Il gusto dei croati per il fascismo

Ogni anno nel verde prato di Bleiburg decine di migliaia di persone, provenienti da ogni parte della Croazia, si trovano per glorificare – con tanto di messa e incensi – i fascisti caduti durante la Seconda guerra mondiale. Commemorano i loro martiri, quei soldati ustascia e quei collaborazionisti dello Stato indipendente di Croazia che, agli ordini di Ante Pavelic, sterminarono ebrei, rom e serbi in quantità. Ogni anno il piccolo villaggio austriaco di Bleiburg diventa così la capitale del revanscismo croato, del suo modo distorto di leggere la storia. Al grido di “Per la patria, siam pronti!” – che fu proprio il motto degli ustascia – la folla saluta i suoi eroi. Tra i presenti, non mancano le autorità politiche e quest’anno hanno presenziato in veste ufficiale Zlatko Hasanbegovic, ministro della Cultura, e Tomislav Karamarko, leader dell’HDZ, partito di centrodestra tradizionalmente al potere. Accanto a loro, Branimir Glavaš condannato per crimini di guerra commessi durante le guerre jugoslave degli anni Novanta. Mancava solo la presidente Grabar-Kitarovic, che ci era comunque andata l’anno prima. Questa è l’immagine della Croazia di oggi, che si vuole europea e democratica ma fa il saluto fascista alla memoria degli ustascia uccisi.

Il filo della barbarie

Non manca nulla. Il filo della barbarie è teso, gli stracci del nazionalismo croato vi sventolano tutti: il regime ustascia di Ante Pavelic rinviene attraverso i suoi morti; quello etno-nazionalista di Franjo Tudjman è un vecchio criminale di guerra impettito; il potere neo-ustascia è incarnato dai politici rampanti che assistono alla cerimonia. La continuità tra il passato è il presente è assicurata.

Non c’è da stupirsi, la “nuova” Croazia degli anni Novanta nasce recuperando tutto l’armamentario simbolico e ideologico del regime fascista di Pavelic. E di quel regime ha recuperato anche la criminalità: non a caso Franjo Tudjman, primo presidente della Croazia indipendente negli anni Novanta ed uno degli artefici della dissoluzione della ex-Jugoslavia, è stato riconosciuto post mortem dal Tribunale Penale Internazionale per l’ex-Jugoslavia come principale responsabile delle stragi e deportazioni di civili serbi dalla Croazia nel 1995, avendo ispirato ed organizzato tali operazioni.

La rimozione di Anna Frank

Quel filo non si è spezzato. La Croazia europea e democratica di oggi non smette di strizzare l’occhio a quel retaggio nero. E gli esempi, inquietanti, non mancano e provengono non solo dalla classe politica – che pure legittima, come nel caso di Bleiburg, un certo revisionismo – ma dalla società croata stessa. Nelle scorse settimane un preside di Sebenico, Josip Belamaric, ha ordinato la rimozione di una mostra dedicata alla figura di Anna Frank, organizzata da una associazione partner del Museo Anna Frank di Amsterdam, e destinata agli alunni delle scuole. Il motivo è che tale mostra rappresentava in modo negativo i soldati ustascia, quali organizzatori di campi di concentramento e macellai di migliaia di ebrei. Una falsità, secondo il preside, che ritiene evidentemente l’oblio e la mistificazione il pane migliore per crescere dei baldi giovani neo-ustascia.

