ROMANIA: La lunga stagione dello scontento romeno. Cinque anni di proteste

E’ il quarto giorno di proteste in Romania. Le manifestazioni, assai imponenti, hanno portato in strada circa 300mila persone. Tutto è cominciato la notte del 31 gennaio, quando il governo guidato da Sorin Grindeanu, ha licenziato una legge che prevede la depenalizzazione per i reati di corruzione contro lo stato, siano essi commessi da pubblici ufficiali, politici o privati cittadini. La legge introduce una pericolosa distinzione tra reati: i “piccoli” abusi saranno leciti, o comunque perseguibili solo in sede civile, implicitamente tollerati. Questa legge sconcertante andrà a vantaggio di molti politici attualmente agli arresti per corruzione, ma soprattutto gioverà a Liviu Dragnea, leader del partito socialista al governo, attualmente a processo per abuso di potere. Il governo ha infatti deciso che corruzione e abuso di potere saranno punibili solo se è dimostrabile un danno per lo stato superiore a 44.000 euro: la vicenda che riguarda Liviu Dragnea è sotto quella cifra.

Da quattro giorni i cittadini romeni scendono in strada dando vita alla più grande manifestazione di piazza dalla caduta del comunismo. Tuttavia queste proteste, così imponenti, non arrivano dal nulla. E’ ormai cinque anni che i romeni protestano, spesso nell’indifferenza del resto d’Europa.

[stextbox id=”black” caption=”L’attuale quadro politico romeno” float=”true” align=”right” width=”350″]L’attuale primo ministro, Sorin Grindeanu, è stato nominato appena un mese fa. Ci sono voluti due mesi per arrivare alla sua nomina poiché il partito socialista, uscito vincitore dalle elezioni parlamentari dello scorso dicembre, non riusciva a indicare un nome adatto a ricoprire la carica di primo ministro. Carica che sarebbe dovuta andare al leader del partito socialista, Liviu Dragnea, fautore del successo elettorale. Ma Liviu Dragnea non poteva in quanto precedentemente condannato per frode elettorale e per questo interdetto da ogni incarico pubblico. Egli indicò allora il nome di Sevil Shadeh, donna di origine tatara e religione musulmana, ritenuta da molti un “pupazzo” nelle mani dello stesso Dragnea. Anche per questo il presidente della repubblica, Klaus Iohannis, rifiutò di conferirle l’incarico. Così, a inizio gennaio, si è giunti alla nomina di Sorin Grindeanu, uomo di cui la piazza oggi chiede le dimissioni.[/stextbox]

La lunga stagione dello scontento

La stagione dello scontento romeno inizia infatti nell’inverno 2012 quando gli studenti decisero di occupare piazza Università, il cuore di Bucarest, luogo simbolo delle manifestazioni contro il regime comunista e delle proteste degli studenti che, nel 1990, si ribellarono alla restaurazione di Iliescu, l’uomo che mascherò da democrazia un regime brutale e repressivo.

Ma nel 2012 l’incantesimo della paura si spezzò all’improvviso, cortei e striscioni occuparono nuovamente la piazza e anche la polizia, che sembrava pronta a soffocare nel sangue anche quella rivolta, simpatizzò con i manifestanti. Le proteste, che durarono due mesi, furono pacifiche e trasversali: in piazza Università accorsero anziani, giovani, di destra e di sinistra. Il risultato furono le dimissioni del governo guidato da Emil Boc e appoggiato dall’allora presidente Traian Basescu, vero padre padrone del paese.

Allora il presidente Basescu decise di nominare quale nuovo primo ministro Mihai Ungureanu, già capo dei servizi segreti. La piazza comprese che si trattava di un’intimidazione. Nel paese in cui la Securitate aveva seminato morte e terrore, una nomina del genere non poteva che agitare vecchi fantasmi. Ma alla paura subentrò il coraggio, e dopo altri tre mesi di proteste, nel giugno 2012 anche il governo Ungureanu cadde. Con lui precipitò anche il presidente Traian Basescu, costretto alle dimissioni e accusato di impeachment. Un’era sembrava chiudersi. Intanto una nuova consapevolezza e maturità si diffondevano nel malcontento romeno, come dimostrato anche dalla vicenda di Rosia Montana che da fenomeno nimby diventò presto il simbolo di una nuova sensibilità ambientalista e democratica.

