Russia IVA

RUSSIA: Aumento dell’IVA, una scelta impopolare e rischiosa per finanziare la guerra

Il governo russo ha presentato alla Duma un pacchetto di progetti di legge proposto dal Ministero delle Finanze che prevede, tra le altre cose, un innalzamento dell’IVA dal 20% al 22%.

Scelte impopolari

Il documento prodotto dal Ministero delle Finanze – approvato dal governo russo e presentato alla Duma – comprende emendamenti alla legge di bilancio del 2025, emendamenti alla pianificazione federale per il 2027 e il 2028 e diverse modifiche alla politica fiscale. Due, su tutte, sono però le misure che appaiono da subito particolarmente impopolari: innanzitutto, la decisione di aumentare l’IVA standard di due punti percentuali (dal 20% al 22%). Una modifica – si legge nel documento – i cui proventi saranno “volti principalmente a finanziare la difesa e la sicurezza”. La seconda misura riguarda invece il Sistema Fiscale Semplificato (STS). Attraverso questo sistema di semplificazione della rendicontazione, le imprese – in maggioranza medie e piccole, ditte individuali e startup – possono accedere ad esenzioni e aliquote ridotte. La proposta del ministero abbassa drasticamente il limite di reddito per accedere alla semplificazione, da 60 milioni di rubli (circa 600.000€) a 10 milioni di rubli (circa 100.000€). Secondo quanto dichiarato dallo stesso ministero, questa modifica mirerebbe a contrastare il fenomeno della frammentazione, attraverso cui le aziende, separandosi, creano due entità che restino strategicamente sotto la soglia prevista dalla legge, godendo comunque delle esenzioni.

La guerra si avvicina?

Al di là dei tecnicismi economici, bisogna valutare l’impatto di una simile manovra, soprattutto alla luce delle reazioni che potrebbe suscitare nella popolazione.

Da anni si parla di un’economia russa “al collasso”, pronta ad accartocciarsi su sé stessa. Se da una parte questa narrazione è spesso inserita in argomentazioni faziose e imprecise, dall’altra non si può negare che la rapidità con cui il Cremlino sta tentando di approvare questo pacchetto di leggi suggerisce per lo meno una qualche urgenza. Segnali dell’impazienza di Mosca nell’implementare queste novità derivano anche dal fatto che, solitamente, le autorità attuano misure evidentemente impopolari soltanto dopo le elezioni federali (come era stato per l’innalzamento dell’età pensionabile, nel 2018) e non prima: approvando questo pacchetto, Russia Unita si esporrebbe a molte critiche in vista della chiamata alle urne prevista nel 2026.

Va inoltre notato che l’aumento del carico fiscale impatterebbe i segmenti più abbienti della popolazione, quelli che generalmente abitano i grandi centri urbani, che posseggono aziende o imprese e che rappresentano uno dei bacini di elettori più importanti per Russia Unita. Le categorie che maggiormente sostengono lo sforzo bellico in Ucraina, infatti, sono quelle che sono state impattate in misura minore dalla guerra. Alla base di questo ‘contratto sociale’ e del continuo afflusso di voti verso Putin e il suo partito c’è un tacito accordo: appoggio all’operazione militare speciale in cambio del quieto vivere. D’altronde, l’esercito russo impegnato in Ucraina è composto di volontari, il fronte dista migliaia di chilometri da Mosca o San Pietroburgo e la carenza di forza lavoro fa sì che i salari aumentino.

In questo contesto le nuove misure economiche rappresentano una modifica unilaterale al ‘contratto’, di cui non si possono ignorare eventuali ripercussioni in termini di fiducia politica. A queste modifiche si devono poi aggiungere altri fattori che in questi anni hanno avvicinato sempre più il conflitto alla popolazione: le incursioni – sporadiche, ad oggi – di droni sulle città più popolose; la carenza di benzina e i continui attacchi alle raffinerie; la coscrizione autunnale recentemente annunciata da Putin, che mira ad arruolare almeno 135.000 persone. Nell’impossibilità di relegare il conflitto alla sola Ucraina orientale, il Cremlino sembra aver optato per una comunicazione tanto semplice quanto rischiosa: la guerra è una questione esistenziale e richiede uno sforzo da parte di tutta la popolazione. Vanno in questa direzione anche le parole del portavoce del presidente russo, Dmitrij Peskov, alla radio RBK: “Quello che sta accadendo intorno a noi è una guerra. Siamo nella sua fase più acuta. È una situazione fatale. Dobbiamo vincerla”.

Solo il tempo potrà dirci se la minaccia del conflitto riuscirà a consolidare ulteriormente il legame tra la popolazione benestante della Russia e Putin, o se invece creerà delle faglie. Ad oggi, senza un vero movimento che possa farsi carico dell’eventuale discontento di questa fascia della popolazione – al di là dell’opposizione sistemica, il cui peso è sostanzialmente irrilevante – anche un’ipotetica, timida manifestazione di insoddisfazione sembra destinata cadere nel vuoto.

Chi è Davide Cavallini

Laureando in Storia. Cuore diviso tra la provincia est di Milano e l'Est Europa. Appassionato di movimenti giovanili, politiche migratorie e ambientali, si occupa principalmente di Romania, Moldavia e Russia.

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