Candidate for the post of prime minister Sadyr Japarov speaks at an extraordinary session of the Kyrgyz Parliament at the Ala-Archa state residence in Bishkek on October 10, 2020. (Photo by VYACHESLAV OSELEDKO / AFP)

Il Kirghizistan ha vietato la pornografia online

Il 28 luglio il presidente Sadyr Japarov ha firmato una legge per vietare la pornografia online. Tutte le imprese che forniscono servizi online e tutti i siti web attivi in Kirghizistan saranno obbligati a bloccare l’accesso a contenuti per adulti. Sul sito della presidenza si legge che lo scopo è proteggere i valori morali ed etici della società kirghiza, e anche il benessere “spirituale e morale” dei cittadini. Da molti osservatori e ONG indipendenti però, viene vista come l’ennesima stretta alla libertà di espressione da parte di un presidente sempre più autoritario.

Davvero il Kirghizistan era “un’isola di democrazia”?

La pornografia online è un tema complesso. Lo è anche nelle democrazie occidentali dove il dibattito è sempre più acceso e riguarda temi come l’educazione sessuale ma anche la privacy e la protezione dei dati personali. In molti paesi è socialmente poco accettata e per questo rientra sistematicamente nel mirino di molti regimi. Vietarla completamente è però una decisione presa dai regimi più autoritari: la pornografia è infatti proibita in paesi come Cina, Afghanistan, Iran, o Arabia Saudita. Il divieto viene spesso utilizzato per restringere la libertà di espressione o per arrestare i dissidenti politici, come è successo all’artista cinese Ai Weiwei. Adesso anche il Kirghizistan si è aggiunto alla lista dei paesi del “pugno duro contro il porno”. La nazione centro asiatica conta circa 7 milioni di abitanti e viene guidata dal 2021 da Sadyr Japarov che riuscì ad accentrare il potere attraverso una riforma costituzionale, passando dal sistema parlamentare a un sistema presidenziale. Inoltre, Japarov ha già annunciato la sua intenzione di ricandidarsi nel 2027. Il Kirghizistan ha una caratteristica particolare rispetto ai suoi vicini: ha una società civile molto attiva, tanto che dopo il crollo dell’Unione Sovietica alcuni osservatori definirono (in modo prematuro) il paese “un’isola di democrazia”.

Nel 2005 la svolta autoritaria del presidente Askar Akaev provocò la “Rivoluzione dei Tulipani” l’unica rivoluzione colorata che investì l’Asia centrale (nel 2003 ci fu la Rivoluzione delle Rose in Georgia, e nel 2004 la Rivoluzione Arancione in Ucraina) costringendo Akaev alle dimissioni. Alla guida del Paese arrivò Kurmanbek Bakiev, accolto inizialmente con speranze di riforma democratica, ma presto accusato di concentrare troppo potere nelle proprie mani. Nel 2010, l’aumento dei prezzi dell’energia e la corruzione scatenarono nuove rivolte violente: Bakiev fu deposto e Roza Otunbayeva assunse la presidenza ad interim fino alle elezioni del 2011, che portarono al potere Almazbek Atambayev, poi sostituito da Sooronbai Jeenbekov. L’attuale presidente è emerso come figura dominante dopo le proteste di massa dell’ottobre 2020 contro i brogli elettorali. Liberato dal carcere durante i disordini, nel giro di pochi giorni è passato da ex deputato di opposizione a primo ministro e presidente ad interim, per poi legittimarsi con la vittoria alle elezioni anticipate del gennaio 2021. Parlare del Kirghizistan come “isola di democrazia” non è quindi certamente appropriato. È tuttavia vero che guardando ai dati forniti da Freedom House, ONG con sede negli Stati Uniti che si occupa di monitorare e promuovere la democrazia, la libertà politica e i diritti umani nel mondo, il paese è molto avanti rispetto ai suoi vicini. Pur non essendo definita “democrazia”, ha ad esempio un indice di libertà su internet di 48/100, rientrando nella categoria “parzialmente libero”. È probabile però che questo dato cambierà presto.

Svolta autoritaria

La legge riguarda la pornografia, ma rientra in una serie di provvedimenti che governo e parlamento hanno preso nell’ultimo periodo e che concernono proprio l’utilizzo di internet. A fine giugno il parlamento ha approvato una legge che limita la libertà di stampa, costringendo tutte le testate, comprese quelle online, a registrarsi come organi di stampa ma dà al governo il potere di determinare la procedura di registrazione. Di fatto è il governo a decidere quale testata è un organo di stampa e quale no. Da quando Japarov è diventato presidente la libertà di stampa è sempre diminuita nel paese, facendolo declassare dal 72esimo posto al 144esimo nel World Press Freedom, classifica annuale sulla libertà di stampa nel mondo redatta dall’organizzazione Reporters Without Borders. Inoltre, a luglio, lo stesso giorno in cui il presidente ha firmato il divieto alla pornografia online, è passata un’altra legge che rende la gestione di internet un monopolio statale, attribuendo il controllo totale del traffico all’operatore statale delle telecomunicazioni ElKat.

Altre leggi approvate sotto la presidenza di Japarov rendono illegale la diffusione di fake news e contenuti estremisti, lasciando al governo la discrezionalità di giudicare tali contenuti. Anche la legge sulla pornografia lascia all’esecutivo totale discrezionalità per decidere cosa è porno e cosa no. Inutile dire che ciò è fonte di grande preoccupazione per le associazioni per i diritti umani che si battono per la libertà di espressione, in quanto non essendoci una definizione univoca di cosa sia un contenuto pornografico, il governo può impugnarla per mettere a tacere gli oppositori e i media indipendenti. Cosa già ampiamente successa in tutti gli altri paesi che hanno abolito la pornografia online, motivando la scelta con giustificazioni di tipo etico e morale. Ovviamente, nessuno di questi paesi ha la pretesa di averla veramente abolita nei fatti. Le leggi che riguardano la regolamentazione di internet sono sempre aggirabili in un modo o nell’altro, e l’industria del porno online macina e continuerà a macinare miliardi di dollari anche per questo motivo. Ma di questo a Bishkek sono perfettamente consapevoli.

Chi è Paolo Perolo

Laureato in Scienze Internazionali e Diplomatiche presso l'Università di Bologna, attualmente studia East European and Eurasian Studies (Mirees) presso lo stesso istituto. I suoi interessi si concentrano su Asia centrale e Caucaso del Sud dal punto di vista geopolitico e ambientale, in modo particolare riguardo le risorse idriche.

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