UNGHERIA: La lunga lotta contro la corte costituzionale/3

di Matteo De Simone

(Seguito della Seconda parte)

I principi sui cui si fondano i rapporti economici, così come vengono enunciati all’art. M, non si prefiggono più di garantire l’uguaglianza fra proprietà pubblica e privata, bensì la libertà d’impresa, la competizione economica e i diritti dei consumatori. Non poche critiche ha destato la decisione di menzionare il fiorino ungherese come moneta ufficiale fra i principi fondamentali, interpretata come palese espressione dell’euroscetticismo che caratterizza la destra magiara. Al lato pratico, ciò significa che al momento dell’adozione dell’Euro, previsto dal trattato di adesione, si renderà necessaria una revisione costituzionale da approvare con la maggioranza dei 2/3 del parlamento, difficilmente ottenibile senza l’accordo di Fidesz.

Ma la novità più rilevante in campo economico è l’introduzione di un meccanismo di riduzione del debito pubblico attraverso l’“automatico” taglio de jure della spesa pubblica, previsto nel titolo sulle finanze pubbliche. Agli articoli 36 e 37, infatti, viene fissato un tetto massimo per il debito pari al cinquanta percento del PIL, che nessuna legge finanziaria o di bilancio, né altre obbligazioni contratte dallo Stato possono superare. Inoltre, fintanto che il valore del debito pubblico supera la soglia consentita, le manovre finanziarie approvate dal parlamento dovranno forzatamente contenere misure atte a riportare il debito pubblico entro i limiti consentiti. Sola eccezione a questa norma di rigidissima fiscalità saranno le situazioni straordinarie quali una “perdurante e significativa recessione economica” o i cosiddetti “ordinamenti speciali” (ovvero lo stato di crisi, di emergenza, di difesa preventiva, di attacco inaspettato o di estremo pericolo, regolamentati in dettaglio in chiusura, sul modello delle costituzioni tedesca e polacca).

Il contenimento della spesa, fine di per sé legittimo, è ritenuto dai costituenti ungheresi tanto prioritario da venire escluso dal controllo di costituzionalità. La nuova costituzione è stata infatti approvata all’indomani di un violento scontro tra governo e corte costituzionale in materia fiscale: nell’ottobre 2010 la corte ha pronunciato una sentenza di illegittimità costituzionale in merito a una tassa retroattiva del 98% sulle indennità di fine rapporto dei lavoratori del settore pubblico che eccedono i due milioni di fiorini (circa 7.400 €). Il governo ha risposto il mese successivo con una modifica costituzionale che esentava dal controllo della corte ogni atto di legge in materia di bilancio e fiscalità centrale, imposte di bollo, dazi, contributi e requisiti centrali per le imposte locali, eccetto che nei casi in cui fosse configurabile la violazione del diritto alla vita e alla dignità umana, alla protezione dei dati personali, alla libertà di pensiero, coscienza e religione, o dei diritti connessi al possesso della cittadinanza ungherese, oltre che per vizi procedurali. Nonostante la riduzione delle proprie competenze in materia fiscale e finanziaria, la corte costituzionale non sembra aver rinunciato alle proprie prerogative, riconfermando a maggio 2011 l’anticostituzionalità della tassazione retroattiva al 98% (che nel frattempo il governo aveva ripresentato) perché considerata lesiva del principio di dignità umana.

Il testo approvato ad aprile, all’art. 37.4, riafferma la disposizione introdotta nel novembre 2010, anche se contempla una decurtazione dei poteri della corte costituzionale solamente durante il periodo in cui il debito pubblico supera il tetto previsto del 50 percento. È tuttavia facilmente immaginabile come tale disposizione possa trovare una frequente applicazione già a partire dall’immediato futuro, in quanto il debito ungherese si attesta attualmente intorno all’80 percento e difficilmente si ridurrà nel medio termine.

L’istituzione di limiti costituzionali all’accumulazione di debito pubblico non è di per sé una novità assoluta: già nel giugno 2009 la Germania aveva inserito nella propria costituzione una norma volta a ridurre il crescente indebitamento. Questo è stato però completato da un forte ruolo della corte costituzionale nella salvaguardia di tale limite mentre in Ungheria, al contrario, è proprio quest’ultima a vedersi significativamente ridurre la competenza ad esprimersi sulle misure fiscali del governo. A vigilare sarà invece il Consiglio di Bilancio, organo di rango costituzionale di nuova creazione, che sarà composto da un presidente, il governatore della Banca Nazionale (entrambi di nomina presidenziale con un mandato di 6 anni) e il presidente dell’Ufficio Nazionale di Revisione dei Conti (eletto dai 2/3 del Parlamento con un mandato di 12 anni). Nonostante la costituzione rimanga assai laconica su quest’organo, riservando la regolamentazione dettagliata ad una legge da approvare ai 2/3, ad esso è attribuito il diritto di veto sulla legge di bilancio. All’art. 44.3 infatti si enuncia che l’adozione di tale legge da parte del parlamento necessita della previa autorizzazione del Consiglio di Bilancio, che ne appura la conformità con l’art. 36 commi 4 e 5.

Su tale diritto di veto è opportuno soffermarsi, poiché esso – all’interno della nuova architettura costituzionale – finisce per attribuire al Consiglio di Bilancio un ruolo chiave per la sopravvivenza dello stesso organo legislativo: infatti, un reiterato veto sulla legge di bilancio, tale da non permettere al parlamento di approvare quest’ultima entro il 31 marzo dell’anno in corso, autorizzerà ex art. 3.3 b) il Presidente della Repubblica a sciogliere la camera (il Parlamento ungherese è monocamerale) e a indire nuove elezioni. È pertanto evidente quanta importanza la nuova costituzione assegni al controllo delle finanze pubbliche, in linea con la politica economica del governo. All’art. N (3) si prescrive alla Corte Costituzionale (e a tutte le istituzioni statali) l’obbligo di rispettare il “principio di una gestione finanziaria equilibrata, trasparente e sostenibile”. Come ha notato la Commissione di Venezia, quest’affermazione manca di chiarezza. Se, da un lato, potrebbe riferirsi alla gestione delle risorse assegnate all’amministrazione della corte, secondo un’altra interpretazione sembrerebbe attribuire alla gestione delle finanze una priorità sul bilanciamento degli interessi in casi di violazione dei diritti fondamentali.

(Continua…)

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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