Tuttavia la fase che seguì le proteste portò a un riequilibrio della forze politiche che in nulla mutarono le proprie abitudini: abuso, corruzione, nepotismo, confermarono il carattere cleptocratico della classe dirigente romena. Una convulsa fase politica,contraddistinta da una serie di maneggi, segnò la vita politica del paese. Così, nel 2015, la rabbia riesplose. La miccia fu la tragedia del Colectiv Club, una discoteca il cui crollo causò la morte di 64 persone, la cui responsabilità fu attribuita alla corruzione politica. Le manifestazioni che seguirono la tragedia portarono alle dimissioni di Victor Ponta, primo ministro socialista. Un’altra vittoria della piazza.

[stextbox id=”grey” caption=”Dall’indifferenza all’Europa” float=”true” color=”FCFCFC” bgcolor=”FF404C”]Chi scrive ricorda l’indifferenza con cui molti colleghi giornalisti affrontarono le proteste del 2012, senza comprenderne l’importanza. L’ignoranza in merito alle vicende dell’Europa orientale, e l’idea che queste non fossero da inserirsi in un più ampio quadro europeo, consegnò le proteste di quell’anno all’oblio. Fu per noi, costretti a questo piccolo lavoro, all’epoca dei fatti ancor più piccolo, un grande dispiacere. Oggi non è più così, queste proteste sono finite su tutti i media. Un segno della consapevolezza che le vicende europee ci riguardano tutti, e possono avere ricadute continentali. Anche così l’Europa si unisce.[/stextbox] Dopo un anno di governo ad interim, si è arrivati alle elezioni di dicembre, quelle che hanno segnato la vittoria del partito socialista guidato dal già citato, e condannato per frode, Liviu Dragnea.

Togliere le virgolette

Alla luce di queste vicende, è facile immaginare che lo scontento romeno non avrà facile soluzione. Non basta ottenere le dimissioni del governo in carica. La classe politica continua a segnare il passo rispetto alle esigenze e alle richieste dei cittadini. Esigenze che vanno molto al di là dei singoli casi che scatenano le proteste. Il malcontento romeno si origina nella mancanza di prospettive, di lavoro, di dignità. La disoccupazione e l’emigrazione dei più giovani restano problemi insoluti. Tutto questo si unisce a un’esigenza di democrazia sempre più urgente, alimentata dal fatto che finalmente i romeni hanno compreso di essere stati vittime di un raggiro storico: dopo la caduta del comunismo, non si è passati a un regime democratico ma a una restaurazione autoritaria travestita da libertà. Una democrazia tra virgolette. Oggi i romeni vogliono togliere quelle virgolette.

Perché non nasce un’alternativa politica?

Dopo cinque anni di proteste, sarebbe lecito attendersi che dalla società civile nasca e si sviluppi un progetto politico alternativo. Tuttavia questo non accade. Perché?

Da un lato, a impedirlo, c’è l’impermeabilità del potere. Fare breccia in un sistema così autoreferenziale non è affatto facile, se non compromettendosi. Dall’altro, è il diffuso clima di sfiducia verso la politica – ritenuta cosa “sporca” – a tenere le persone lontane dall’impegno politico o, meglio, da un impegno politico che si traduca nella creazione di un nuovo partito. Significativo, in tal senso, è l’insuccesso di Nicusor Dan, matematico e attivista, il cui partito doveva intercettare proprio i malumori della società civile ma che alle ultime elezioni ha ottenuto solo il 9% dei consensi.

Inoltre occorre considerare che il carattere spontaneistico delle proteste è anche un limite allo sviluppo politico delle proteste stesse. Le persone si organizzano tramite social-network, senza una piattaforma condivisa, senza un ente (associativo, partitico, sociale) che le unisca e avanzi concrete proposte. A tenerle insieme è la rabbia, a rappresentarle è un hashtag. Troppo poco per passare dalla protesta alla proposta. La rete è quindi un utile strumento di organizzazione ma rischia di essere una trappola, impedendo uno sviluppo off-line delle istanze portate avanti durante le manifestazioni. Uscire dalla rete sarà un passo necessario per non restarne impigliati.

La riscoperta della piazza

Durante il regime comunista, la piazza era il luogo del consenso obbligatorio. Per questa ragione il passaggio alla democrazia è stato segnato anche dal rigetto della piazza come luogo “politico”. Solo con la nuova generazione, quella che non ha conosciuto le adunate di regime, la piazza è tornata ad essere il luogo dell’incontro e, necessariamente, dello scontro. Ma prima che questa generazione passi dalla protesta alla proposta bisognerà forse attendere ancora un po’ di tempo, ma l’esigenza di democrazia dimostrata dai romeni fa ben sperare per il futuro.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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