RUSSIA: Verso la ri-stalinizzazione del paese

Lo scrittore Viktor Erofeev ne Il buon Stalin, commentava: “non è necessario riabilitare Stalin, perché è già riabilitato. L’anima russa è per natura staliniana. Tanto più nel passato si allontanano le sue vittime, quanto più forte e luminoso diventa lui stesso”. La cosiddettarestalinizatsia” – ri-stalinizzazione – è in atto da tempo nella Russia post-sovietica. Un processo di tipo quasi iconografico, rivolto alla figura del dittatore sovietico, rivisto come personalità dal pugno di ferro (o dovremmo dire di acciaio, dato il suo soprannome da stal‘, acciaio) e carismatica, capace di tenere compatta l’URSS e portarla alla vittoria della Seconda Guerra Mondiale.

Nonostante i dodici milioni di vittime (secondo i dati dell’organizzazione Memorial), la figura di Stalin mantiene oggi quell’aura di culto che, assieme all’esercizio monopolistico del potere, come sostiene Silvio Pons ne L’età dello stalinismo, era la chiave dell’organizzazione del suo regime. Nel 2016 un sondaggio del Levada Center ha rilevato che per il 40% degli intervistati “Stalin ha portato più cose positive che negative”. Per quanto riguarda gli altri leader sovietici e post-sovietici, “lati positivi” hanno avuto l’era Brežnev per il 51% e Putin per il 70%; Gorbačev e Eltsin quelli dalle performance meno amate, solo rispettivamente dal 12 e 11%.

Come commenta lo storico Nikita Petrov riguardo all’ennesimo film dedicato a Stalin (Uvidet’ Stalina, di Kim Družinin) che sta venendo girato con fondi del Ministero della Cultura, oggi “si propagano miti e leggende filo-sovietiche e filo-staliniane”. La mancanza di obiettività storica sembra non essere una grande tragedia; soprattutto per un ministero il cui rappresentante, Medinskij, è ultimamente accusato di vantarsi di una tesi di dottorato in realtà ben poco scientifica.

Nel 2003, quando si commemoravano i sessant’anni dalla morte del dittatore, Vladimir Kara-Murza – l’oppositore di Putin, che a partire dal 2015 sarebbe poi stato avvelenato due volte – intervistava Igor’ Čubajs per Radio Svoboda, il quale sottolineava come solo in Russia sia possibile la completa assenza di condanna e critica verso un dittatore, colpevole della morte di milioni di suoi cittadini. Il sociologo collegava questa mancanza al generale degrado intellettuale della Russia post-sovietica ed agli interessi della politica: “viviamo in un sistema che è sostanzialmente un nuovo risvolto dello stalinismo”.

Inoltre, molto è ancora chiuso negli archivi e resta ad oggi nell’oblio della memoria – o meglio, dell’amnesia – collettiva. La figura di Stalin, già a partire dal noto intervento di Chruščev al XX Congresso del PCUS, non si è mai condannata in maniera decisa, ma modellata e plasmata a seconda delle necessità di chi era al potere. È mancata la presa di coscienza e responsabilità che la Germania ha avuto invece nei confronti del Terzo Reich. A Mosca qualche anno fa il nipote di Stalin, Evgenij Džugašvili, addirittura diceva ad Interfaks: “per la gente vivere sotto Stalin era meglio, più interessante, più allegro”. Evidentemente, gli aggettivi sono polisemici.

La figura di Stalin è intrisecamente legata alla memoria della guerra ed all’orgoglio nazionale per la vittoria sul nazismo. Il collasso dell’esperimento sovietico ha probabilmente foraggiato da sé la nostalgia per quell’epoca che, nonostante sacrifici e terrore, ha procurato questo importante materiale da mitizzare, rendere leggenda, anche sotto lo stendardo ideologico. Materiale che se ben nutrito può far riscattare e obliare le sofferenze e le vittime staliniane. Non a caso è l’epoca della guerra quella in cui sono stati ambientati molti film russi, alcuni con attori di spicco come Igor’ Kvaša o Sergej Jurskij. “Ma non è importante il fatto che a impersonare Stalin siano Jurskij o altri, ma il fatto che al cinema Stalin venga presentato come un eroe pienamente positivo” sottolineava Čubajs a Kara-Murza. “È stata addirittura mostrata in televisione la tristemente nota serie Stalin. Live. In Germania non sarebbe possibile un tale film su Hitler”.

C’è infine l’importante questione dei musei, che l’associazione Memorial spesso denuncia come siano tramutati da luoghi di memoria e diffusione della cultura a strumento politico e ideologico. E’ il caso del museo della repressione sito nel GULAG di Perm’ – Perm’-36 – dal quale sono stati fatti progressivamente sparire i riferimenti a Stalin. Oppure l’ennesima casa-museo di Stalin aperta nel 2015 a Choroševo, nell’oblast’ di Tver’, dove si celebra il leader come grande fautore della vittoria della guerra, ma non si menziona il suo regime di terrore.

Stalin non è affatto morto, ma per molti, ed anche per chi sta al potere, è ora più vivo di tutti i vivi” conclude Novaja Gazeta. Tanto che solo il mese scorso la sua “presenza” è diventata ingombrante all’Università Statale di Diritto di Mosca (MGJuA): è stata infatti ri-affissa una targa che ricorda il 17 giugno 1924, quando Stalin vi ha tenuto una lezione. La targa, levata dopo la morte del leader, è tornata al suo posto lo scorso giugno. Subito si è levato un coro di proteste e si è aperta una petizione per togliere “l’emblema dell’antidiritto” dal “tempio della scienza giuridica”.

Chi è Martina Napolitano

Dottoressa di ricerca in Slavistica presso l'Università di Udine, è direttrice editoriale di East Journal e scrive principalmente di Russia.

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