La guerra di Elstin (1994-1996)

Dalla disgregazione dell’URSS la Cecenia ereditò un arsenale di 40mila armi automatiche che, in assenza di un esercito, finirono nelle mani di privati cittadini alimentando il crimine organizzato. Tuttavia, quando la Russia mosse guerra, trovò la resistenza cecena ben equipaggiata. Così quando il 26 novembre le truppe degli oppositori di Dudaev, finanziati e appoggiati da Mosca, conquistarono Grozny, vennero rapidamente ricacciati indietro e sbaragliati dall’azione delle truppe fedeli a Dudaev. Elstin decise così per l’intervento diretto con l’appoggio dell’allora primo ministro Cernomyrdin. L’11 dicembre 1994 le forze armate russe lanciarono un attacco missilistico su Grozny da tre fronti. L’attacco principale venne temporaneamente fermato dal vice comandante dell’esercito russo il generale Eduard Vorobyov come protesta perché considerava un “crimine mandare le forze armate contro il mio stesso popolo” dato che a Grozny era presente una folta comunità russa. Nelle parole di Vorobyov c’era però anche l’eco dell’identità sovietica per la quale, ceceni o russi, i civili erano tutti “concittadini” su cui l’esercito non poteva far fuoco (un po’ come accadde a Vukovar con l’esercito nazionale jugoslavo…). L’opposizione militare all’intervento in Cecenia iniziò quindi non la guerra stessa e furono molti gli alti gradi dell’esercito a dimettersi in segno di protesta. Ivan Babicev guidava una colonna di carro armati quando si trovò a bloccargli la strada una folla di civili. L’ordine di Mosca era quello di sparare, ma Babicev si oppose dicendo che “l’ordine di distruggere i villaggi è un ordine criminale e l’esercito non compie azioni criminali”. La sfiducia dei soldati verso Elstin crebbe rapidamente ma, rimossi gli oppositori, l’operazione russa riprese senza distinguere civili da miliziani. La resistenza cecena trovò nel terrorismo l’arma per opporsi a Mosca.

Il più spettacolare fu l’attentato ceceno all’ospedale di Buddenovsk, dove mille civili vennero presi in ostaggio dalle truppe cecene. L’azione era guidata da Shamil Basaev, il più importante capo militare delle bande cecene. Il primo ministro Cernomyrdin trattò per il rilascio degli ostaggi, il tutto in diretta televisiva. Alla fine i ceceni non ottennero il ritiro delle truppe russe dalla Cecenia ma poterono ritirarsi indisturbati. L’azione, vista da tutta la Russia, mostrò la debolezza del governo a un paese non abituato a essere informato, vista la coltre di censura che veniva fatta calare all’epoca dell’URSS su ogni fatto che mettesse in dubbio la forza del potere centrale. Questo si tradusse in un calo di consensi verso la guerra e verso Elstin.

Nel gennaio del 1996 truppe guidate da un signore della guerra ceceno, Salman Raduev, uno dei leader della resistenza, assaltarono l’ospedale di Kizliar, oltre il confine ceceno, in Daghestan, prendendo in ostaggio pazienti e personale medico. Le forze russe assaltarono l’ospedale e si fermarono solo quando i ceceni cominciarono a uccidere gli ostaggi. Si giunse così a trattative e ai ceceni venne assicurato un corridoio per la fuga, ma i russi non mantennero la parola e spararono sul convoglio di combattenti in fuga che portava con sé ancora ostaggi che ovviamente morirono nell’attacco.

Nell’aprile del 1996 i russi uccidono Dudaev mentre era telefono satellitare con un membro del parlamento russo che cercava di organizzare una trattativa. Le forze russe usarono il segnale satellitare per colpire Dudaev con un missile telecomandato che uccise lui e due suoi aiutanti. A Dudaev subentrò Aslan Mashkadov, comandante delle forze armate.

Nel 1996 andarono in scena le elezioni presidenziali russe e Elstin sembrava non dovesse essere riconfermato a causa del malcontento generale verso la guerra in Cecenia. Contro di lui c’era il leader del partito comunista Ghennadi Zjuganov e il generale Alexander Lebed, Grazie all’intervento degli oligarchi, in particolare di Boris Berezovskij e della cosiddetta “famiglia”, Elstin riuscì a essere rieletto e nominò Lebed a capo del consiglio di sicurezza. Al contrario di quanto promesso in campagna elettorale, Elstin non pose fine alla guerra e per tutta risposta, il 6 agosto del 1996, millecinquecento combattenti ceceni presero d’assalto Grozny facendo 12mila prigionieri russi. Mosca lanciò allora un ultimatum perché i ceceni lasciassero Grozny ma non rispettò i termini e bombardò la città prima del tempo, uccidendo migliaia di persone, anche cittadini e soldati russi. Le immagini del massacro e dei 220mila profughi di Grozny fecero il giro del mondo, Elstin di fronte al disastro ordinò la ritirata dell’esercito russo e con gli accordi di Khasaviurt venne siglata una pace che lasciava, volutamente, aperta la questione dello status della Cecenia.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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