Russia e Ucraina. Piazza Bolotnaya e il Maidan, due rivoluzioni di diverso esito

Dodici anni fa, il 6 maggio 2012, fra la piazza e la sua gente, solo la Moscova. Dodici anni dopo, la rivoluzione è rimasta sbiadita e Piazza Bolotnaya, solo una piazza.

Piazza e rivoluzione

Fra le varie risposte che si sono venute elaborando nei Paesi dell’ex Unione Sovietica, nel tentativo di superare la pesante eredità storica, la rivoluzione colorata è diventata simbolo di una risposta squisitamente post-sovietica, che ci parla, a ragione o torto, di europeismo, di ‘progresso’, di libertà e di democrazia. Sul successo di queste sarà il tempo a dircelo, sull’insuccesso di altre, ce ne parla piazza Bolotnaya.

Dodici anni fa, il 6 maggio 2012, il Milione si apprestava a marciare in piazza Bolotnaya, a Mosca, evento che si poneva sulla scia di quell’ondata di proteste che ha scosso la Russia a seguito delle – ora come allora -evidentemente irregolari elezioni di Putin a capo del Cremlino a dicembre dell’anno prima. Era la più grande mobilitazione popolare dal crollo dell’Unione, seppur rimanendo un movimento eterogeneo e non riducibile agli eventi del 6 maggio, dove l’opposizione non è riuscita a unirsi per raccogliere le aspirazioni popolari. Cosa che pure ha avuto un ruolo nel  fallimento della rivoluzione.

Tutto precedeva con relativo ordine. Poi giunse la constatazione che le forze dell’ordine avessero cambiato idea rispetto a quanto comunicato, e avessero deciso di chiudere l’accesso al parco della piazza, relegando i manifestanti sul lungofiume.

Ma un popolo senza piazza, è un popolo senza democrazia. Non c’è democratia senza agorà, non c’è Rivoluzione Arancione senza Majdan Nezalezhnosti. E infatti, davanti a un popolo, bramante di democrazia, a cui viene tolta la sua piazza, l’unica evoluzione possibile è la repressione, dura, autocratica, violenta. Quella del 2012. Per questo oggi ci chiediamo come siano andate le cose in questi anni in Russia, in opposizione invece all’Ucraina, dove Piazza Indipendenza (Majdan Nezalezhnosti), dal 1991 ad oggi, è stata epicentro di diverse manifestazioni di espressione e dissenso, che per metonimia hanno preso il nome di Majdan. Dove la prima Majdan si può considerare la rivoluzione di granito (1991), e l’ultima lo EvroMajdan (2014), ma è nel 2004 che  si è colorata di arancione, quando le elezioni irregolari avevano inizialmente visto vincere Yanukovych presidente, poi sconfitto da Yushenko al secondo turno di elezioni, post-rivoluzione.

Russia e Ucraina e l'(in)successo delle rivoluzioni

La Russia di oggi ci parla di un Paese nelle mani di un uomo solo, che ha monopolizzato il potere dalla sua prima (non) elezione nel 2000, e di un popolo, privato del suo spazio di espressione, le cui richieste rimangono inascoltate, quando non represse con la forza.

In questi 12 anni, le leggi che sono state firmate da quest’uomo ne hanno segnato i tratti più significativi: quella contro le attività di agenti stranieri (2012); quella contro la “disinformazione e il disrispetto” (2019) o ancora quella, anzi quelle, contro il terrorismo e l’estremismo. Intanto, nell’Ucraina post-Majdan si susseguivano una riforma dopo l’altra, per riuscire ad avvicinarsi sempre di più a quegli standard democratici, fissati dall’Unione Europea: le riforme del sistema giudiziario (2016); quella della pubblica amministrazione (2016), quella sull’istruzione (2017), fra altre.

Mentre a Mosca la Costituzione veniva modificata con lo scopo di accentrare sempre di più il potere nelle mani di Putin, a Kyiv, si lavorava per integrare la “Riforma Arancione” che invece puntava alla decentralizzazione, al trasferimento, e alla separazione dei poteri in un processo che ha visto susseguirsi almeno 4 presidenti.

Ma non sono le uniche differenze: la Russia di Putin, si ritrova chiusa in confini chiusi a sempre più “Paesi ostili”. L’Ucraina arancione, almeno fino al 2022, si apriva all’UE, e firmava accordi per l’eliminazione dei visti e la pre-adesione. La Russia invece si ritrova etichettata come “non libera”, come “autocrazia” nei rispettivi indici, e in coda a tutti i report di democrazia, libertà e rispetto dei diritti umani. L’Ucraina si classifica come “parzialmente libera”, “democrazia ibrida” e, pur tenendo in mente le difficoltà e le condizioni iniziali, scala lentamente la classifica, aumentando dell’8,6% nell’indice di libertà economica, e passando dalla categoria “media” a quella “alta” dello Human Development Index. Ma soprattutto, 12 anni dopo, mentre la Russia attacca, l’Ucraina si difende.

Questo ovviamente non vuol dire che l’Ucraina abbia raggiunto posizioni eccellenti, a volte neanche sufficienti, e bisognerà vedere come questi successi si evolveranno nell’assetto post bellico. Allo stesso modo non vuol dire che il popolo russo sia esclusivamente quiescente. Il dissenso rimane una componente da dover tenere in mente, per non cadere nell’errore di identificare un popolo col potere che dovrebbe rappresentarlo, e invece lo priva della sua voce.  Per questo, 12 anni dopo, con la riconferma di Putin al potere, e dopo un anno di guerra, è importante ricordare gli eventi di Piazza Bolotnaya, per comprendere come quella libertà di cui è stato privato il popolo russo segna la distanza fra i due Paesi, tanto da portare qualcuno a dire che “l’Ucraina senza Libertà è la Russia, solo più piccola nelle dimensioni“, fondamentale distinzione alla comprensione degli eventi di cui oggi si fanno protagonisti questi Paesi.

Foto: Georgy Nadezhdin / TASS photo chronicle

Chi è Luca Ciabocco

Ha ottenuto una laurea triennale in lingue e culture straniere presso l'Università di Urbino, ed è attualmente studente magistrale di studi dell'est Europa ed euroasiatici a Bologna. I suoi interessi riguardano nazionalismo, identità e aspetti sociali e culturali dello spazio post-sovietico.

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