in sé, quanto alla manovra che il governo sta discutendo – e che è già passata in prima lettura lo scorso 19 luglio – rivolta all’innalzamento dell’età pensionabile (da 55 a 63 anni per le donne, da 60 a 65 anni per gli uomini). Non una vera riforma pensionistica con annesso pacchetto di nuove misure, ma una iniziativa prettamente fiscale ed economica che da subito non è stata affatto accettata e sostenuta dalla popolazione, né dai partiti sistemici ed extra-sistemici – escluso quello al governo, Russia Unita. In luglio addirittura il 92% dei rispondenti al sondaggio ROMIR si è detto contrario alla misura.

Le proteste di domenica sono state così le ultime di una lunga serie, iniziata già a giugno subito dopo che il premier Dmitrij Medvedev – mentre in Russia si disputavano i mondiali di calcio – annunciò il progetto di legge voluto dal presidente. I sindacati organizzarono allora manifestazioni il 25 giugno, che furono poi seguite il 1 luglio da altre proteste organizzate da Naval’nyj e sostenute da sindacati e alcuni partiti. Il partito comunista (KPRF), in particolare, da subito si è distinto per il suo categorico rifiuto della proposta di legge e ha organizzato anche recentemente, il 19 luglio, il 21 agosto e di nuovo il 2 settembre, ulteriori sit-in e manifestazioni. Forse questa posizione aveva anche, lateralmente, fini di campagna elettorale: con i primi risultati delle elezioni alla mano, dal partito hanno fatto sapere di essere molto soddisfatti.

Questa volta, tuttavia, nell’organizzazione delle proteste del 9 settembre, Naval’nyj non è stato sostenuto apertamente da altri partiti (impegnati con i propri candidati in queste elezioni, al contrario di Naval’nyj). O meglio, è stato sostenuto solo nelle città dove le manifestazioni sono state concordate e accettate ufficialmente dagli organi municipali – un numero, in questo caso, davvero esiguo (nello specifico, Kurgan, Čeboksary, Kirov e Berezniki; a Pietroburgo, ad esempio, dopo una primo Sì, le autorità hanno ritirato il consenso solo il 6 settembre). Ciò ha reso per Aleksej Naval’nyj molto facile l’“appropriazione indebita” della giornata di protesta, nonché la personalizzazione del blocco di opposizione al governo attuale: quella che sembra essere la sua strategia divenire il leader unico dell’opposizione – si sta realizzando. In tal modo, Naval’nyj si muove verso “una posizione estremamente nociva per la democrazia”, ha affermato Boris Višnevskij del partito d’opposizione storico Jabloko; Naval’nyj “non pensa mai alle elezioni se non ci partecipa lui stesso, non supporta nessun altro, non aiuta nessuno”, ha sostenuto sempre Višnevskij.

Naval’nyj di nuovo dietro le sbarre

Nel frattempo tuttavia, Naval’nyj ha seguito le proteste da lui indette dalla prigione in cui si trova in stato di arresto. Il 27 agosto è stato infatti condannato a 30 giorni per “ripetuta violazione delle norme di organizzazione di manifestazione pubblica” in riferimento alle proteste di fine gennaio (dove invitava gli elettori a non recarsi alle urne alle presidenziali di marzo, dalle quali era stato escluso come candidato). Una condanna già sancita in febbraio ma che è stata impugnata solo sei mesi dopo, proprio a fine agosto, in previsione delle elezioni settembrine e delle possibili manifestazioni di protesta.

Un arresto preventivo quello di Naval’nyj che non pare esser stato l’unico negli ultimi giorni. Prima di domenica non meno di trenta persone sono state fermate in 15 città russe con le più diverse motivazioni.

Arresti reali e virtuali

Molti arresti sono stati effettuati durante le proteste di domenica. Si parla di 1018 fermi, la maggior parte dei quali a Pietroburgo (452) e Ekaterinburg (183), ma i numeri reali potrebbero essere in realtà ben più alti. La polizia ha reagito con violenza sulle folle radunatesi nel centro della capitale e almeno due manifestanti a Mosca sono ora indagati penalmente per aver colpito un agente di polizia; rischiano fino a 10 anni.

Anche il mondo virtuale ha avuto la sua dose di repressione. La commissione elettorale centrale (CIK) e il Roskomnadzor (il servizio federale che si occupa della supervisione sui media e le telecomunicazioni) ha infatti chiesto a Google qualche giorno prima delle elezioni di evitare di fornire le proprie piattaforme – riferendosi in particolare a YouTube – ad “attività illecite” durante le elezioni. Naval’nyj infatti, stando alla commissione, utilizzava il proprio canale per promuovere le manifestazioni di protesta del 9 settembre, interferendo in tal modo nel normale svolgimento delle elezioni. Google ha accolto la richiesta e, come ha fatto sapere Leonid Volkov dello staff di Naval’nyj, dalla mezzanotte dell’8 settembre – giorno del silenzio elettorale – ogni video legato alle manifestazioni di domenica è stato bloccato in tutte le regioni russe, comprese quelle dove non si sarebbero tenute elezioni.

Chi è Martina Napolitano

Dottoressa di ricerca in Slavistica presso l'Università di Udine, è direttrice editoriale di East Journal e scrive principalmente di Russia.

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