Il procedimento antitrust aperto dalla Commissione Europea nei confronti di Gazprom il 4 settembre 2012 sta per entrare nel vivo, con reciproche “accuse” e richieste di chiarimenti che ne alimentano importanza e portata, sino a farne l’antritrust clash of the Decade, nella definizione di Alan Riley.
Al di là del rilievo economico, è la gravità delle conseguenze sul piano politico-diplomatico ad occupare, in modo preoccupante, la scena delle relazioni bilaterali. Nonostante le dichiarazioni da parte di esponenti di vertice, quali il Commissario europeo alla concorrenza, Joaquin Almunia, riguardo al fatto che la Commissione sta procedendo verso un’indagine di carattere prettamente tecnico-burocratico (in stile Microsoft, ma anche ENI, GDF, E.On), ipotizzare che il Cremlino non adotti una chiave di lettura politica ed aggressiva è estremamente difficile.
Mosca controlla il pacchetto di maggioranza di Gazprom, e qualsiasi tentativo di porre dei limiti alle opzioni economiche del colosso energetico statale rappresentano agli occhi del top management una limitazione della sovranità russa, scorgendovi quindi un intento provocatorio (occorre qui ricordare come sia i documenti di programmazione politica del Paese, sia le parole di Putin, Medvedev o altri, identifichino nella leva energetica la colonna portante del sistema di potere e lo strumento per il risorgere della potenza russa nello scacchiere globale).
Alla prova dei fatti, le risposte non si sono fatte attendere: l’11 settembre Putin ha siglato un ordine esecutivo dal titolo: «On measures to protect the Russian Federation in Russian Legal Entities’ Foreign Economic Activities», il quale impone alle imprese russe di ottenere un’autorizzazione preventiva da parte di una Commissione governativa, prima di rilasciare informazioni di carattere economico riservato ad organi di altri paesi (agenzie governative e polizie; ma anche associazioni e persino, come nel nostro caso, Organizzazioni Internazionali) che ne facessero legalmente richiesta. La replica va peraltro nella direzione già dettata dalla Strategic Enterprises Law (2008).
Evitando di entrare nel dettaglio economico, proviamo a dare una previsione, del tutto politica, sulla possibile evoluzione e sulle conseguenze dell’inchiesta. Il tentativo, fino a pochi mesi fa efficace, di dividere est ed ovest dell’Europa, o se si preferisce, vecchia e nuova Europa (remake sul piano energetico della tradizionale dottrina russa di politica estera: divide et impera), sembra ora avere perso di slancio e la Commissione (già promotrice principale di Nabucco e Nabucco Ovest), pare aver ripreso il pallino del gioco politico. Se Gazprom decidesse di impugnare una eventuale decisione sfavorevole da parte della Commissione, porterebbe il caso di fronte alla Corte di Giustizia Europea, laddove, da quando la prima regolamentazione antitrust del mercato europeo è in vigore (1958), la Commissione non ha mai perso una causa.
È poi da tener presente come una soluzione di compromesso, che imponga all’élite russa di abbandonare la classica visione manichea dell’arena politica-economica come un gioco a somma zero, sia dettata, in primo luogo, dalle perplessità palesate degli stessi partner imprenditoriali europei nei confronti delle ultime scelte del gigante russo.
Vi è quindi la concreta possibilità di un accomodamento e di un benefico compromesso fra le parti, il quale potrà, in prospettiva e paradossalmente, aumentare il livello di reciproca comprensione oltre che spostare l’interesse su fonti di approvvigionamento di gas naturale diverse dalla tradizionali infrastrutture fisse, a favore del mercato LNG (gas naturale liquefatto). Un settore nel quale l’Italia, pur partendo da una posizione di arretratezza rispetto ad altri concorrenti europei equipollenti o superiori, sta ora cercando di riguadagnare terreno, grazie ad investimenti quali l’acquisto e la messa in operatività di impianti rigassificatori.
I rigassificatori sono un importante struttura complementare, ma non possono sostituire i gasdotti in quanto mancano le navi gasiere. Le flotte esistenti non sono minimamente in grado di sorreggere la domanda globale e ci vorranno decenni e investimenti colossali prima che possano farlo. Inoltre gli stessi rigassificatori sono strutture costosissime e ad alto impatto ambientale. Se a questo aggiungiamo che colossi industriali come Germania e Giappone hanno deciso di abbandonare il nucleare si può capire come non si potrà prescindere dalle forniture di gas, non solo russe ma anche dal Nord Africa e dai paesi arabi. Quanto alla “visione manichea”, direi che è quantomeno bypartisan.