Ucraina vincere guerra

“L’Ucraina potrebbe non vincere la guerra”. Va in scena lo scaricabarile americano

La guerra in Ucraina va male e Washington finge di non esserne responsabile. Ma forse qui le guerre sono due, quella di Washington e quella di Kiev. E non coincidono del tutto… 

Malgrado il nuovo pacchetto di aiuti da 60 miliardi di dollari stanziato dal Congresso americano lo scorso febbraio e nonostante il sostegno economico e politico nei confronti di Kiev, l’amministrazione Biden non sembra più tanto convinta che l’Ucraina possa vincere la guerra. In un lungo articolo, il quotidiano Politico dà voce allo scetticismo del governo americano: “L’obiettivo immediato è aiutare l’Ucraina a ritrovare slancio e invertire la tendenza sul campo di battaglia. Successivamente, sarà quello di aiutare l’Ucraina a riconquistare il suo territorio”, hanno dichiarato alcuni funzionari. “Gli ucraini avranno ciò di cui hanno bisogno per vincere? In definitiva, sì. Ma non è una garanzia che lo facciano“.

Quindi, se gli ucraini perderanno la guerra sarà per colpa loro. Non a causa dell’insufficiente sostegno degli alleati, ma per propria incapacità. Un bello scaricabarile. Ma c’è dell’altro. Il portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale, John Kirby, parlando con i giornalisti, ha lasciato intendere che l’Ucraina non ha ancora un piano completo per sconfiggere la Russia, anche se gli Stati Uniti sarebbero in trattative per aiutarla a realizzarne uno. E qui siamo all’assurdo. Ma è l’Ucraina che deve avere un piano? 

Gli ucraini combattono da due anni, e si stima che siano almeno 250mila i soldati morti. Le armi con cui combattono non sono le loro ma vengono fornite dagli alleati, Stati Uniti in testa. Si tratta, com’è noto, di armi perlopiù difensive. Come la vinci una guerra con le armi difensive? Non puoi, ma – a sentirli adesso – la colpa sarebbe di Kiev. E poi, ma davvero vogliamo credere che l’Ucraina avrebbe retto un solo giorno senza l’addestramento, l’armamento, il sostegno occidentale? Vogliamo davvero credere che il governo di Kiev conduca questa guerra di propria volontà, senza che i donors dicano cosa fare o non fare? A sentire l’amministrazione Biden, sembra che loro si siano limitati a dare qualche arma e un po’ di dollari, ma che tutto stia in capo a Kiev.

Forse è venuto il momento di dircelo che questa guerra è una guerra americana. L’appoggio statunitense all’Ucraina in chiave antirussa è storia vecchia, risale almeno ai tempi del presidente George W. Bush (2001-2009) e alla chimera di un ingresso di Kiev nella NATO. Tutto apparentemente congelato dopo la guerra russo-georgiana del 2008 ma sempre tenuto a bollore: nel 2009 l’allora vice-presidente Joe Biden – l’amministrazione era quella di Obama – dichiarò che gli Stati Uniti avrebbero continuato a sostenere l’ingresso ucraino nell’Alleanza atlantica. A partire dal 2006, l’Ucraina è diventata beneficiaria di aiuti da parte della Millennium Challenge Corporation, un’agenzia americana a supporto della società civile (e dei suoi leader politici) che, come tutte queste agenzie, aveva lo scopo di influenzare e orientare il tessuto politico, economico e sociale di un paese in senso filo-americano.

Non a caso a metà degli anni Duemila, nei paesi dell’ex blocco sovietico, era tutto un fiorire di movimenti e organizzazioni civiche giovanili. In Ucraina fu PORA a mobilitare i giovani democratici, raccogliendo gli stimoli d’oltreoceano. La Rivoluzione di Maidan (aka, della Dignità) ha reso infine inevitabile l’abbraccio di Washington, dato che l’invasione della Crimea e del Donbass rendevano impossibile qualsiasi ulteriore relazione con Mosca. Ma questo abbraccio non è l’esito salvifico di chi cerca scampo, quanto il risultato di un lungo lavoro per orientare la società ucraina in senso filo-occidentale. E filo-americano. Un esercizio di imperialismo, benché liberal. Insomma, gli Stati Uniti ci sono dentro fino al collo in Ucraina, ma adesso fingono di essere dei passanti. Se è vero che ridurre l’Ucraina al ruolo di proxy americano è sbagliato, è anche vero che fingere che la guerra sia il risultato della sola volontà ucraina è ipocrita.

Impedire una vittoria della Russia in Ucraina è anzitutto un interesse americano, per molte ragioni: evitare analoghe minacce in futuro da parte di altri competitor, in particolare dalla Cina; mantenere l’ordine internazionale costituito; spingere i partner europei della NATO ad armarsi; evitare l’insorgere di una potenza euro-asiatica, spezzando i legami economici e politici tra Mosca e il vecchio continente. Alcuni di questi obiettivi sono stati raggiunti, a ben vedere. Il gasdotto North Stream giace sul fondo del mar Baltico, no?

Quello che, però, non è mai stato un interesse americano è vincere la guerra. Dissanguare la Russia è un conto. Ma sconfiggerla è un altro. Sempre che sia possibile sconfiggere una potenza nucleare. Gli Stati Uniti non hanno mai detto quale fosse l’obiettivo di questo conflitto preferendo nascondersi dietro le usate formule della “riconquista dei territori occupati” e “dell’intera liberazione” del territorio ucraino. Eppure adesso ci sentiamo dire che “gli ucraini non hanno un piano per vincere la guerra”. Sembra piuttosto che siano gli Stati Uniti a non averlo.

Resta infine da capire cosa significhi “vincere”. Abbiamo capito che non vuol dire “liberare l’intero territorio ucraino”, obiettivo da sempre improbabile. E allora? L’impressione è che le guerre qui siano almeno due: quella di Washington e quella di Kiev. E che non coincidano del tutto. Forse gli Stati Uniti vinceranno la propria, ma l’Ucraina? E a cosa sarà valso l’immane sacrificio, allora? E come potremo non chiamarla strage?

Immagine:  rawpixel.com / Sergeant Matt Hecht

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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