Quando, la notte di domenica 18 maggio, è arrivata la notizia della vittoria di Nicușor Dan alle elezioni presidenziali della Romania, a Bruxelles e in molte altre capitali europee si è tirato un sospiro di sollievo.
Fino all’ultimo, il rischio che la Romania finisse nelle mani dell’estrema destra con George Simion, leader di AUR, era rimasto concreto e il voto del primo turno, che lo aveva visto vincere con un enorme distacco su Dan, aveva messo all’improvviso di fronte alla concreta possibilità che la Romania virasse verso un modello di paese pericolosamente simile all’Ungheria di Viktor Orbán. La grande paura per questo scenario è riuscita a mobilitare gli ancora tantissimi indecisi e la grande mobilitazione sia nel paese che nella diaspora ha ribaltato la situazione: oltre 2 milioni di romeni in più si sono recati alle urne, segnando un aumento dell’11% rispetto al primo turno.
Pur considerando che il forte sostegno a Dan al secondo turno è avvenuto principalmente per evitare la vittoria di Simion, resta comunque il fatto che il nuovo presidente è stato molto abile nel convincere un tale numero di elettori in più a sostenerlo. Non era affatto scontato: la partecipazione avrebbe potuto rimanere sui livelli del primo turno, rendendo impossibile per Dan colmare un divario così ampio. Un risultato sorprendente e, per tanti versi, insperato. Dan è così riuscito a recuperare non solo i quasi due milioni di voti che lo separavano da Simion, un’impresa che già appariva a molti ardua, ma lo ha pure superato con un margine netto di oltre 820mila voti, smentendo chi prevedeva una vittoria risicata.
Tuttavia, dietro all’entusiasmo iniziale per lo scampato pericolo e aldilà dei toni trionfalistici dei media, si è subito percepito che la vera sfida per Dan era in realtà appena iniziata. I problemi in Romania sono tanti, e la scena partitica in parlamento è problematica, con il rischio che la grande euforia attuale si trasformi presto in delusione.
Ecco perché, qui su East Journal, a una settimana di distanza, ci siamo presi il tempo per guardare con maggior distacco e razionalità a ciò che attende Dan da ora in poi. Lo diciamo subito: “nu va fi ușor”, non sarà facile – come peraltro lo stesso Dan aveva già avvertito i tantissimi sostenitori accorsi a Bucarest domenica notte per festeggiare il loro candidato e futuro presidente.
Simion prima non ci sta, poi ci sta, poi chissà
Dedichiamo solo poche parole al comportamento di George Simion che, a scrutinio appena iniziato, si era già auto-proclamato presidente, con tanto di post su X dell’annuncio accanto ad una poco patriottica, ma molto confusa bandiera… del Ciad – che ha gli stessi colori della Romania, solo un po’ più scuri. Un’ulteriore conferma della sua interpretazione “dadaista”, ad essere buoni, del nazionalismo di cui si fregia. Simion è stato poi costretto a fare marcia indietro e a riconoscere la sconfitta quando la vittoria di Dan è diventata matematica. Dopo essersi eclissato per una notte, è tornato alla carica il giorno dopo, annunciando l’intenzione di presentare alla Corte costituzionale una richiesta formale di annullamento delle elezioni per presunte “interferenze straniere”, sulla stessa base giuridica di dicembre, questa volta da parte di Francia e Moldavia, secondo lui. La richiesta è stata respinta all’unanimità il 22 maggio; parallelamente la Corte ha confermato ufficialmente la vittoria di Dan, cui sono seguiti il giuramento e l’investitura come nuovo presidente della Romania.
Una società polarizzata e la sfida dell’unità
Ma non bisogna credere che l’estrema destra sia sparita, anzi. La mancata elezione di Simion è stato un duro colpo, specialmente dopo essersi sentito la vittoria in tasca al primo turno, ma il leader di AUR ha comunque raccolto oltre 5 milioni i voti, segno che la sua retorica radicale ha fatto presa su una larga fetta dell’elettorato – il 46,40%, per la precisione.
Soprattutto rimane la coda lunga della retorica divisiva e radicale che ha accompagnato l’ascesa dell’estrema destra negli ultimi anni, con i toni che si sono fatti sempre più aggressivi durante queste ultime campagne elettorali. Questo ha reso la società romena di oggi molto polarizzata e Dan dovrà ora cercare di ricucire queste fratture, in un paese frustrato e incattivito contro il sistema come non mai.
Con questo in mente, già nel suo primo discorso da neo-presidente, Dan aveva scelto toni e parole distensivi, rivolgendo un appello all’unità nazionale e al rispetto delle differenze – un messaggio non scontato, in un momento in cui la tentazione di fomentare i propri sarebbe stata forte.
Tuttavia, l’estrema destra ha perso una battaglia, non la guerra. Nell’attuale parlamento, di cui occupa un terzo dei seggi, fra AUR, SOS e POT, affilerà le armi e approfitterà di qualunque occasione ed errore per contestare e attaccare ogni decisione, misura e riforma – politiche che saranno inevitabilmente dolorose e poco popolari, date le grandi sfide economiche e politiche da affrontare nei tempi futuri e i momenti difficili che verranno.
Il nuovo governo: mille scenari e nessuna certezza
Avevamo già anticipato alcune delle principali sfide che impegneranno il futuro presidente della Romania nel nostro precedente articolo.
