Governo armeno contro chiesa apostolica

ARMENIA: Il governo contro la Chiesa Apostolica

I rapporti tra il governo armeno e la Chiesa Apostolica Armena hanno toccato il punto più basso nell’ultimo mese

Lo scorso maggio, il Primo Ministro, Nikol Pashinyan e sua moglie, Anna Hakobyan, hanno accusato pubblicamente il clero di pedofilia, nonché di non rispettare il voto di celibato. Nei giorni seguenti, in un post su Facebook, Pashinyan ha affermato che il Catholicos armeno, Karekin II, avesse una figlia e avrebbe dunque dovuto dimettersi. A tal proposito, il primo ministro ha proposto di creare un consiglio — da lui personalmente nominato — incaricato di eleggere un nuovo Catholicos della Chiesa Apostolica Armena.

In risposta a tali accuse, il portavoce di Karekin II, padre Zareh Ashuryan, ha accusato Pashinyan – in un post – di essere circonciso, paragonandolo a Giuda e suggerendo che egli non fosse cristiano. Quest’ultimo ha ribattuto proponendo di (di)mostrare che l’insinuazione fosse falsa, richiamando nuovamente il Catholicos a dichiarare se egli avesse infatti o meno una figlia.

Questo botta e risposta è stato visto da molti in Armenia come un atto deliberato di mancanza di rispetto nei confronti della Chiesa. Per una nazione in cui la religione è profondamente intrecciata con l’identità e la memoria nazionale, le parole – e insulti – di Pashinyan hanno più peso di un teatrino politico: hanno alimentato una situazione già instabile tra Chiesa e governo, andando ad infangare la professionalità e serietà della classe politica, nonché ad inficiarne la fiducia.

Galstanyan e Tavush for the Motherland

Lo scontro tra Chiesa e Stato non è un fenomeno nuovo, soprattutto non è il primo caso di interferenze tra le due sfere. La Chiesa Apostolica Armena si è infatti sempre schierata dalla parte del governo pre-rivoluzione di velluto del 2018. Inoltre, durante il periodo autoritario, ha spesso evitato di condannare corruzione e violazioni dei diritti umani da parte del governo di Sargsyan.

Successivamente alle sconfitte inflitte dall’Azerbaigian nel 2020 e 2023, il Catholicos aveva richiesto le dimissioni del primo ministro Pashinyan. La Chiesa ha sempre condannato le attuali politiche di normalizzazione dei rapporti con la Turchia e l’Azerbaigian, nonché relative alla firma di un accordo di pace con quest’ultimo.

Inoltre, in risposta al processo di delimitazione territoriale nella part nord-orientale dell’Armenia (regione di Tavush) che ha avuto luogo a partire dalla primavera scorsa, era emerso l’arcivescono Bagrat Galstanyan a guida del movimento “Tavush for the Motherland” – poi divenuto “The Holy Struggle”. Ciò che era iniziato come una serie di proteste locali nella provincia di Tavush contro piani controversi di delimitazione dei confini si è evoluto in un movimento di protesta a livello nazionale. L’arcivescovo si era inoltre dichiarato pronto a candidarsi in opposizione all’attuale primo ministro. Sebbene Galstanyan non possa candidarsi a cariche politiche a causa della sua doppia cittadinanza armeno-canadese, egli ha rinunciato ai voti ed è diventato un simbolo dell’opposizione al governo di Pashinyan.

Dopo mesi di silenzio – l’ultima protesta in strada è avvenuta nell’ottobre 2024 – le autorità armene hanno perquisito, nelle scorse settimane, le abitazioni di decine di esponenti dell’opposizione e dell’arcivescovo Bagrat Galstanyan, arrestato insieme ad altri 13 individui con accuse gravi di “attentati terroristici” e “tentato colpo di Stato”.

Secondo il Comitato d’Investigazione armeno, l’organizzazione guidata da Galstanyan aveva reclutato circa 1.000 persone, tra cui molte ex-militari o poliziotti, per formare “squadre d’assalto” finalizzate a bloccare strade, danneggiare infrastrutture, compiere atti violenti e costringere il governo alle dimissioni.

Le perquisizioni, svolte in circa 90 abitazioni, avrebbero portato al sequestro di armi, munizioni, documenti operativi, piani di azione e dispositivi esplosivi, ma gli arrestati respingono le accuse, bollandole come “persecuzione politica”. È poi seguito l’arresto dell’arcivescovo Mikael Ajapahyan, accusato di incitare alla presa illegale del potere.

L’importanza della Chiesa Armena  

Per gran parte della popolazione, la Chiesa Apostolica Armena è stata – ed è tutt’ora – il principale garante dell’identità nazionale armena. Essa è infatti molto più di un’istituzione religiosa: è un pilastro storico, culturale e identitario per il popolo armeno. Fondata nel I secolo d.C. e riconosciuta come religione di Stato nel 301 d.C., la Chiesa ha giocato un ruolo fondamentale nella preservazione della lingua, della cultura e della memoria collettiva armena, soprattutto nei momenti più critici, come quello del genocidio armeno del 1915.

Per milioni di armeni in patria e nella diaspora, la Chiesa rappresenta un legame profondo con le proprie radici storiche e spirituali. Anche tra chi non è particolarmente praticante, essa gode di grande rispetto simbolico, ed è considerata custode della nazione e della sua continuità nel tempo. Nella diaspora, in particolare, la Chiesa è spesso il centro attorno a cui ruotano scuole, attività culturali e commemorazioni, come quelle legate al genocidio.

“Io sono armena e sto con la Chiesa Armena oggi e tutti i giorni, perché è una parte integrante della mia identità – indipendentemente dalla mia religiosità. È l’ultima istituzione che difende la mia identità nazionale, valori e storia. È l’istituzione che è stata al fianco della nostra nazione durante i giorni più bui della nostra storia”. (Citazione presa da un post di una ragazza armena a seguito delle vicende sopra citate)

Le elezioni del 2026

Dunque, questi ultimi avvenimenti avranno delle conseguenze importanti per l’attuale governo di Nikol Pashinyan. Prima di tutto, il linguaggio e i modi utilizzati – benché da entrambe le parti – hanno portato ad una perdita di professionalità e legittimità soprattutto del primo ministro. In secondo luogo, l’attacco alla Chiesa ha dato nuova energia a una base crescente di cittadini che vedono l’attuale governo come debole, irresponsabile e scollegato dai valori storici del Paese. In conclusione, questi sviluppi sollevano interrogativi urgenti sul restringimento dello spazio democratico e sull’utilizzo strumentale del sistema giudiziario. Le autorità sostengono che la sicurezza nazionale sia a rischio, ma il popolo percepisce queste misure come un tentativo di mettere a tacere il dissenso alla luce delle elezioni del prossimo anno – il cui risultato non è poi più così scontato.

Chi è Denise Gislimberti

Studentessa magistrale al secondo anno del Master in East European and Eurasian Studies (MIREES). Appassionata di Caucaso e Russia, si interessa di conflitti etnici, geopolitica e l'uso della memoria collettiva come strumento di propaganda.

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