nazioni sorelle

Russia, Bielorussia e Ucraina sono davvero nazioni sorelle?

Da anni le autorità di Mosca portano avanti una politica della memoria tesa a dimostrare l’esistenza di uno spazio storico e identitario russo che comprenderebbe anche la cultura ucraina e quella bielorussa, descritte come ‘nazioni sorelle’. Tale narrazione omette volutamente tutti quegli elementi che mettono in evidenza differenze e peculiarità locali, bollandoli come espressione di nazionalismo. La retorica delle ‘nazioni sorelle’ nasconde però una visione coloniale e gerarchica, in cui le ‘sorelle’ sono minori rispetto alla prevalente identità russa. La recente crisi ucraina mostra le ricadute politiche di tale visione.

Come ricordato di recente dallo storico Timothy Snyder, lo scorso luglio il presidente russo Putin ha pubblicato una strana missiva sull’Ucraina e la Russia e le loro relazioni storiche. L’idea di base è che mille anni fa esistesse un paese chiamato Rus’, la cui città più importante era Kiev, e quindi gli ucraini non sarebbero altro che russi, tanto che lo stato ucraino non avrebbe nemmeno senso di esistere. Ma è davvero così?

L’etnonimo rus’

Occorre innanzitutto chiedersi cosa vuol dire “russo”. Il termine rus’ indicava originariamente genti di origine germanica che, provenienti dalla Scandinavia, discesero i grandi fiumi delle pianure dando vita a strutture statali organizzate in cui un’élite germanica dominava su una più vasta popolazione slava. Gli slavi chiamavano rus’ queste genti germaniche prendendo in prestito un termine in uso presso i popoli baltici che per primi fecero le spese della penetrazione germanica.

Il primo ad accorgersene fu un linguista danese, Vilhelm Thomsen, nel 1876: “Rus è il nome assegnato alla Svezia da tutti i popoli del Baltico: in finlandese la Svezia è denominata Ruotsi, in estone Rôts, in livone Ruotsi, e Rôtsi presso i Voti [antico popolo baltico]. Non solo il nome deve corrispondere allo slavo Rus’ ma è altresì fuor di dubbio che tragga origine dalla denominazione finnica”. Francis Conte, slavista della Sorbona di Parigi, spiega l’etimologia del termine “Ruotsi”: esso deriverebbe dall’antico norreno “rôdhr”, poi “rods-menn”, ovvero “gli uomini che remano”. Si tratta di coloro che noi chiamiamo vichinghi, norreni o normanni, e che le fonti bizantine chiamavano variaghi.

Quindi, riassumendo, rus’ è un termine che si riferiva ai vichinghi, non agli slavi. E i primi regni dei rus‘ furono fondati dai vichinghi, non dagli slavi, e furono guidati da un’élite germanica, non slava. I russi di oggi portano quindi il nome dei loro dominatori. Perché?

La Rus’ di Kiev

Tra le città fondate dai vichinghi ci furono Suzdal’ e Rjazan’, Novgorod e Kiev. Queste ultime divennero importanti centri commerciali attorno a cui si svilupparono due entità statali slavo-normanne. Vale la pena ricordare come Mosca all’epoca non fosse altro che un villaggio finnico del tutto privo di importanza. Fu invece Kiev ad assurgere a un ruolo dominante nella regione.

Le élites germaniche subirono processi di acculturazione che, in meno di due secoli, le portarono a slavizzarsi, mantenendo l’etnonimo rus’ ed estendendolo all’intera compagine slavo-normanna anche se l’aristocrazia kieviana (i boiari) restarono in prevalenza di origine normanna per tutto l’alto Medioevo e anche oltre. Lo sviluppo dello stato kieviano, favorito dalla vicinanza con il mondo bizantino e mediterraneo, si arrestò nel XIII secolo con l’arrivo dei tataro-mongoli.

La Rus’ di Kiev e gli stati moderni

La dominazione mongola segnò il declino degli stati slavo-normanni e gettò le basi per l’ascesa del ducato moscovita la cui progressiva espansione porterà alla nascita del moderno stato russo. Non c’è dunque alcuna continuità diretta tra la Rus’ kieviana e lo stato russo di oggi. Mosca fu, in un certo senso, un nuovo inizio. E se è vero che la dinastia regnante in Moscovia fu quella normanna dei Rjurikoviči, è anche vero che ormai tale dinastia non aveva più alcun connotato germanico anzi, come ricorda Francis Conte, il modello di riferimento politico-culturale per la nuova classe dirigente moscovita era, paradossalmente, quello mongolo.

Il Granducato lituano, erede della Rus’?

Se il moderno stato russo non è l’erede della Rus’ di Kiev, lo è forse il Granducato di Lituania? Fondato a metà del XIII secolo, lo stato lituano estese rapidamente il proprio dominio su larga parte dei territori kieviani, conquistati a seguito della progressiva disintegrazione dei khanati tatari e dell’Orda d’oro. Città come Vilnius, Minsk, Vitebsk, Smolensk e Kiev entrarono a far parte di uno stato che si pretendeva discendente della Rus’ kieviana entrando così in competizione con il ducato moscovita.

