Il protagonista di questo libro, Nene, si domanda spesso se sia possibile catturare il momento esatto in cui una storia cambia radicalmente e «quel che pareva un tranquillo susseguirsi di eventi si trasforma in un ruzzolone giù per il dirupo». Forse è proprio questo l’obiettivo ultimo de «La stagione che non c’era» l’ultima opera letteraria di Elvira Mujčić, edita da Guanda e uscita a fine agosto 2025.
La storia e i personaggi
Siamo nella Jugoslavia del 1990, Nene è un giovane artista senza ispirazione e ossessionato dal fatto che si possa perdere il ricordo del suo paese, la Jugoslavia. Tornando al suo villaggio natio nel centro della Bosnia – Erzegovina, dopo cinque anni vissuti a Sarajevo, ritrova Merima, la vicina di casa coetanea, ma che al contrario suo ha un lavoro, una figlia, crede ancora fermamente nella Jugoslavia socialista e in Ante Marković, colui che invece sarà l’ultimo Primo ministro della Repubblica Socialista Federale. La figlia di Merima, Eliza, otto anni, non ha mai conosciuto il padre (un ragazzo albanese che non l’ha riconosciuta e vive in Montenegro) ed il suo obiettivo è progettare un viaggio alla ricerca delle sue origini. Troverà inizialmente l’appoggio di Nene, a cui è molto affezionata, ma nello scorrere del romanzo ci sono vari colpi di scena. Eliza rappresenta la generazione che erediterà le macerie e i dolori del conflitto.
Intorno a questi tre protagonisti principali gira l’intero racconto e la descrizione di quella Jugoslavia di inizio anni ‘90 dove convivevano fanatici del socialismo e della Jugoslavia titina, persone disilluse riguardo la politica socialista, ma che mai avrebbero potuto prevedere la guerra come esito finale, e infine coloro i quali proprio in quegli anni iniziano a credere al racconto che viene fatto da politici e partiti nazionalisti e che poco dopo porterà allo scoppio del conflitto. Le prime due tipologie sono rappresentate nel libro da Nene e Merima, mentre la bambina porta una visione del mondo innocente e vulnerabile. È un paese che sta cambiando in modo profondo e di questo mutamento Eliza vede i lati più infantili. Ad un certo punto, per esempio, si accorge che le compagne di classe con cognome bosgnacco restano, mentre quelle con cognome serbo lasciano la scuola.
A conferma di questa ricerca dell’esatto momento di svolta in un processo, come è stato la dissoluzione della Jugoslavia, l’autrice non si concentra nel raccontare il conflitto, ma si ferma un attimo prima, nel momento in cui le cose “possono ancora essere”, ma già non lo sono più completamente. Come già nella sua opera precedente «La buona condotta» Mujcic riesce a descrivere una determinata porzione di società o, come in questo caso, un periodo storico tramite un racconto di vita quotidiana e di persone singole, utilizzando inoltre uno stile delicato, profondo e a tratti malinconico. Una modalità narrativa che rende il romanzo più accessibile anche alle persone meno informate o appassionate della storia recente della Jugoslavia.
Biografia dell’autrice
Elvira Mujčić nasce nel 1980 a Loznica, in Serbia. Cresce in Bosnia, a Srebrenica, da dove scappa con la famiglia nel 1992 a causa del conflitto. Vive prima in Croazia e poi in Italia. È laureata in lingue e letterature straniere e vive e lavora a Roma come scrittrice, traduttrice e interprete.
Nella sua produzione letteraria racconta temi come l’esilio, la migrazione e la perdita delle radici e della lingua. Tra i suoi principali romanzi citiamo «E se Fuad avesse avuto la dinamite?» del 2009, «La lingua di Ana. Chi sei quando perdi radici e parole?» del 2012 e «La buona condotta» del 2023 che racconta il Kosovo tramite la figura di un sindaco albanese in un comune a maggioranza serba.
Prezzo 18,00 Euro
Pagine: 256
 East Journal Quotidiano di politica internazionale
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