A cura di Beatrice Pirri
Sono trascorsi due anni dal grave scontro a fuoco avvenuto il 24 settembre 2023 a Banjska, nel Kosovo settentrionale, un episodio che rappresenta una delle più gravi escalation tra Kosovo e Serbia dall’indipendenza di Pristina del 2008, che Belgrado ancora non riconosce. Circa trenta uomini serbi armati si resero protagonisti di un’imboscata alla polizia del Kosovo, su una strada nei pressi del villaggio, poco lontano dal monastero ortodosso locale. L’assalto causò la morte di un agente di polizia kosovaro e nel successivo scontro a fuoco furono uccisi tre assalitori, mentre sei furono arrestati dalle autorità kosovare e la maggior parte riuscì a fuggire in Serbia.
Gli assalitori possedevano armi di grosso calibro, veicoli blindati ed esplosivi sufficienti a organizzare imboscate e scontri prolungati contro le forze di sicurezza. Tra i materiali rinvenuti vi erano missili anticarro, mortai e fucili di precisione, elementi che hanno reso chiaro come il gruppo fosse composto da uomini addestrati militarmente e non semplici civili. Nei giorni successivi, Milan Radoičić, figura centrale nella gestione del crimine organizzato nel nord Kosovo e allora leader de-facto della Lista Serba – il maggior partito della comunità serba nel Kosovo, strettamente legato al governo di Belgrado – ammise di essere responsabile dell’attacco, negando però alcun collegamento con il governo serbo.
I responsabili protetti dalla Serbia
Le narrazioni sull’evento restano profondamente divergenti. Per Pristina, si trattò di un atto terroristico volto a destabilizzare il nord del Kosovo e minare la sicurezza nazionale. Anche il Parlamento europeo nelle settimane successive definì quello di Banjska un attacco terroristico, una posizione condivisa da buona parte della comunità internazionale. Belgrado, invece, celebrò gli assalitori come “martiri” della causa serba. Il presidente Aleksandar Vučić parlò di una reazione inevitabile dei serbi del Kosovo contro le autorità kosovare, posizione sostenuta anche da Mosca. L’allora premier Miloš Vučević, infine, descrisse i tre paramilitari uccisi come “nuove vittime in una lunga linea di eroi o martiri” che morirono “per la libertà del Kosovo e della Serbia”.
Sul fronte giudiziario la situazione resta ferma. Le autorità kosovare hanno emesso 44 mandati di arresto, ma solo tre imputati sono oggi a processo. Gli altri restano in Serbia, che si rifiuta di estradarli. Radoičić venne rilasciato dopo l’interrogatorio a Belgrado nell’ottobre 2023, e il procuratore generale serbo annunciò a fine 2024 che sarebbe stata presa una decisione sull’incriminazione. Da allora, tuttavia, il caso è rimasto fermo e nessun atto formale è stato presentato. Secondo Maja Bjeloš, del Belgrade Centre for Security Policy, è improbabile che i responsabili vengano processati presto, godendo della protezione dello Stato serbo.
La sensazione di impunità è confermata da alcuni episodi recenti. Alcuni sospettati, infatti, sono stati avvistati davanti al palazzo della Presidenza serba, dove da mesi i sostenitori del regime presidiano l’area in risposta alle proteste studentesche. Tra di loro, Radio Free Europe ha identificato Vladimir Vučetić, accusato dalla Procura del Kosovo per il suo coinvolgimento nell’attacco di Banjska. Ancora più recente è stata la partecipazione di Radoičić al raduno organizzato a Kosjerić dai sostenitori del Partito Progressista Serbo (SNS), il partito di governo. Alcuni residenti partecipanti alle proteste studentesche hanno dichiarato di aver subito minacce da parte di Radoičić, a riconferma della sua impunità e del suo peso all’interno degli equilibri politici serbi. Resta inoltre forte il controllo di Radoičić sulla Lista Serba, nonostante non sia fisicamente presente in Kosovo.
La polarizzazione tra Belgrado e Pristina è stata palpabile anche nell’anniversario dell’evento. Mercoledì 24 settembre, infatti, il primo ministro uscente del Kosovo Albin Kurti, nel ricordare il poliziotto ucciso, ha rinnovato l’appello alla comunità internazionale affinché vengano assicurati alla giustizia i restanti imputati. Allo stesso tempo, a Belgrado e in altre città della Serbia, movimenti della destra nazionalista hanno organizzato una veglia con torce e striscioni, celebrando come eroi i tre paramilitari serbi rimasti uccisi a Banjska.
Banjska, simbolo di un dialogo fallito
Due anni dopo, Banjska è più di un episodio di cronaca: è simbolo della fragilità dei rapporti tra Belgrado e Pristina e del fallimento del processo di normalizzazione mediato dall’UE. Vučić e Kurti non si incontrano da settembre 2023 e persiste lo stallo nell’implementazione degli accordi di Ohrid del maggio dello stesso anno.
Questo evento è infatti strettamente legato al percorso di adesione all’UE di Serbia e Kosovo, entrambi bloccati: la Serbia non vede l’apertura di nuovi capitoli negoziali dal 2021, mentre il Kosovo non ha ancora ottenuto lo status di paese candidato. Nikola Burazer, del Centre for Contemporary Politics di Belgrado, sottolinea che alcuni Stati membri considerano il processo a Radoičić e agli altri responsabili un requisito fondamentale per sbloccare il cammino di adesione della Serbia, posizione confermata da una recente dichiarazione di un portavoce di Bruxelles.
Un’analisi simile arriva anche da membri della società civile serba. Dragiša Mijačić, direttore dell’Istituto per lo Sviluppo Economico Territoriale, sostiene che la mancanza di procedimenti giudiziari mina la credibilità della Serbia sia nel dialogo con Pristina, sia nel suo percorso di adesione all’ Unione Europea, che dovrebbe basarsi sul rispetto dello stato di diritto.
Alcuni segnali, seppur deboli, danno speranza che il dialogo tra Belgrado e Pristina possa progredire. Un rapporto del Carnegie Europe suggerisce che le autorità kosovare dovrebbero coinvolgere maggiormente la società civile nel nord del Paese a maggioranza serba. Le elezioni locali del 12 ottobre e il previsto ritorno dei sindaci serbi nei quattro comuni del nord dopo il boicottaggio attuato dalla Lista Serba rappresentano un’occasione in questo senso, sebbene resti incerto quanto possa effettivamente influire sul dialogo. Un altro segnale positivo è l’apparente ritorno dell’interesse per il processo di normalizzazione delle relazioni dimostrato dalla Alta rappresentante europea Kaja Kallas, che ha iniziato a revocare alcune tra le sanzioni in vigore dal 2023 verso il Kosovo.
Nonostante ciò, a due anni dagli eventi di Banjska, le domande superano ancora le risposte: i responsabili non sono stati processati, le indagini sono ferme e il dialogo tra Belgrado e Pristina è in stallo. Banjska rimane così un luogo di memoria e di contesa, il simbolo di un conflitto che non si è mai davvero chiuso.