SLAVIA: "Giogo tataro" o "eurasianesimo"? L'influenza dei tataro-mongoli sulla Russia

Russia mia! Donna mia! Il nostro cammino è dolorosamente chiaro: un dì la volontà di una freccia tatara l’ha tracciato per noi trafiggendoci il seno”.

Con queste parole il poeta russo Alexander Blok esprimeva in versi l’opinione secondo cui le invasioni tataro-mongole avrebbero avuto conseguenze determinanti per lo sviluppo della Russia. Blok, il più grande poeta russo dopo Puškin, si inseriva in un dibattito che dall’Ottocento caratterizzava le élites culturali russe: qual è stato il ruolo della Russia nella storia, e che cosa è la Russia?

Il “giogo” tataro

Una domanda difficile per un paese dalla grande storia e dai bruschi e repentini stravolgimenti: le invasioni mongole, il regno di Pietro il Grande, la Rivoluzione d’Ottobre e la caduta dell’Urss sono avvenimenti su cui gli storici ancora oggi non trovano accordo e che segnano uno scarto rispetto alla precedente fase storica. Per quanto riguarda l’influenza mongola sui russi molte sono le teorie degli storici e degli intellettuali. Secondo alcuni la dominazione tataro-mongola avrebbe avuto conseguenze devastanti, portando il paese all’imbarbarimento e all’allontanamento dallo sviluppo europeo. Ecco allora che tale dominazione diventa negativa, un “giogo” che ha costretto i russi alla servitù segnandone il ritardo rispetto agli altri slavi e, più in generale, nei confronti dell’Europa.

Queste valutazioni muovono dalla Russia ottocentesca che, dopo aver ricacciato Napoleone, non ha saputo cogliere gli elementi positivi della Rivoluzione francese imbrigliando la società in un immobile autoritarismo che ha impedito, di fatto, la rivoluzione industriale nel paese. Al mancato sviluppo industriale si deve l’arretratezza russa (e sovietica) nel corso del Novecento fino ad oggi. Tutto sarebbe colpa dei mongoli. Una tesi fatta propria anche da Karl Marx che scrisse come “nel fango insanguinato della schiavitù mongola e non nella gloriosa rudezza dell’epoca normanna [quella dei vichinghi di Kiev] è nata quella Moscovia di cui la Russia moderna non è che una metamorfosi”. E proseguiva dicendo che “la potenza moscovita nacque e crebbe a quella scuola di abiezione che fu la terribile schiavitù imposta dai mongoli. […] Alla fine Pietro il Grande cementò insieme l’acume politico del vecchio schiavo al servizio del padrone, con le orgogliose aspirazioni del capo tataro che vuole conquistare il mondo”.

La scuola eurasiana

Nella parole di Marx riecheggia l’idea antica, già proposta da Erodoto, che contrappone l’Europa “della libertà” all’Asia del despotismo. Erodoto aveva in mente le città greche opposte all’impero persiano ma l’antinomia si è prestata a numerose rivisitazioni nei secoli. La Russia venne così annoverata dai suoi detrattori come una potenza “asiatica”, autoritaria e distante dai valori europei. E il carattere asiatico della Russia andava ricercato sia nella dominazione mongola che nella cultura bizantina, immobile e autocratica. A questa visione si opposero, in Russia, scrittori e saggisti che invece vedevano nell’eredità mongola e bizantina i due aspetti fondamentali della diversità russa: essi opponevano al razionalismo europeo, per loro nefasto, una spiritualità irrazionale che diventava idea-forza capace di portare la Russia verso il dominio del mondo.

L’idea-forza è la stessa, come abbiamo visto, formulata da Gengis Khan e consapevolmente gli eurasiatisti la ripresero. Dopo l’oblio del periodo sovietico l’eurasiatismo è tornato in auge in Russia. L’opera del filosofo Alexander Dugin propone un neo-eurasiastismo che vede nella Russia la nazione guida del blocco post-sovietico e dell’Europa tutta in funzione anti-americana. A differenza del pan-slavismo, idea politica che pone la Russia alla testa delle nazioni slave, incaricata della missione della libertà per gli slavi oppressi, l’eurasiatismo si pone in diretta connessione con l’oriente asiatico e vede nell’alleanza con la Cina e l’India il motore della conquista universale.

