KIRGHIZISTAN: Sospetti di frode alle elezioni parlamentari

Il 28 novembre, i kirghisi si sono recati ai seggi per rinnovare il parlamento, il cui mandato è scaduto da più di un anno. Si tratta della ripetizione delle elezioni parlamentari svoltesi ad ottobre 2020 e poi annullate dal comitato elettorale centrale in seguito a brogli elettorali e ampie rivolte. Per un paese, dove, in soli trent’anni, proteste popolari hanno fatto cadere tre presidenti e innescato cambi di regime, le elezioni, pur svolgendosi con un copione simile, possono avere esiti inaspettati.

I partiti pro-governativi in netto vantaggio 

In questo turno, le elezioni hanno assegnato 40 seggi in meno nel Jogorku Kenesh, il parlamento kirghiso, dopo che il referendum costituzionale di aprile ha rafforzato i poteri del presidente a discapito del parlamento. Dei 90 seggi allocabili, 54 sono destinati a candidati provenienti dalle liste dei partiti, mentre i 36 restanti da circoscrizioni elettorali uninominali.

In totale, 21 partiti e quasi 300 candidati  hanno partecipato a questa tornata elettorale.  Secondo i risultati attuali, Japarov riuscirà a consolidare il suo potere nel parlamento; infatti, i  tre partiti più vicini al presidente, Ata-Jurt Kyrgysztan (Patria Kirghizistan), Ishenim (Fede) e Yntymak (Armonia), sono in testa di molti punti rispetto agli avversari, mentre tra gli esponenti dell’opposizione, solo Alyans (Alleanza) e Butun Kyrgyzstan (Kirghizistan Unito), sembrano riuscire a superare la soglia di sbarramento, assieme a Yiman Nuru (Raggio di Fede).

Ombre di irregolarità e frode 

In attesa che si concluda il conteggio manuale, che determinerà l’esito ufficiale delle elezioni, le accuse di falsificazione dei dati e altre denunce di anomalie dilagano per il paese. Tra compravendita di voti in cambio di buoni per la benzina e autobus pagati dai candidati per trasportare elettori intenzionati a vendere il loro voto, figurano violazioni di più larga scala, come quelle denunciate dall’opposizione; in una conferenza stampa, i partiti Ata-Meken (Fatherland), Azattyk (Libertà), Uluttar Birimdigi (Unità delle Etnie) e i Socialdemocratici, hanno dichiarato di non accettare i risultati preliminari del 28 novembre, accusando la commissione elettorale centrale di frode.

I dati sono stati messi in discussione quando il sito che riportava il conteggio delle schede nelle urne automatiche si è bloccato e, una volta rimesso in funzione, diversi partiti di opposizione si sono visti togliere migliaia di voti, alcuni di questi necessari per superare la soglia di sbarramento del 5%.

Inoltre, si è registrato un numero significativi di voti non validi, circa il 10% di tutti quelli registrati,  che i partiti chiedono di essere ricontrollati a mano. Per questi motivi, il giorno successivo alle elezioni, si è svolta una manifestazione davanti all’edificio della commissione elettorale centrale, dove i  partiti di opposizione hanno emesso un ultimatum di due giorni per indire nuove elezioni e chiesto le dimissioni del comitato elettorale centrale.

Sullo sfondo: arresti, stanchezza elettorale, crisi energetica e lenta ripresa economica

Le elezioni si sono svolte in un clima di tensione politica e sociale. Il 26 novembre,  il comitato di sicurezza nazionale ha annunciato l’arresto di 15 persone, tra cui ex funzionari di alto rango e deputati, sospettati di orchestrare un colpo di stato e di aver reclutato un migliaio di persone per organizzare rivolte post-elettorali.

Inoltre, le elezioni di novembre 2021 passeranno probabilmente alla storia per il record di affluenza in negativo, 32% contro il 57% delle precedenti elezioni parlamentari. Questo dato, assieme all’alta percentuale di schede nulle, segnalano la grande disaffezione e distaccamento dalla politica e non meno la stanchezza dettata da quattro elezioni in poco più di un anno. Qualunque siano i risultati definitivi, si prospetta un inverno difficile per il nuovo governo, con una (lunga) crisi energetica alle porte e l’economia che fatica a riprendersi dalla pandemia.

Photo:pixabay

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