La domanda formale di adesione all’Unione Europea presentata da parte della Bosnia Erzegovina lo scorso 15 febbraio a Bruxelles è sicuramente controcorrente rispetto al dibattito che si è innescato sul futuro dell’Unione. In un periodo in cui le parole d’ordine sono exit e fallimento di Schengen, per il paese balcanico l’adesione all’Unione Europea è forse l’unico obbiettivo che accomuna le sue diverse componenti. Con il suo complesso sistema statale, il passaggio allo status di paese membro UE sembrerebbe essere parte della ricetta per risolvere l’impasse politica in Bosnia ed Erzegovina.
C’è molta strada da fare. Corruzione, stagnazione economica e divisione politica attanagliano il Paese. La disoccupazione giovanile ha tassi drammatici del 67% e attrarre capitali stranieri non è semplice in un paese con due ordinamenti, dove trovare una soluzione comune sulle politiche è praticamente impossibile. Tuttavia la recente candidatura fa capire le chiare intenzioni del paese balcanico.
L’Ambasciatore Lars-Gunnar Wigemark, capo della delegazione dell’UE in Bosnia ed Erzegovina, traccia un quadro chiaro del Paese. “Ben coscienti della complicatissima situazione politico-amministrativa che continua da Dayton, abbiamo deciso di focalizzarci su un percorso di sviluppo economico-sociale. Il primo passo, sottoscritto poco più di un anno fa, riguarda un’agenda di riforme atte ad avvicinare la Bosnia Erzegovina agli standard europei. Insieme ai vari soggetti coinvolti, siamo riusciti a sviluppare una strategia che di fatto si è messa in moto la scorsa estate. Rispetto ad altri paesi candidati abbiamo scelto un approccio diverso: abbiamo chiesto loro dei risultati sulle riforme, prima di elargire sostegni economici. Se riescono a risollevare la loro economia, saranno in una posizione migliore anche per arrivare allo status di paese candidato”.
Secondo Wigemark bisogna puntare a migliorare la complessa situazione politica e istituzionale per ottenere lo status di paese candidato – primo passo in vista di aprire poi i veri e propri negoziati di adesione all’UE. Il ministro per il commercio estero e per le relazioni economiche, Mirko Šarović, nell’allargamento dell’UE alla Bosnia ed Erzegovina vede invece la soluzione per uscire dall’impasse politica che blocca il Paese. “Noi siamo in una situazione diversa da altri paesi”, spiega Šarović. “Stiamo cercando di raggiungere una stabilità. Un paese così vulnerabile non dovrebbe stare fuori da una grande comunità democratica come l’Unione Europea. Non abbiamo molto da offrire, ma tanto da ricevere”. Lo stallo politico della Bosnia Erzegovina verrebbe forse risolto dall’entrata in Europa? Secondo Šarović, sì. “I cittadini lascerebbero da parte gli attriti etnici per abbracciare tutti la causa europea. Anche se poveri e piccoli, i paesi dei Balcani hanno dimostrato un alto livello di responsabilità durante questa crisi dei profughi e l’Europa ha capito quanto siamo importanti a livello geopolitico. Ora possiamo chiedere di più a Bruxelles”.
“Abbiamo fatto dei progressi positivi in questo ultimo anno”, continua Šarović. “Ci aspettiamo di ottenere lo status di paese candidato entro il 2017. Abbiamo anche aumentato le esportazioni nel 2015 e i nostri maggiori partner economici sono proprio i paesi dell’Unione”. Dello stesso parere la FIPA, l’agenzia di promozione per gli investimenti stranieri della Bosnia ed Erzegovina, che traccia un quadro roseo del paese e prevede un futuro raggiante. Ma i dati sulle esportazioni non sembrano dar ragione a Šarović.
Ma allora quale medicina per risolvere dei problemi che sembrano insormontabili? La corruzione e l’inefficienza del sistema giudiziario sono le priorità. “La Bosnia Erzegovina è l’unico paese in Europa dove non è stato ancora condannato nessun politico di alto livello”, spiega il ministro degli esteri Igor Crnadak. “Questo non vuol dire che non ci sia corruzione nei ministeri, ma che la giustizia non riesce ancora ad arrivare a colpire i vertici”. Per il Ministro al commercio estero Šarović la ricetta è nella privatizzazione: “La mia opinione è che abbiamo un grave problema nelle istituzioni pubbliche e trovo che l’unico modo per risolverlo sia privatizzare i vari settori. Avevo proposto di iniziare dal settore energetico, ma sono stato criticato fortemente dalla Republika Srpska”. Secondo Šarović, il settore energetico è stato usato dai partiti politici al governo per sistemare persone amiche al suo interno. “La situazione attuale non è sostenibile, ma cambiare anche una singola virgola del nostro statuto sembra essere mission impossible“.