L’ossessione mongola

Quella del “pericolo giallo” è un’altra idea ricorrente nel mondo intellettuale russo. Idea che tradisce paure profonde che individuano nell’Asia la madre delle invasioni, dei reggimenti di formiche che preludono alla perdita di libertà e allo stato totalitario. L’ossessione mongola è ricorrente nella letteratura russa specialmente nei periodi di incertezza. Il termine “mongolo” diventa allora sinonimo di “asiatico”: all’indomani della guerra russo-giapponese, che vide la vittoria dello stato asiatico, in Russia si diffuse il timore dell’invasione “gialla”. Un’idea sviluppata già dal filosofo Vladimir Solov’ev che paventava, nel 1894, una imminente nuova invasione di “mongoli innumerevoli e insaziabili come le cavallette”.

E’ interessante notare come lo scrittore polacco Stanislaw Witkiewicz desse alle stampe, nel 1927, un romanzo dal titolo “Insaziabilità” ambientato “nel superbordello di una metropoli cosmica” in un’epoca immaginaria in cui disfacimento e superomismo si fondono, segnando la fine di una civiltà corrotta e minacciata dall’arrivo di un esercito “rosso” che come cavallette tutto divora e distrugge. Quando nel 1939 l’esercito sovietico invase la Polonia molti videro nell’opera di Witkiewicz una premonizione. Per i polacchi l’oriente despotico e totalitario era però la Russia. Segno che ognuno ha la sua Asia con cui fare i conti.

L’eredità tataro-mongola nei costumi e nella lingua

Al netto delle paranoie e delle ideologie, l’eredità tataro-mongola sulla Russia è concreta. Se non se ne può indagare in modo oggettivo l’influenza sulla mentalità, e quindi sulle idee politiche e sociali, è però possibile constatare quante siano le parole russe di origine mongola. La maggior parte dei termini commerciali russi è di origine mongola: “bazar” (mercato); “tovar” (merce); “sunduk” (forziere); “barys” (profitto); “tamoznja” (dogana) segno delle intense attività commerciali tra russi e mongoli. Ancora oggi nel centro di Mosca è possibile passeggiare lungo l’Arbat, un quartiere che trae il nome dal “ribat”, la locanda in cui i commercianti alloggiavano e cambiavano i cavalli. E i mercanti tatari entravano in città per quella che ancora oggi è la Bol’saja Ordynka, la strada dell’Orda d’Oro.

Per i russi il dominio mongolo è coinciso anche con le (troppe) tasse. Ben presto i russi dovettero pagare i tributi in moneta sonante e non con il grano o altre derrate. Questo portò allo sviluppo del rublo che fece la sua comparsa a Novgorod e Mosca a metà del XIII secolo. Il valore del rublo era di cento den’gi, termine che oggi sta per “soldi” e che deriva dal tataro “tenga”. Anche il copeco, pari oggi ai centesimi di rublo, era una moneta in uso presso il tatari (il kopak).

La durezza dell’occupazione tatara ha lasciato anche vocaboli come “kandaly” col significato di “ceppi, catene”. Anche l’uso russo di sedersi su un tappeto o su un materasso (il tjuffiak) deriva da un’usanza tatara di sedersi sui tappeti (tusak).

All’ombra della pax mongolica

L’abbondanza di termini commerciali dimostra quanto intensi fossero gli scambi sotto il dominio tataro-mongolo. Un dominio che non fu mai particolarmente oppressivo: i russi poterono conservare le loro usanze; i nobili mantennero i propri privilegi e mai i nuovo dominatori cercarono di sostituirli con membri dell’élite mongola. La differenza di religione portò il popolo russo a riunirsi intorno alla fede comune in un ripiegamento nazionale facilmente comprensibile che giovò alla costruzione di una identità comune, cosa quest’ultima assai importante visto che i principati russi erano in costante guerra tra loro prima dell’arrivo dei mongoli.

Malgrado l’enorme pressione fiscale, i russi poterono sviluppare una solida economia favorita dall’introduzione dell’efficiente sistema di comunicazioni mongolo e dall’edificazione di nuove strade. Le città russe finirono al centro di una fitta rete di commerci tra l’Europa e l’Asia che contribuì allo sviluppo dell’artigianato. Le lunghe carovane cariche di merci che partivano da Venezia, Bruges, Parigi, passavano per quella Russia che cresceva di ricchezza e forza all’ombra della pace mongolica. Forse, senza la pax mongolica, la Russia non sarebbe mai cresciuta al punto da poter costruire un impero diventando la potenza mondiale che è stata ed è. 

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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Un commento

  1. interessante articolo, non so quasi nulla della dominazione mongola della Russia.

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