SLOVENIA: Una politica estera chiara sulla Palestina

Era il 4 giugno 2024 quando il Parlamento sloveno riconosceva lo Stato di Palestina. Da allora, Lubiana ha rafforzato i rapporti diplomatici con Ramallah e, nell’agosto di quest’anno, ha imposto un embargo totale sul commercio di armi con Israele. 

La Slovenia è uno dei pochi paesi dell’Unione Europea ad aver riconosciuto lo Stato di Palestina e ad aver adottato sanzioni dirette contro Israele. Il riconoscimento formale, avvenuto il 4 giugno 2024 con il voto del Parlamento, è stato presentato come un atto di coerenza con i principi del diritto internazionale e dell’autodeterminazione dei popoli. Da allora, Lubiana ha avviato relazioni diplomatiche con la capitale amministrativa Ramallah – un passaggio che ha attirato da subito l’attenzione dei media e le reazioni da Bruxelles.

Un passo che affonda le sue radici nella diplomazia slovena, che fin dal suo ingresso nell’UE ha cercato un ruolo nella politica esterna, presentandosi come promotrice dei diritti umani e del multilateralismo. In particolare, già negli anni Duemila aveva sostenuto l’ingresso della Palestina come osservatore alle Nazioni Unite. L’attuale guerra a Gaza, attiva dal 2023, e il crescente numero di vittime civili hanno poi spinto il governo del primo ministro Robert Golob a rafforzare la propria posizione, allineandosi ad una parte del mondo europeo sensibile alla questione palestinese. All’esempio di Spagna, Irlanda e Norvegia, che hanno riconosciuto lo Stato nello stesso periodo, si è dunque aggiunta la scelta da parte slovena di rivendicare un ruolo attivo.

Misure concrete, una linea chiara

Non solo un gesto simbolico. Nei mesi successivi al riconoscimento, il governo ha adottato una serie di misure concrete, rafforzando una linea chiara. Nel luglio 2025, è stato il primo paese europeo a vietare l’ingresso in Slovenia a due figure di spicco dell’estrema destra israeliana: Bezalel Smotrich, ministro delle finanze, e Itamar Ben-Gvir, ministro della sicurezza nazionale. Persone non gradite, accusate di aver rilasciato “dichiarazioni genocide”, di incitamento all’odio e alla violenza contro i palestinesi. A questo posizionamento, è seguito un ulteriore atto pionieristico in Europa: il divieto totale di importazione, esportazione e transito di armi da e verso Israele. Decisione storica, che il governo ha sostenuto con un comunicato ufficiale: «A causa di disaccordi e divisioni interne, l’Unione europea non è attualmente in grado di portare a termine questo compito. Il risultato è vergognoso: le persone a Gaza muoiono a causa del blocco sistematico degli aiuti umanitari. Muoiono sotto le macerie, senza accesso ad acqua potabile, cibo e cure mediche di base. Ciò che sta accadendo è una negazione assoluta dell’accesso umanitario e una deliberata limitazione delle condizioni fondamentali per la sopravvivenza. In tali situazioni, è dovere di ogni Paese responsabile intervenire, anche se ciò significa farlo prima di altri».

Il supporto alla causa palestinese non è evidentemente solo istituzionale. La ministra degli esteri, Tanja Fajon, ha definito il riconoscimento un “dovere morale“, mentre Eva Tomic, consigliera per i diritti umani, ha sottolineato come gli sloveni comprendano le sofferenze di entrambe le popolazioni. Dichiarazioni che trovano riscontro nelle piazze, dove l’energia di studenti e cittadini che partecipano a manifestazioni per la giustizia e la pace, la libertà e l’autodeterminazione, si mescolano al ricordo della guerra d’indipendenza del 1991.

La critica all’inerzia della diplomazia europea, alla mancata coesione degli Stati membri e all’assenza di misure efficaci contro Israele convive dunque con il volume che cercano di alzare iniziative nazionali. La mossa portata avanti dal governo Golob consolida così l’immagine di un premier leader, capace di posizioni nette, che annuncia apertamente come questa linea di azione sia “una delle decisioni di politica estera più importanti e nobili della storia slovena“. Una posizione certamente funzionale anche a rafforzare l’immagine del governo in vista delle elezioni della prossima primavera, dove parte favorita l’opposizione di destra guidata da Janez Janša, che invece sostiene una linea pro-Israele, spesso accompagnata da retorica islamofoba.

Si apre la strada?

Lo scorso 11 settembre il Parlamento Europeo ha approvato una risoluzione non vincolante che invita gli Stati membri a “prendere in considerazione il riconoscimento dello Stato di Palestina, al fine di raggiungere la soluzione dei due Stati”. La votazione, lunga e tesa, si è chiusa con 305 voti a favore, 151 contrari e 122 astensioni, dopo una verifica degli emendamenti sul contesto di Gaza. Rispetto a precedenti appoggi al “riconoscimento di principio”, la risoluzione rappresenta un invito più diretto ai governi nazionali ad agire. Tra i punti più dibattuti, l’uso del termine “genocidio” per descrivere le operazioni israeliane, infine escluso dal testo.

La mossa del Parlamento europeo evidenzia la divisione dei 27 Stati membri sul tema, ma segna anche un passo importante nella pressione collettiva sull’Unione, a cui la Slovenia ha fatto da precursore con le sue decisioni nazionali.

Foto: Al Jazeera Media Network / Slovenian FM: Recognising Palestine is a ‘moral duty’

Chi è Ivana Ristovska

Nata nel 1996 a Štip (Macedonia del Nord), vivo a Torino. Credo nella forza delle connessioni e mi appassiona la ricchezza dei confini – specialmente nell'area balcanica, dove i confini più che linee sono narrazioni in movimento. Ne parlo qui su East Journal.

Leggi anche

Slovenia scandalo

SLOVENIA: Scandalo per le indagini fiscali abusive contro gli avversari di Jansa e Vucic

Un vero e proprio scandalo politico è scoppiato in Slovenia, con l'ex premier Janez Janša sotto accusa per aver usato indagini fiscali contro gli oppositori politici. Una pratica che avrebbe coinvolto anche la scena politica della Serbia

WP2Social Auto Publish Powered By : XYZScripts.com