Ucraina cappio

Accettare l’inaccettabile? Si stringe il cappio attorno all’Ucraina

La pace in Ucraina sembra avvicinarsi, ma avrà il sapore di una resa. Gli ucraini hanno due potenti nemici, uno davanti alla faccia e l’altro dietro alle spalle, con un coltello ben affilato in mano. Se non sarà questa volta, sarà la prossima, il governo di Kiev dovrà accettare l’inaccettabile?

La guerra in Ucraina sembra più vicina a una soluzione, ma il prezzo da pagare sarebbe una resa pressoché totale da parte del governo di Kiev costretto ad accettare – pistola alla testa– ciò che appare da tempo inevitabile. Già, perché il cosiddetto “piano in 28 punti”, frutto del negoziato tra Stati Uniti e Russia, senza alcun coinvolgimento ucraino, rende evidente ciò che la propaganda e la retorica occidentale hanno provato a nascondere: l’Ucraina ha perso. E con lei ha perso l’Europa. Il governo ucraino potrà rifiutare il piano, i partner europei potranno modificarlo quel tanto da renderlo irricevibile per il Cremlino, ma poco conta: i ventotto punti rappresentano un ulteriore passo verso l’accettazione delle richieste russe. Se non sarà questa volta, sarà un’altra.

Le richieste russe, giudicate inaccettabili solo pochi mesi fa, diventano ora la base per una pace possibile. Le cancellerie della vecchia Europa sono quasi tutte d’accordo nel dire che il piano di pace americano è il punto da cui partire. E lo dice anche Mosca.  D’altronde, sono le richieste del vincitore, le stesse di sempre: smilitarizzazione, russificazione, annessione delle regioni orientali e – ovviamente – niente truppe internazionali. Soprattutto, c’è la spartizione de facto (se non de iure) dell’Ucraina che, depredata delle sue risorse minerarie e fossili dall’alleato americano, si vedrà ora mutilata dei suoi territori da parte del nemico russo. Pochi giorni, ha intimato il presidente Trump, e se Kiev non accetterà allora continuerà la guerra da sola. Una vuota minaccia, forse. Ma il destino del Paese sembra segnato, salvo miracoli.

L’Ucraina che verrà sarà un Paese a sovranità limitata e la guerra – che doveva sancirne l’indipendenza – ne farà un servo di due padroni. L’Ucraina che verrà potrebbe ribollire di nazionalismo frustrato, oppure annichilire sotto il peso dei troppi cadaveri. Ma non sarà né membro NATO né dell’Unione Europea. Il tempo delle favole è finito. Già i magnati si accordano, la ricostruzione sarà un bell’affare che ingrasserà le aziende americane e gli oligarchi locali, e la corruzione dilagherà ancora e ancora, sotterranea ma sempre presente

La corruzione, in Ucraina, è sistemica e difficilmente sradicabile. I recenti scandali, che hanno coinvolto personaggi dell’entourage presidenziale, non sono – come qualche anima bella racconta – la prova dell’effettiva lotta alla corruzione, bensì l’usato strumento per far fuori i nemici politici. Un messaggio chiaro a Zelens’kjy per condurlo a più miti consigli e ricordargli che il prossimo a finire in manette con l’accusa di corruzione potrebbe essere lui. La domanda è cui prodest?

L’attuale governo è inviso sia a Washington, sia a Mosca, e un cambio di regime è da tempo auspicato e preteso da entrambe le superpotenze. Il menù dei mandanti è ricco di voci. D’altronde, Zelens’kyj appare sempre più debole. Lo si comprende dai colpi indirizzati alla cerchia dei suoi amici, consiglieri e soci d’affari. L’accentramento del potere, condotto dal presidente ucraino negli ultimi anni, lo sta di fatto isolando. Il problema è che in Ucraina difficilmente si perde il potere senza conseguenze: ogni precedente transizione è stata traumatica, e quella che verrà promette di esserlo altrettanto. Zelens’kyj, insomma, rischia qualcosa di più della semplice sconfitta elettorale, specialmente se il Paese tornerà in qualche misura sotto l’influenza russa, come questo “piano di pace” sembra suggerire.

Adesso è tardi per stracciarsi le vesti. L’Ucraina si è trovata con due nemici. Il primo, l’invasore, ben chiaro davanti alla faccia. Il secondo, il profittatore, dietro le spalle. Spalle che prometteva di sostenere, e alle spalle ha accoltellato. Per cosa è morta tutta quella gente, per le promessi di chi? Se guardiamo bene l’evolversi di questo conflitto ci accorgiamo che non è Donald Trump ad avere tradito. Fin dall’inizio del conflitto gli Stati Uniti hanno centellinato le armi, obbligando gli ucraini a una strategia difensiva: appare oggi evidente che lo scopo di Washington fosse usare gli ucraini per dissanguare la Russia, indebolirla economicamente, ma senza rovesciarne il regime. Gli ucraini avevano due scelte, fidarsi o perire. Si sono fidati, e sono periti.

Ora l’amministrazione Trump vuole attrarre a sé la Russia, farne un partner economico, in chiave anti-cinese. Prospettiva che deve piacere anche al Cremlino, ridotto in questi anni a un ruolo ancillare nei confronti di Pechino. Il “piano in 28 punti” lo dice: la Russia rientrerà nei giri che contano, compreso il G8. Amici come prima? Che il “piano dei 28 punti” venga accettato oppure no, l’andazzo è ormai chiaro. Se non sarà questa volta, sarà un’altra ma presto o tardi il governo ucraino dovrà accettare l’inaccettabile. E quando il cappio soffocherà Kiev, anche qui mancherà il fiato. E a qualcuno dovremo chiederne conto.

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Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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