ALBANIA: Golpe, sommossa, rivolta. Oppure no

di Matteo Zola

La polizia non arresta i suoi capi

Mentre Berisha accusa l’opposizione di tentato golpe e minaccia “punizioni gravissime”, la Procura di Tirana emette sei ordini di arresto nei confronti degli ufficiali della Guardia della Repubblica. Tra questi anche esponenti di vertice come il comandante Ndrea Prendi: lo confermano fonti della Procura. Gli ordini sono stati emessi dalle prime ore di sabato, ma la polizia rifiuta di eseguire gli arresti senza dare spiegazioni. I vertici della Guardia Repubblicana sono accusati di omicidio plurimo, uso eccessivo della forza e abuso d’ufficio. Fare giustizia potrebbe placare gli animi, ma il condizionale è d’obbligo. Certo le proteste dei giorni scorsi non riguardano la totalità del popolo albanese, Berisha gode di ampio consenso anche grazie a un fitto sistema clientelare. Ma se la polizia rifiuta di arrestare i propri capi, non fa altrettanto con l’opposizione: ben 113 manifestanti sono stati tratti in arresto con l’accusa di essere responsabili dei disordini.

Banditi e teleschermi

La retorica del giorno dopo passa per i teleschermi, con le tv pro o contro Berisha a trasmettere conferenze stampa di accuse reciproche. Il leader dell’opposizione Edi Rama, a capo del Partito socialista, afferma che nulla lo fermerà e che è deciso a proseguire fino al raggiungimento del suo obiettivo: mandare a casa il premier Berisha e indire nuove elezioni libere e democratiche. A fare da corollario alla presa di posizione di Rama non sono mancate dichiarazioni meno moderate come quella di Spartak Ngjela, alleato di Edi Rama, che commentando sulla determinazione a proseguire le manifestazioni ha dichiarato che per allontanare Berisha non verranno risparmiati “3, 3000 o 13 mila morti”. Toni decisi anche da parte del premier Sali Berisha: “Rispetteremo la legge e le istituzioni. Se Edi Rama si comporta come un bandito, avrà la risposta che i banditi meritano”.

L’intervista

Giovanni Sergi, docente di urbanistica a Tirana, intervistato da Il Corriere della Sera, minimizza: “Faccio fatica a vedere nelle violenze esplose l’altro giorno a Tirana una «crisi di sistema» come quella che nel 1997 portò Berisha a dimettersi da presidente, dopo lo scandalo delle «piramidi truffa» che permisero a molti di arricchirsi alle spalle di decine di migliaia di risparmiatori”.
E prosegue. “A Tirana e dintorni vivono oggi un milione di persone, in piazza ne sono scese 20 mila: uno su cinquanta. In Albania esiste una classe media contenuta in termini numerici e fragile quanto a coscienza dei propri diritti. Pure i miei colleghi tendono a non parlare di politica neanche al bar, per quanto credo siano consapevoli dei limiti del governo. Guardando le immagini delle proteste ho avuto l’impressione che si tratti di uno scontro tra gruppi organizzati che vivono di politica e che cercano di arruolare la parte più indifesa della popolazione, come i giovani di periferia”. Gli esclusi da un benessere oggi — secondo Sergi — ampiamente diffuso. “All’epoca delle piramidi truffa c’era un’Albania ancora povera. Oggi non è più così. Basta guardare la gente in giro: si veste bene, affolla bar e ristoranti, si muove volentieri in taxi”. Lo confermano i dati statistici: “L’Albania è il paese che nel 2009 ha avuto il più alto sviluppo economico nei Balcani occidentali, con il Pil medio pro capite passato in 9 anni da 1.650 a 5.400 dollari e un tasso di disoccupazione fermo al 12,5%”. Per Sergi, quella albanese nonostante la crisi “resta una società pervasa da ottimismo e voglia di fare, tant’è che una parte di coloro che vent’anni fa decisero di emigrare all’estero, ora ritorna“.

Pochi ma buoni (?)

Insomma, quel che sembra è che le proteste, organizzate dal partito di Rama, coinvolgano una minima parte della popolazione: quelli più scolarizzati e consapevoli dei propri diritti democratici; e quelli che sono militanti di partito, capaci di far leva sul malcontento dei più giovani. Giovani non ricchi, di periferia, esclusi dagli studi e dal lavoro, deboli e manipolabili. E se “golpe” è fin da subito sembrata una parola grossa, e “rivolta” serviva ad evocare inopinatamente i fatti tunisini, la protesta di venerdì si può forse leggere come un episodio di malcontento organizzato. Malcontento nei confronti della corruzione diffusa e del potere di un autocrate come Berisha, ma circoscritto. La reazione della polizia che ha sparato sulla folla, però, potrebbe essere il detonatore per più ampie proteste. Intanto Rama ha indetto per venerdì prossimo nuove manifestazioni, allora sapremo di più sui destini dell’Albania.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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