Fra queste, la priorità numero uno di Dan è ora la formazione del nuovo governo, dopo le dimissioni di Marcel Ciolacu da primo ministro e il ritiro dei ministri del PSD dal governo. La necessità è avere un governo stabile, forte e capace di prendere le decisioni necessarie, in un contesto di grande incertezza socio-politica ed economica come quello attuale.
Ma il quadro politico è tutt’altro che chiaro. Il vero ago della bilancia nell’attuale parlamento, il partito chiave per qualsiasi maggioranza, è il Partito Social Democratico (PSD), che però sta attraversando una delicata fase di trasformazione e riorganizzazione interna. All’indomani del voto, Marcel Ciolacu ha dato le dimissioni anche da presidente del PSD, lasciando il posto a Sorin Grindeanu come presidente ad interim del partito. Le sue dimissioni vanno lette come una presa di coscienza da parte del partito verso un cambiamento per sanare il danno d’immagine e ricostruire la credibilità del PSD. Questa volta, infatti, a differenza di quanto accaduto in dicembre, il partito non ha trattenuto Ciolacu, e questo sembra aprire uno spazio di manovra per nuove figure e nuovi leader.
Molti dei baroni locali, che sono poi l’ossatura del partito, vogliono spostare il partito all’opposizione, un tentativo di riposizionamento per cercare di dare battaglia ad AUR e recuperare i tantissimi consensi persi fra il suo elettorato di riferimento e sottratti in parte da candidati estremisti.
Ma il PSD è lungi dall’essere un partito organico, somigliando piuttosto ad una confederazione di poteri locali al cui interno convivono diverse sensibilità e correnti d’opinione. Una delle più interessanti al momento è quella che ruota intorno a Victor Negrescu, vicepresidente PSD al parlamento europeo. Una corrente più giovane, progressista e social democratica nel senso classico del termine, aperta a dialogare con Dan per entrare nel governo. Una posizione di “responsabilità” condivisa con lo storico leader del PSD Ion Iliescu, che è intervenuto affermando che il partito dovrebbe essere pronto a fare la sua parte.
Per ora, però, la linea prevalente è quella di una “opposizione costruttiva”, come ha dichiarato Grindeanu, segnalando così l’intenzione del PSD di restare fuori dall’esecutivo, offrendo comunque il sostegno esterno al governo. Si tratta di una scelta politicamente comprensibile, perché consentirebbe al PSD la massima libertà di manovra in una fase di riflessione e riposizionamento. In questo modo, i Socialdemocratici potrebbero appoggiare il governo quando sarà conveniente, e criticarlo quando pagherà di più invece fare l’opposizione.
Senza il PSD, però, non ci sono i numeri per la maggioranza. Il partito resta dunque un attore indispensabile: in un modo o nell’altro che ha il coltello dalla parte del manico e il potere di determinare la sopravvivenza del nuovo governo. Questo rende il prossimo governo pericolosamente vulnerabile ai pensamenti, ripensamenti, giochi tattici e umori del PSD, da cui dipenderà la sua stabilità.
Adottando, però, una prospettiva più ampia, la scelta di apparente “irresponsabilità” del PSD di non entrare nel governo, mettendo, tuttavia, in una posizione di fragilità e debolezza il nuovo esecutivo, potrebbe rilevarsi vantaggiosa sul lungo termine, e non solo per interessi di partito. Il PSD potrebbe infatti proporsi come un’alternativa credibile ai partiti di estrema destra, sottraendole spazio e argomenti, ma soprattutto l’esclusività di essere gli unici all’opposizione.
Se, idealmente, sarebbe preferibile un governo politico, di maggioranza o minoranza, espressione delle forze e degli equilibri determinati dal voto popolare, quando ciò non fosse possibile, una delle ipotesi alternative in campo è la formazione di un governo tecnico.
Un governo tecnico potrebbe essere per molti una buona soluzione in un momento complicato, in cui i politici sarebbero restii a prendersi il rischio di riforme e misure dolorose, con un costo politico prevedibilmente alto da pagare. Un governo tecnico avrebbe, invece, un mandato ad hoc per attuare le riforme più urgenti e impopolari senza dover rispondere direttamente alle logiche del consenso politico e elettorale. Tuttavia, anche un governo tecnico ha bisogno della volontà politica dei partiti per rimanere in vita.
Il supporto potrebbe essere concordato per un periodo di tempo, purché i tecnici abbiano un mandato chiaro e la libertà di agire, anche solo per sei mesi o un anno, per realizzare le riforme. Dopodichè, una volta superata la fase critica, si potrebbe valutare l’opportunità di indire elezioni anticipate, evitando così di farlo immediatamente: un voto anticipato subito trasmetterebbe, infatti, un’immagine di instabilità che minerebbe la credibilità del presidente Dan sin dall’inizio del suo mandato.
Insomma, politico o tecnico che sia, la Romania ha bisogno di un governo funzionale e operativo al più presto, che sia libero di avviare le riforme necessarie. La sua più o meno rapida formazione dipenderà dalla capacità e velocità con cui si riuscirà a trovare una quadra fra i partiti. Si sono già persi almeno sei mesi di tempo, visto che il nuovo esecutivo si sarebbe dovuto insediare già a dicembre, dopo le elezioni parlamentari, ma l’annullamento delle presidenziali ha messo in standby tutto il processo legislativo e decisionale.
Foto: Vlad Chirea | Libertatea.ro