Il tempo per vendere l’ex ILVA di Taranto è ormai finito. Il termine entro cui presentare le offerte era il 26 settembre. La trattativa più concreta sembrava quella con la Baku Steel Company (BSC), una società dell’Azerbaijan relativamente piccola in termini di capacità di produzione ma che è intenzionata ad entrare nel mercato europeo. Alla fine, però, gli Azeri della BSC si sono tirati indietro. C’entrano molte questioni dell’ILVA ma anche problematiche nazionali come il prezzo dell’energia, che in Italia è molto più alto rispetto alla media europea.
È sempre più difficile vendere l’impianto
Il fatto che una Società azera avesse presentato un’offerta per comprare l’ex ILVA era un fatto significativo anzitutto sul piano politico. L’Italia da tempo importa gas naturale da Baku, anche da prima dell’invasione russa dell’Ucraina. In seguito ad essa però le importazioni sono ulteriormente aumentate a causa del fatto che tutti i paesi membri dell’Unione Europea hanno cercato di slegarsi sempre di più dalla Russia dal punto di vista energetico. Per un paese fortemente dipendente da fonti fossili come l’Italia, l’Azerbaijan è quindi diventato un partner di rilievo. Baku, per tramite della BSC, ha poi espresso la volontà di mettere le mani sull’ex ILVA di Taranto. La Baku Steel Company è il primo moderno stabilimento siderurgico del Caucaso ed esporta in oltre 20 paesi. L’impianto utilizza tecnologia all’avanguardia di fusione e di colata continua ed è in costante aggiornamento sul mercato. Prova del fatto che Baku sta cercando di diversificare la propria politica economica, ancora fortemente legata alle fonti fossili onshore e offshore che hanno garantito una fortissima crescita negli ultimi decenni.
Tuttavia, recentemente fonti del Ministero delle Imprese e del Made in Italy hanno reso noto che gli azeri della Baku Steel Company hanno ritirato l’offerta. Palazzo Chigi dice che sarebbe ancora interessato il gruppo indiano Jindal Steel, che però nei giorni scorsi ha presentato un’offerta di oltre due miliardi di euro. Questo perché il gruppo industriale è in trattativa anche con Thyssenkrupp, storico gruppo metallurgico tedesco, per comprare una acciaieria. Per Jindal andare ad investire in Germania sarebbe molto più conveniente rispetto all’Italia, soprattutto quando si parla di ILVA. I motivi sono diversi. Hanno a che fare soprattutto con i costi sull’energia e sono gli stessi motivi che hanno portato gli Azeri ad abbandonare la gara per comprare l’impianto di Taranto.
L’incredibile inconcludenza nostrana sull’ILVA (e non solo)
L’impianto dell’ex ILVA di Taranto è enorme. Una sorta di città dentro la città dove le ciminiere dei suoi altiforni fanno da segnaposti con cui orientarsi quando ci si sposta. La fabbrica ha anche una capacità industriale non indifferente potendo produrre fino a 8 milioni di tonnellate l’anno di acciaio (di fatto la produzione è molto inferiore. Nel 2024 ha toccato le 2 milioni di tonnellate contro le 6 milioni necessarie per coprire i costi). L’ILVA è però diventata da tempo il simbolo dell’inconcludenza italiana. Nel luglio del 2012 venne messa sotto sequestro da una giudice, Patrizia Todisco, per via delle sostanze contenute nei fumi di lavorazione: diossina, metalli pesanti, benzene, polveri sottili, anidride solforosa. L’ILVA ha quindi dei problemi ambientali enormi. Per l’impianto, ancora oggi sotto sequestro con facoltà d’uso, sono arrivati da allora 18 decreti cosiddetti “salva ILVA”, con cui i governi hanno prorogato uno stato di eccezione per consentire all’impianto di continuare a lavorare senza mai riuscire veramente a risolvere le questioni ambientali e sanitarie sottolineate dalla magistratura. Questo è il primo dei problemi che rendono poco appetibile comprare l’impianto, ma non è l’unico.
Ci sono problematiche di scarsa manutenzione degli altiforni che rendono difficile la produzione, e problemi occupazionali; la fabbrica è inoltre in perdita finanziaria ormai da anni a causa degli scarsi livelli produttivi. Alcuni problemi sono legati non direttamente alla fabbrica, come la crisi generale dell’acciaio che ha colpito tutta Europa, ma soprattutto i costi dell’energia. In un settore come quello siderurgico è un aspetto fondamentale per scegliere dove andare ad investire. Il differenziale tra il prezzo dell’energia in Italia e quello degli altri paesi europei è da sempre notevole, a causa soprattutto dell’elevata tassazione sull’energia. La situazione è peggiorata dopo la crisi russo-ucraina che ha tolto il velo di ipocrisia nel sistema energetico italiano, fortemente legato alle fonti fossili proveniente in particolar modo dalla Russia. Nel 2025 in Italia il prezzo medio al megawattora è intorno agli 85 euro (MWh), in Germania 44, in Francia 25. L’Italia è messa peggio anche della Spagna che grazie ad un mix energetico di rinnovabili e nucleare è riuscita a contenere i costi, un po’ come ha fatto la Francia. Il gruppo Jindal sarà quindi interessato, ma non si capisce perché debba investire nell’ILVA invece che in Germania dove avrebbe meno problemi di tipo ambientale, burocratico, occupazionale, e di costi.