Piccola storia della propaganda russa, cap. III – Il lancio di Sputnik news

La fine di Ria Novosti

Il 9 dicembre 2013, con decreto presidenziale, Vladimir Putin ha deciso la chiusura di RIA Novosti, storica agenzia di stampa russa. Erede del Sovinformburo, l’ufficio che coordinava il flusso di informazioni e le attività anti-naziste durante la Seconda guerra mondiale, RIA Novosti è stata l’agenzia di informazione di epoca sovietica, con uffici sparsi in 120 paesi. Dopo la caduta dell’URSS, l’agenzia è passata sotto il controllo del ministero dell’Informazione distinguendosi per obiettività, al punto da acquisire una buona credibilità in ambito internazionale.

La nascita di Rossiya Segodnya

La chiusura dell’agenzia fu motivata dal Cremlino con ragioni economiche. Ragioni che non convincono alla luce dell’enorme quantità di denaro che lo stato russo ha investito in quegli anni in Russia Today. La realtà dietro al velo fu da subito fin troppo evidente: al posto di RIA Novosti venne creata Rossiya Segodnya (Russia Oggi, in italiano, da non confondersi con l’emittente Russia Today) alla cui testa fu nominato Dmitry Kiselyov, già giornalista televisivo di punta conosciuto per le sue dichiarazioni intolleranti e ingiuriose nei confronti degli omosessuali e per la strenua difesa delle politiche governative. Kiselyov andava a rimpiazzare Svetlana Mironiuk, che aveva avuto il merito di dare all’agenzia un ampio respiro internazionale difendendone autonomia e obiettività.

La nuova agenzia, guidata da Kiselyov, si propose fin da subito come voce del Cremlino, del tutto piegata alla propaganda putiniana. Kiselyov non ha mai nascosto la propria intenzione di “ristabilire una giusta visione della Russia nel mondo” al punto da essere pronto a rovesciare la verità dei fatti, quando necessario: “i valori di democrazia e diritti sono un segno della debolezza morale dell’occidente” ha dichiarato in diretta TV. Dichiarazioni che piacciono a molti, anche fuori dalla Russia: non a caso la figura di Vladimir Putin e il suo modello politico autoritario fanno proseliti in Europa, sia tra la classe politica, sia nell’opinione pubblica – lesta ad abboccare all’amo della propaganda russa allo scoppio della crisi ucraina.

L’ascesa di Sputnik News

Sputnik news viene lanciata nel 2014 da Rossiya Segodnya allo scopo di riunire i servizi precedentemente svolti da RIA Novosti e dalla radio Voce della Russia. Radio Sputnik opera in più di trenta paesi mentre la versione online è diffusa in tutto il mondo attraverso la produzione di notizie nella lingua del paese in cui opera. Le varie versioni nazionali di Sputnik hanno palinsesti e contenuti online differenziati a seconda del tipo di readership e delle peculiarità dell’opinione pubblica locale.

Sputnik è l’arma attualmente più affilata della propaganda russa: sotto indagine da parte dell’FBI, è stata multata dal garante per la libertà di stampa britannico (Ofcom) per violazioni in merito all’obiettività e veridicità delle notizie. Micahel Trumann, giornalista di Die Zeit, ha descritto Sputnik coma parte della “guerra d’informazione digitale” mossa dalla Russia nei confronti dell’occidente attraverso l’immissione nel mercato delle notizie di una grande quantità di fake news atte a “confondere l’opinione pubblica occidentale attraverso una sistematica mistificazione della realtà”. Michael Weiss e Peter Pomerantsev hanno pubblicato un report dal titolo “The Menace of Unreality: How the Kremlin Weaponizes Information, Culture, and Money” in cui evidenziano come i network russi facciano un uso estensivo di teorie cospirative e controfattuali allo scopo di “minare il discorso basato sulla realtà” e sostituirlo con una narrazione fatta di insinuazioni e confuse relazioni tra fatti proposti senza verifica e senza alcun ancoraggio alla realtà.

Una sfida e un’opportunità

Vladimir Putin ha dichiarato di voler “rompere il monopolio occidentale dell’informazione in lingua inglese”. Un’affermazione che tradisce il manicheismo e la paranoia russa, come se nel cosiddetto “occidente” tutti i giornali e i media veicolassero una sola, identica, visione della realtà e non fosse presente quell’enorme concerto di voci che il pluralismo garantisce. Il fatto che in molti paesi europei, a partire dal nostro, la stampa sia effettivamente incapace di proporre visioni alternative e originali della realtà, penetrando i problemi dell’epoca in cui viviamo e preferendo alla ricerca e all’approfondimento un giornalismo copia-incolla, ebbene tutto questo certo favorisce l’ascesa di una “contro-infomazione” che si proponga di scardinare quello che realmente è un monopolio, ma non economico o culturale, bensì della banalità, ovvero un monopolio dell’opinione comune, del politicamente corretto, della sciatteria e della miseria in cui versa il giornalismo europeo, non a caso in crisi. E da questa crisi emergono voci che, proponendosi alternative, sono in realtà megafoni della falsificazione e della mistificazione.

La battaglia contro l’infowar putiniana non si potrà vincere senza riformare in senso più democratico e plurale un sistema dei media che procede, a grandi passi, verso un’asfissiante e consolatoria rappresentazione del reale. La guerra d’informazione mossa dal Cremlino si innesta quindi su una debolezza del sistema dei media occidentale e va affrontata senza isterismi, facendone opportunità per ripensare l’informazione (dalla proprietà dei media alla professione giornalistica) nell’era digitale.

 

 

 

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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