BOSNIA: Dalla Repubblica Srpska: "Dopo il Kosovo, ora tocca a noi".

Sarajevo il 22 luglio 2010, quella mattina il sole sorse con l’aria di chi la sapeva lunga. La giornata infatti si sarebbe rivelata tutt’altro che anonima. Il Tribunale internazionale dell’Aja aveva appena dichiarato legittima l’indipendenza del Kosovo e già per le vie della Bascarsjia correva una domanda: “E ora che faranno i serbi?”. E ci si riferiva non tanto ai serbi di Belgrado ma a quelli di Banja Luka, capoluogo amministrativo della Repubblica Srpska. E dalla strada la domanda è presto finita sui titoli dei giornali.

Già perché la Bosnia, dopo gli accordi di Dayton del 1995, è stata divisa in due entità territoriali federate: l’una a maggioranza serba, l’altra destinata ai croati e ai musulmani. Sarajevo è stata data a questi ultimi, ma non tutta. Infatti la parte nord-est della città è territorio della Repubblica Srpska. Capirlo non è difficile, le bandiere serbe sventolano ai lati della strada di quella che è chiamata Istocno Sarajevo (Sarajevo est). All’ombra di quelle bandiere le stesse voci e le stesse domande: “A Banja Luka che dicono?”.

E da Banja Luka, quel 22 luglio, hanno detto chiaro e tondo: “Perché il Kosovo sì, e noi no?”. Miloran Dodik, primo ministro della Repubblica Srpska ha infatti dichiarato: “Potremo fin da subito adottare una dichiarazione di indipendenza che non viola il diritto internazionale”. Lo spettro della scissione della parte serba dalla Repubblica Federale di Bosnia-Erzegovina è stato in questi anni sovente agitato. Mai però si è ritenuta verosimile la minaccia della secessione. Essa era più che altro una contromossa di Belgrado: “Se legittimate l’indipendenza del Kosovo, noi promuoveremo quella di Banja Luka”. Occorre dire che ciò è impraticabile: sia per la massiccia presenza di truppe S-For e Onu nella regione, sia perché tale mossa farebbe subito tornare alla mente i progetti di “Grande Serbia” cari a Milosevic. E Tadic, l’attuale presidente serbo, non è certo Milosevic.

Certo quel giorno nella Bascarsjia gli interrogativi erano molti. E nessuna riposta è venuta. Il moezzin alle otto di sera ha chiamato come sempre alla preghiera, qui dove le moschee ci sono ancora. A Banja Luka, dove le diciassette moschee presenti sono state distrutte durante la guerra, la gente beveva un thé nei locali all’aperto. Al confine col Kosovo i serbi di Belgrado muovevano truppe e mezzi blindati. La calma balcanica continuava ad essere apparente. Ci mancava solo la sentenza dell’Aja.

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Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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8 commenti

  1. Prima di tutto molti complimenti per il blog.

    Io non penso che i vertici della RS abbiano davvero intenzioni secessioniste, anche se ogni volta che qualcuno nei Balcani alza la voce, dopo quello che è successo negli anni 90, un brivido corre lungo la schiena.
    Già la dichiarazione di Dodik su una “dichiarazione di indipendenza che non viola il diritto internazionale” lascia un po’ il tempo che trova, visto che la costituzione e l’assetto istituzionale della BiH deriva dagli accordi di pace di Dayton.
    Ci sono poi alcuni altri motivi, secondo me, il primo dei quali è che a Belgrado non credo vogliano sponsorizzare un passo che avrebbe la conseguenza di bloccare il processo di integrazione europea della Serbia.