La patacca sulla memoria

Non finisce qui. Su quel filo di barbarie che unisce passato e presente del paese, un altro cencio sventola. Non una bandiera, ma una patacca – o meglio, una placca – piazzata all’ingresso del campo di Jasenovac. Sulla patacca ci sono i nomi di undici combattenti morti nelle guerre degli anni Novanta, militanti delle HOS, truppe paramilitari organizzate dall’ultra-nazionalista Partito croato dei diritti. I militanti dello stesso partito, insieme ai veterani di guerra, hanno deciso di onorare la memoria dei loro commilitoni in quello che è il simbolo della bestialità del fascismo croato: Jasenovac, campo di concentramento croato in cui morirono, durante la seconda guerra mondiale, circa 40mila serbi, 15mila ebrei, altrettanti zingari e musulmani. A rinforzare il carattere neofascista dell’iniziativa, il motto “Per la patria, siam pronti!” campeggia sulla patacca a ricordare l’ideale legame tra quei morti e quelli del passato. Fascisti di tutte le ere unitevi! E’ un po’ come se Forza Nuova andasse a piazzare una placca con scritto “Heil Hitler” all’ingresso di Auschwitz.

Il governo non sembra intenzionato a far nulla per rimuovere la placca, così le associazioni ebraiche hanno deciso  di non unirsi alle autorità per il prossimo Giorno della Memoria. D’altronde ci va solo la faccia da culo di Zagabria per celebrare da un lato le vittime della Shoà e dall’altro gli “eroi” del fascismo ustascia.

Il pogrom di capodanno

Per iniziare bene l’anno nuovo, a Zagabria si è deciso di dare la caccia al negro. Uomini incappucciati hanno trascorso la notte di capodanno a pestare migranti e rifugiati a colpi di mazza da baseball, mentre una loro amica riprendeva tutto. Altri eroi della moderna Croazia immortalati per l’eternità! Chissà, forse un giorno avranno anche loro una bella targa commemorativa: “Qui giacciono i volontari della pace che difesero il paese dall’orda dei musulmani infedeli”. Quando la polizia è arrivata era ormai troppo tardi, ma ha comunque fatto in tempo a rifiutarsi di accompagnare i feriti in ospedale. Il fatto è che queste persone sono state aggredite sui trasporti pubblici, in luoghi pubblici e anche di fronte al centro di accoglienza, il che solleva dubbi circa la loro sicurezza e sul livello di connivenza sociale di fronte a queste violenze. Anche la polizia, invece di tutelare la sicurezza, approfitta del clima di impunità e pregiudizio per picchiare i richiedenti asilo, deportarli e calpestare i loro diritti. La tensione sociale nel paese è in aumento, come lo sono povertà e disoccupazione: media e politici fanno il gioco di sempre, spostano sui migranti l’attenzione, dipingendoli come il problema. La solita guerra tra poveri.

Un quadro desolante

Nel cuore del paese il declino economico si combina con la paura dell’immigrazione e dà luogo a un diffuso pregiudizio alimentato dai veterani delle guerre jugoslave che sono la base elettorale dell’attuale leadership al potere. Molti di questi ex-combattenti guardano con nostalgia all’epoca del regime ustascia, ritenendo di doversi ergere a difensori del paese anche in tempo di pace. Il nemico è lo straniero. Il migrante che viene dalla Siria come il musulmano di Bosnia o il serbo vicino di casa.

La memoria dei conflitti inter-etnici, che ha radice fin nelle guerre balcaniche per passare dalle atrocità della Seconda guerra mondiale fino alle guerre jugoslave degli anni Novanta, è sempre una memoria armata, una memoria di parte. E lo è proprio perché il filo col passato criminale e omicida, nei Balcani tutti e in Croazia specialmente, non si spezza. Non deve quindi stupire l’allarme lanciato da Ivica Dacic, ministro degli Esteri serbo, che ha parlato di “fascismo sottotraccia” nella società e nella politica croate. La paura dei serbi nei confronti di una “nuova” Jasenovac, di un nuovo sterminio, è ciò che li ha spinti a sparare per primi nelle guerre jugoslave – in questo debitamente manipolati dalle loro élites criminali. I nazionalismi si alimentano a vicenda. Il nazionalismo croato è oggi costantemente tollerato quando non apertamente alimentato da una narrativa patriottarda e neofascista che trova proprio nella politica i suoi punti di riferimento. Un quadro desolante per il ventottesimo stato membro dell’Unione Europea.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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