RUSSIA: Il nastro di San Giorgio e l'invenzione della tradizione

«Tradizioni che ci appaiono, o si pretendono, antiche hanno spesso un’origine piuttosto recente, e talvolta sono inventate di sana pianta». Così scriveva nel 1983 lo storico Eric Hobsbawm nel suo L’invenzione della tradizione, a proposito di casi quali il tartan dei clan scozzesi. Tali tradizioni inventate sono fondamentali per il consolidamento di un’identità di gruppo nei processi di costruzione della nazione e dello stato (nation-building e state-building) come “comunità immaginate“, nel termine usato da Benedict Anderson.

Tale è anche il caso del nastro di San Giorgio, la georgevaskaya lenta: il nastro nero e arancione nato ai tempi dello zar (fu creato dalla zarina Caterina dopo la prima guerra di Crimea, quella del 1769) e i cui colori probabilmente richiamano lo stemma imperiale dei Romanov, l’aquila nera su sfondo oro. Abolito dai bolscevichi, fu riesumato negli anni ’90 e volutamente confuso con la medaglia sovietica dagli stessi colori, quell’Ordine della Gloria “per la vittoria sulla Germania nella Grande Guerra Patriottica del 1941-45” (За победу над Германией) conferita a tutti i reduci del fronte orientale al termine del conflitto. Oggi, il nastro di San Giorgio sta acquisendo sempre più valore di un simbolo nazionalista russo, e la sua ricezione negli altri stati post-sovietici sta cambiando.

La stessa celebrazione del Giorno della Vittoria è una “tradizione inventata” in una doppia sequenza trentennale, spiega Adrien Fauve, ricercatore dell’area post-sovietica a SciencesPo Parigi. “Il 9 maggio, Giorno della Vittoria, è un elemento fondante della società russa e degli altri stati post-sovietici.”  La Russia infatti è solo uno degli stati successori dell’Unione sovietica, e su un piano di parità con gli altri, dall’Ucraina al Kazakhstan, i cui cittadini hanno partecipato allo sforzo bellico sul fronte orientale. Anche per questo motivo, alcuni elementi di legittimità del regime precedente, quali il Giorno della Vittoria, sono serviti da elemento di legittimazione per i nuovi stati indipendenti.

La sacralità della celebrazione del 9 maggio risale al periodo brezhneviano degli anni ’70, quando inizia ad essere celebrato il culto della forza incarnato nel sacrificio dei soldati e nell’eroismo della vittoria. Essa riceve poi nuovo slancio in Russia sotto Putin a partire dal 2005, sessantennale della vittoria, momento nel quale viene ripescato anche il nastro di San Giorgio quale simbolo patriottico. Da allora, il nastro di San Giorgio è distribuito e indossato liberamente dai civili come atto di commemorazione, secondo il motto “ricordiamo, ne siamo fieri!”.

In Kazakhstan, come in altri stati post-sovietici, la celebrazione del 9 maggio si trasforma oggi in una tradizione popolare e familiare di ricordo dei parenti caduti durante il conflitto; le coccarde arancio e nere, pur presenti su poster ed oggetti celebrativi ufficiali, non sono indossate dalla maggioranza dei convenuti. Dal 2014, poi, il governo kazako ha deciso di bandirne l’uso, per la connotazione nazionalista che hanno assunto a partire dagli eventi in Ucraina orientale: “il minimo segno materiale innesca una reazione di posizionamento politico”, continua Fauve. La stessa decisione è stata adottata dalle autorità bielorusse, secondo cui tale simbolo in Ucraina sarebbe attualmente utilizzato “da militanti e terroristi”

In Ucraina, gli stessi veterani del conflitto mondiale (i pochi ancora in vita) hanno contestato l’uso politicizzato del nastro di San Giorgio fatto da nazionalisti e separatisti filo-russi nell’est del paese, ricordando come lo sforzo bellico contro gli occupanti nazi-fascisti sia stato un’impresa comune dei diversi popoli sovietici, e non possa essere appropriato dalla sola Russia, come avvenuto nel momento in cui i membri della Duma russa hanno celebrato l’annessione della Crimea occupata indossando il nastro di San Giorgio.

Foto: liveinternet.ru

Chi è Davide Denti

Dottore di ricerca in Studi Internazionali presso l’Università di Trento, si occupa di integrazione europea dei Balcani occidentali, specialmente Bosnia-Erzegovina.

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