    Credo che nessuno nei Balcani (a parte qualche irriducibile nazionalista fanatico) voglia davvero una guerra, ammesso poi che qualcuno abbia la forza politica e i soldi per reggere un conflitto in una situazione mondiale molto diversa da quella di venti anni fa. La Russia per prima impedirebbe il conflitto.
    In fondo, ad onta delle più fosche previsioni di diversi esperti, non è successo nulla quando il Kosovo la secessione l’ha fatta per davvero. Perché si dovrebbe dar fuoco alle polveri ora, metaforicamente o meno, per un parere non vincolante, per quanto pronunciato da un’importante organo giurisdizionale sovranazionale?

    Posto che nei Balcani nulla si può mai dare per scontato, mi sembra più che altro che le dichiarazioni più o meno “bellicose” di questo o quel leader politico siano più frutto del clima politico elettorale che di una reale volontà di far saltare tutto. Naturalmente spero di non sbagliare.

    Saluti.

    • Ciao Roberto

      grazie per seguirci (e diffonderci). Hai ragione, nemmeno io penso a una guerra e davvero le dichiarazioni di questo o quel leader si rivolgono più che altro a questioni elettorali. Mi chiedo però se l’attuale assetto della federazione di Bosnia Erzegovina possa durare anche dopo l’eventuale ritiro delle truppe internazionali e come cambieranno gli equilibri nella regione nel caso l’Ue dovesse congelare i percorsi d’integrazione nei Balcani. Infine, e tu avrai senz’altro un parere, mi chiedo se le tensioni in BiH sono del tutto sopiti o se, sotto traccia, serpeggiano. Non ero mai stato a Sarajevo prima, e forse ho visto “male” ma mi è parso che l’equilibrio sia precario e garantito dalla sola presenza delle truppe internazionali.

  2. Salve
    Io credo che se l’UE non accellera l’inclusione di tutti i Balcani e della Turchia la prossima guerra non sarà così remota. Avremmo dovuto includere la ex-jugoslavia nella UE subito dopo la guerra, come un provvedimento straordinario e con condizioni molto particolari. Oggi la situazione di Croazia, Serbia, Bosnia Erzegovinal, Montenegro etc sarebbe quasi di integrazione paritaria, certo superiore a quella della Romania visto che la Società jugoslava era parecchio più ordinata. Le popolazioni avrebbero lavoro, i giovani non sarebbero scappati, le elezioni non sarebbero state una serie di farse, i nazionalismi sarebbero alle corde. Oggi la Bosnia non esiste ormai più nella mente dei nativi. Esistono la RS e l’Erzegovina, il resto è lasciato ai bosniacchi che fanno la fame a parte le mafie. Nessuno ci crede più. Comunque se si agisse in fretta si potrebbe ancora salvare quelle popolazioni da futuri ulteriori disastri che non sono solo guerra. Abbiamo preso il “meglio”, la Slovenia, stiamo prendendo gli Stati ripuliti, Croazia e Serbia e lasciamo tutto lo sporco in Bosnia, ai bosniacchi, unici a non avere ancora un passaporto decente…intrappolati e senza società civile eccetto l’Islam.

  3. Non si capisce per quale motivo il Kosovo ha diritto di staccarsi dalla Serbia (prospettando l’unificazione all’Albania) e la repubblica Serba di Bosnia non può perchè altrimenti viola gli accordi di Dayton; e cosa è allora la secessione del Kosovo se non una palese violazione degli stessi accordi? sembra la stessa situazione di Ossezia e Abcazia, di fatto indipendenti ma senza un riconoscimento se non dalla Russia e da altri pochi, nonostante il fatto che i popoli di questi due stati tutto sono meno che georgiani, al pari degli albanesi del Kosovo nei confronti della Serbia mi pare e dei serbi nei confronti dei croati e dei bosniaci all’interno della Bosnia-Herzegovina. Parole con le quali i signori presidenti, cancellieri, ministri, deputati, giornalisti e scribacchini si riempiono la bocca (autodeterminazione dei popoli, libertà e democrazia, per fare qualche esempio) non hanno per loro alcun valore, e valgono certamente meno della droga che passa dal Kosovo targato NATO:

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