A differenza del vicino moscovita, il Granducato si costituì come stato multi-etnico, benché a maggioranza slava e di religione ortodossa. Un interessante approfondimento sul tema è stato realizzato dalla rivista New Eastern Europe che, intervistando Serhii Plokhy, storico di Harvard (dove dirige lUkrainian Research Institute) spiega come nel tempo si sviluppò “un forte senso di appartenenza verso lo stato lituano e le sue istituzioni” che “approfondì le divisioni culturali tra gli slavi orientali” contribuendo alla nascita delle moderne identità ucraina e bielorussa le quali, pur con diverse sfumature, vennero chiamate “rutene”. La nascita delle moderne identità bielorussa e ucraina andrebbero quindi ascritte alla competizione tra lo stato lituano e quello moscovita, con relativi processi di identificazione e differenziazione. In tal senso, le culture ucraina e bielorussa non sarebbero “sorelle minori” di quella russa, ma al limite “cugine“, originate dallo sviluppo di due poli opposti, quello facente capo a Mosca e quello che gravitava attorno all’asse Vilnius-Minsk-Kiev.

Ruteni, russini, russi bianchi

Il termine “ruteno” ha la stessa radice di “russo” e, a partire dal XVI secolo, viene usato per indicare gli abitanti del Granducato di Lituania. Solo successivamente la burocrazia asburgica prese a chiamare “rutene” le genti dell’attuale Ucraina occidentale, talvolta sovrapponendole e confondendole con le popolazioni polacche della Galizia (che aveva in Leopoli il suo principale centro urbano).

A seguito della conquista russa della Lituania (1654-1667), le autorità zariste – in cerca di legittimazione – si sforzarono di ricondurre le identità locali a una più grande appartenenza russa. Fu allora che il termine “ruteni” venne sostituito da “russini” o “piccoli russi” per indicare le popolazioni dell’Ucraina e della Bielorussia. “Piccola Rus’” (Malaja Rus’, o anche poi Malorossija) era come venivano chiamate le terre ucraine all’indomani della conquista zarista, mentre il termine “Ucraina” veniva esclusivamente utilizzato nell’accezione negativa di “periferia”, dall’etimologia di “u krajna”, ovvero “vicino, presso” (u) e “limite”, “bordo” (kraj). Fin dalle scelte lessicali si capisce come la mentalità delle classi dirigenti russe vedesse i “fratelli” ucraini e bielorussi: essi erano “piccoli”, minori, da tutelare e sottomettere alla più grande nazione russa.

Una sola nazione?

Arriviamo così ai giorni nostri. Il 12 luglio 2021 il presidente russo Putin pubblicò un documento dal titolo “Sull’unità storica di russi e ucraini” in cui proclamava russi, bielorussi e ucraini parte di una sola nazione. Secondo il presidente russo, questi tre popoli discendevano tutti dalla Rus’ di Kiev e le attuali differenze non sarebbero altro che il risultato dell’influenza polacco-lituana che, attraverso il cattolicesimo e la latinizzazione, avrebbe cercato di rompere l’unità russa. Unità restaurata grazie alle conquiste zariste e alla successiva dominazione sovietica.

La corruzione dell’anima genuinamente russa è venuta quindi dall’occidente latino e ucraini e bielorussi ne sono stati vittime. Non esisterebbe quindi un’identità bielorussa o ucraina, esiste solo un’identità russa che, nei popoli “fratelli”, si è un po’ annacquata, imbastardita, ma che può essere salvata e depurata riconducendola alla sua vera natura. Una visione nazionalista ed etnocentrica, che nega all’identità ucraina e bielorussa un proprio status culturale, derubricandole a versioni impure della più genuina identità russa.

Nazioni sorelle?

In conclusione, se è esistita una comune radice slavo-normanna all’origine delle varie statualità russa, ucraina e bielorussa, essa è anche troppo lontana per essere direttamente riconducibile alle nazioni odierne che sono, invece, il risultato di separazioni, divorzi, influenze diverse, da quella mongola a quella cattolico-latina.

La retorica delle “nazioni sorelle” contiene degli elementi di verità, poiché è innegabile una continuità e contiguità linguistica e culturale tra i moderni slavi orientali, ma essa nasce dall’intenzione di usare il passato a uso e consumo del presente al fine di giustificare politiche espansionistiche o aggressioni militari.  Se la retorica delle “nazioni sorelle” affermasse pace, cooperazione, reciproco rispetto, sarebbe anche una bella favola a cui credere. Ma nel momento in cui viene utilizzata per giustificare politiche imperialiste da parte del Cremlino, diventa un incubo da cui è necessario svegliarsi.

 

 

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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