Condannato a vent’anni per terrorismo, questa la sentenza nei confronti di Oleg Sentsov, regista ucraino arrestato l’11 maggio 2014 con l’accusa di essersi procurato esplosivo allo scopo di usarlo contro le autorità russe che nel frattempo avevano occupato la Crimea, sua regione natale. Sentsov è infatti nato a Simferopoli nel 1976 e non ha mai lasciato la sua regione, pur vivendo per lunghi periodi a Kiev. Qui lo sorprende la protesta contro il presidente Yanukovich e subito si arruolerà nelle fila di Automaidan.
Quando la crisi si sposta in Crimea, Sentsov torna a Simferopoli e si mette a disposizione per consegnare cibo e generi di prima necessità ai soldati ucraini intrappolati nelle loro basi. E’ in quei giorni che viene arrestato da agenti del FSB, il servizio segreto federale russo, attivi in Crimea allo scopo di stroncare qualsiasi protesta. L’accusa è di avere “pianificato attacchi” e di essere in possesso di esplosivi, un terrorista quindi. Difficile verificare la bontà di tali accuse ma quel che è certo è che, né a Kiev né in Crimea, Sentsov sia mai stato partecipe di atti di violenza. Lui si dichiara vittima di un processo politico: punirlo serve a spaventare coloro che non accettano l’autorità russa sulla penisola.
L’arresto di Sentsov scatena subito la protesta di molti intellettuali e registi europei, tra cui Ken Loach e Pedro Almodovar, che indirizzano una richiesta di rilascio al presidente russo Vladimir Putin. In quei giorni convulsi, però, la notizia non arriva alle prime pagine dei giornali europei ma si limita a qualche trafiletto di fondo. La Russia è un paese difficile da mettere a fuoco, così avviene che si scambiano oligarchi e faccendieri per campioni della democrazia mentre piccoli uomini pagano, nel silenzio assoluto, il prezzo di scelte coraggiose. Poiché non si può negare che – comunque la si pensi in merito – opporsi all’occupazione russa della Crimea è una scelta coraggiosa, specie quando tale opposizione non si risolve in qualche proclama da far girare nei salotti buoni dell’intelligencjia europea, ma è pratica quotidiana fatta alla luce del sole, con tutti i rischi del caso.
La condanna a vent’anni di reclusione, comminata da un giudice del tribunale di Rostov sul Don, iscrive Sentsov nel pantheon dell’antiputinismo europeo, sempre in cerca di martiri da vendere a un pubblico imbonito con retoriche da guerra fredda. C’è però da ritenere che Sentsov non cercasse questa aureola. La patente da “nemico del Cremlino” l’ha ottenuta suo malgrado, a differenza dei vari Khodorkovskij che se ne fanno vanto quando vengono presi con le mani nella marmellata. Così, mentre gli oligarchi caduti in disgrazia cercano accomodamenti per i loro affari, Sentsov resta un uomo nudo, solo, in piedi davanti a una giustizia farsesca e brutale.
E – in piedi – è lui, l’imputato, ad accusare. “Una corte che rappresenta gli occupanti non può che essere ingiusta”, dice nel suo discorso finale. E citando il Ponzio Pilato de Il maestro e margherita, capolavoro dello scrittore ucraino Michail Bulgakov, dice: “Non c’è peccato peggiore sulla Terra che la codardia”. E ammonisce: “Anche noi abbiamo avuto un regime criminale, ma l’abbiamo sfidato. Non volevano ascoltarci, così abbiamo suonato i bidoni come tamburi. Non volevano vederci, così noi abbiamo incendiato pneumatici sulla piazza. Alla fine abbiamo vinto. La stessa cosa accadrà a voi, presto o tardi. Non so in che modo accadrà e non voglio che nessuno soffra per questo. Semplicemente spero per voi che non siate più governati da criminali”.