Sovranismo

UNGHERIA: Due pesi e due misure, il sovranismo alla Orbán

Le elezioni romene mettono a dura prova l’idea orbaniana di sovranismo. Come gestire il puzzle delle minoranze in Transilvania e in Transcarpazia.

L’onda d’urto delle elezioni in Romania non poteva non arrivare a Budapest. E lo ha fatto mettendo a nudo il sovranismo orbaniano, quello di “due pesi e due misure”.

Il giorno dopo la vittoria alle presidenziali di Nucoșor Dan le congratulazioni di Orbán sono apparse quanto mai formali. Il richiamo al piacere di lavorare insieme “per rafforzare la cooperazione tra Ungheria e Romania a beneficio dei nostri popoli” è suonato come un mea culpa per il passo falso commesso qualche giorno prima. Il 9 maggio, infatti, in occasione della cerimonia di inaugurazione della rinnovata abbazia benedettina di Tihány, il primo ministro magiaro ha dichiarato di “assicurare al popolo rumeno e al suo futuro presidente che siamo sul terreno dell’unità e della cooperazione, e quindi non sosterremo alcun isolamento o ritorsione politica contro la Romania e i suoi leader”, in un momento politico in cui sembrava scontata la vittoria del leader d’estrema destra Simion e nessuno avrebbe mai scommesso un soldo sull’elezione dell’europeista Dan. Perché – ha motivato Orbán – “nella lotta per la cristianità e la sovranità dobbiamo contare gli uni sugli altri”. Nel suo immaginario infatti l’Europa, “infettata da una psicosi di guerra”, deve trasformarsi in un’unione cristiana e sovrana, a tutti i costi.

In Transilvania

Il messaggio è suonato da subito come un endorsement a Simion, che durante la campagna elettorale ha diffuso manifesti pro-Orbán, suo modello politico. Tutto ciò ha allarmato non poco la minoranza ungherese di Romania, tradizionale bacino di voti per Orbán. Storicamente i magiari di Transilvania guardano con sospetto i candidati d’estrema destra: lo stesso Simion ha più volte ha manifestato sentimenti anti-ungheresi come quando partecipò alla profanazione delle tombe di militari magiari nel cimitero della Valle di Úz.

Il leader dell’Unione democratica ungherese di Romania (RMDSz), Hunor Kelemen, non ha perso tempo e con una telefonata il 10 maggio e un incontro in presenza il 19 maggio, il giorno dopo le elezioni, ha ribadito che i diritti della comunità ungherese in Romania non devono essere messi in pericolo. Pur essendo convinto sostenitore del partito governativo FiDeSz, Kelemen non ha mancato di ricompattare la comunità locale, che – indipendentemente dalle idee politiche – ha votato in massa per il candidato Dan (al secondo turno si sono contati 620.000 voti su 1 milione, tanti sono gli ungheresi di Transilvania). “Assoggettamento” ed “esposizione” sono state le parole usate da Kelemen per indicare la paura che ha scosso la minoranza ungherese. Ora che il pericolo è per il momento passato, si mantiene alta la guardia contro un ritorno di Simion e ci si aspetta un governo di grande coalizione anche con la partecipazione di RMDSz.

In Transcarpazia

Il 9 maggio, però, si è consumato anche un altro fatto, il primo atto della guerra tra spie che agita i rapporti tra Budapest e Kiev. Due spie, che lavoravano sotto copertura diplomatica presso l’ambasciata ucraina a Budapest, sono state espulse come reazione alla scoperta da parte di Kiev di una rete di spionaggio militare ungherese in Transcarpazia. La rete avrebbe avuto il compito di raccogliere informazioni sulla sicurezza militare della regione, di individuare le vulnerabilità delle difese terrestri e aeree e di carpire gli umori della popolazione locale nel caso di ingresso delle truppe ungheresi nella zona.

Nell’oblast’ della Transcarpazia vivono – secondo l’ultimo censimento del 2001 – circa 150.000 ungheresi, il 12% della popolazione locale e da tempo si chiede da Budapest il riconoscimento del territorio come “tradizionalmente ungherese”. Ma la guerra russo-ucraina ha spinto molti ad abbandonare la regione, circa il 20%-30% dei magiari, il cui numero sarebbe sceso a meno di 100.000.

Poco importa a Orbán, che in questo caso, a differenza della Transilvania, si dice pronto a sbandierare i diritti delle minoranze pur di far quadrare la sua politica estera. L’Ucraina viene accusata dalla propaganda di governo di reclutare forzatamente gli ungheresi per il fronte di guerra con la Russia e soprattutto di essere un Paese guerrafondaio, mentre l’Ungheria si dice per la pace (ad aprile, è bene ricordarlo, Orbán accoglieva in pompa magna Benjamin Netanyahu a Budapest). Altra accusa che viene mossa a Kiev è quella di essere in combutta con Péter Magyar, il leader di TiSza, attualmente l’unico candidato di opposizione con una certa visibilità internazionale. Inoltre, è in corso – da lunedì anche online – la consultazione popolare (Voks 2025) per testare, ma senza alcun valore giuridico, la fedeltà degli ungheresi al veto posto dal governo all’ingresso dell’Ucraina nell’Ue.

Di fronte a un tale scenario, logicamente ben architettato, è chiaro che l’Ungheria si deve difendere. In questo modo l’intera nazione è ricomposta sotto il vessillo della difesa della Patria. Unica nota stonata è il destino delle minoranze ungheresi che in Transcarpazia vanno difese, mentre in Transilvania si sarebbero pure potute sacrificare.

Ci hanno pensato i romeni stavolta a rimettere le cose al loro posto.

Immagine: https://miniszterelnok.hu/orban-viktor-kelemen-hunorral-a-romaniai-magyar-demokrata-szovetseg-elnokevel-targyalt/

Chi è Simona Nicolosi

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