La saga del leader secessionista serbo-bosniaco Milorad Dodik non si è fermata neanche in estate, con la sua condanna definitiva, la rimozione dall’incarico di presidente dell’entità e l’annuncio di un referendum illegale per il prossimo 25 ottobre. L’entità amministrativa serbo-bosniaca andrà anche a nuove elezioni per il dopo-Dodik, con le opposizioni che si preparano a sfidare il dominio del suo partito.
Per cosa è stato condannato Dodik e come si è arrivato all’annuncio di un referendum
Agosto è stato un mese tutt’altro che facile per il leader separatista di Banja Luka: il primo agosto la Corte della Bosnia Erzegovina ha confermato in appello la condanna a un anno di reclusione (poi commutato in una multa da 18.660 euro) e sei anni di interdizione da ogni carica pubblica.
La condanna, ora definitiva, conferma la sentenza di primo grado dello scorso febbraio per aver rifiutato di dare seguito alle decisioni aventi forza di legge dell’Alto Rappresentante per la Bosnia Erzegovina (OHR) Christian Schmidt, designato dalla comunità internazionale a garantire il rispetto dell’Accordo di Dayton del 1995.
Nel 2023, Dodik aveva infatti controfirmato e promulgato nella gazzetta ufficiale della Republika Srpska (RS) due leggi che rendevano inapplicabili sul territorio dell’entità le decisioni della Corte costituzionale statale e quelle dell’OHR. Da lì era iniziato un lungo braccio di ferro tra Schmidt e Dodik.
Due sono stati i momenti più critici. Il primo, a marzo, l’emissione di un mandato di arresto per Dodik, revocato poi a luglio quando quest’ultimo si è presentato spontaneamente a deporre in tribunale. Il secondo, il tentativo di arrestare Dodik a Istočno Sarajevo da parte di una squadra dell’Agenzia statale d’investigazione e protezione (SIPA) ad aprile. Gli agenti erano stati bloccati da un cordone della polizia della RS e si sono poi ritirati.
Dopo la sentenza di agosto la Commissione Elettorale Centrale (CIK) ha revocato il mandato presidenziale di Dodik, rendendo incostituzionali ogni nuovo atto promulgato da Dodik ed esponendo a rischi legali quanti fossero chiamati ad eseguirli, e ha indetto nuove elezioni presidenziali per il 23 novembre. Dodik ha risposto annunciando il boicottaggio delle elezioni, e un referendum illegale sulla legittimità della sentenza per il 25 ottobre – di cui finora non si sono tuttavia visti preparativi.
Cosa faranno le opposizioni in RS
L’annuncio di nuove elezioni in RS ha innescato la corsa dei partiti di opposizione alla ricerca di un candidato unitario. Il Partito Democratico Serbo (SDS), con il secondo numero di seggi all’assemblea dell’entità, dovrebbe poter esprimere lo sfidante, e raccogliere il sostegno del Fronte Popolare (NF) di Jelena Trivić, il Partito Per la Giustizia e l’Ordine (ZPR) di Nebojša Vukanović, e soprattutto il Partito per il Progresso Democratico (PDP) del giovane sindaco di Banja Luka Draško Stanivuković, che per ora non vuole esporsi in prima persona al voto.
Dodik ha intanto dichiarato di poter riconsiderare la decisione di boicottare le elezioni. Anche la nomina del suo vicepresidente Davor Pranjić (Unione Democratica Croata, HDZ BiH) come facente funzioni mostra un cambio delle intenzioni di Dodik, che avrebbe ormai accettato la rimozione dall’incarico politico. Non è chiaro ancora chi sarà il candidato del suo partito SNSD.
In quest’ottica, il consueto tour delle autocrazie di Dodik sembra essere indizio di un rilancio per restare politicamente in sella. Da Belgrado, Dodik si è spostato il 9 settembre in Russia, incontrando il ministro degli esteri Sergej Lavrov e il presidente del Consiglio di sicurezza Sergej Shoigu. Ha proseguito il 22 settembre a Budapest assieme a Željka Cvijanović (membro della Presidenza statale) per rinsaldare l’appoggio di Viktor Orbán.
È la fine della carriera politica di Dodik?
La situazione interna della RS resta caotica. Prima di perdere i propri poteri, Dodik ha dimissionato il primo ministro Radovan Višković, sostituito ora da Savo Minić. Tuttavia, essendo stato nominato da Dodik dopo la condanna, la legittimità di Minić e del suo governo è dubbia. Nel nuovo governo restano due ministri sotto sanzioni USA: Siniša Karan all’istruzione e Miloš Bukejlović alla giustizia. Nel frattempo, anche l’Estonia si è unita ad altri cinque paesi UE (Austria, Germania, Polonia, Lituania e Slovenia) nell’imporre sanzioni a Dodik, negandogli l’eventuale l’ingresso.
A ciò ha fatto seguito, settimana scorsa, la visita della Commissaria europea all’allargamento Marta Kos, che ha condannato il deterioramento della situazione interna alla RS e ha ammonito la leadership bosniaca ad intensificare il percorso di riforme per evitare di perdere ancora più finanziamenti europei. La visita di Marta Kos arriva nel mezzo della Quick Response 2025, l’esercitazione annuale della missione multilaterale a guida europea EUFOR Althea, impegnata a garantire l’integrità territoriale del Paese, il cui mandato esecutivo dovrà essere rinnovato entro fine ottobre al Consiglio di sicurezza ONU.
Infine, Dodik ha partecipato assieme al presidente serbo Aleksandar Vučić alla parata militare in occasione della “giornata dell’unità serba” il 15 settembre. Tuttavia, rimangono dubbi sul perché dell’assenza all’ultimo minuto della presidente del parlamento serbo Ana Brnabić al forum interparlamentare RS-Serbia a Banja Luka. Vučić è in difficoltà per le proteste interne e le possibili elezioni nel 2026, e ciò non gioca a favore di Dodik in cerca di supporto in vista di novembre per mantenere ad ogni costo il suo controllo assoluto sulla Republika Srpska.
Foto: Valter.portal