Dodik

BOSNIA: La scure della Corte costituzionale sulle leggi di Dodik

Lo scontro a tutto campo tra Milorad Dodik, presidente della Republika Srpska (RS) – l’entità a maggioranza serba della Bosnia Erzegovina – e le istituzioni statali del paese si arricchisce di un nuovo tassello, peraltro atteso.

La sentenza

È del 29 maggio scorso, infatti, la notizia che la Corte costituzionale della Bosnia Erzegovina ha disposto l’abrogazione di tutte le leggi – già sospese – adottate dall’assemblea della Republika Srpska a fine febbraio. La Corte ha tra l’altro sottolineato che l’entità non possa determinare la propria competenza in maniera unilaterale laddove la Costituzione prevede che tale competenza sia appannaggio esclusivo dello Stato.

Nessuna invasione di campo può essere tollerata, dunque, esattamente il contrario dell’attitudine reiteratamente mostrata dal presidente Dodik. Presidente, peraltro, ancora saldamente al suo posto, malgrado sulla sua testa pendano un mandato d’arresto emesso dalla procura statale per attentato alla costituzione e una condanna in primo grado a un anno di reclusione e a sei anni di interdizione dai pubblici uffici.

Le leggi della discordia

A finire nel mirino della Corte sono tutte le leggi più controverse promulgate nel pieno di quel conflitto politico istituzionale in corso da anni ma che, negli ultimi mesi, ha assunto toni e modalità inedite, persino da queste parti.

Tra esse, la più controversa ed eversiva era la legge che voleva imporre alle istituzioni giudiziarie e di polizia statali – Corte delle Bosnia Erzegovina, Procura di stato, Consiglio superiore della magistratura e Agenzia Statale per le Indagini e la Protezione (SIPA) – il divieto di esercitare qualsivoglia giurisdizione nei confini dell’entità. Una legge che secondo la sentenza della Corte “nega de facto e de jure la sovranità dello stato della Bosnia Erzegovina su parte del suo territorio e le sue competenze nel campo della giustizia e della sicurezza”.

Annullate, perché “prive di chiarezza giuridica”, anche le modifiche imposte al Codice penale, incluse quelle che avevano definito il nuovo reato di mancanza di rispetto o mancata attuazione delle decisioni delle istituzioni o degli organi della Republika Srpska. Secondo la Corte, infatti, la legge sarebbe “formulata in modo così ampio da prevedere la responsabilità penale per la mancata attuazione di qualsiasi decisione di qualsiasi istituzione o organo della Republika Srpska, indipendentemente dai valori sociali a rischio nel caso specifico”.

Stessa sorte per la cosiddetta “legge sugli agenti stranieri” che imponeva alle organizzazione non governative (ONG) e ai media indipendenti che ricevevano finanziamenti dall’estero la registrazione obbligatoria in un registro istituito dal ministero della Giustizia sottoponendole a ispezioni e obblighi di segnalazione, oltre alla possibilità di essere classificate come “agenti stranieri” nel caso in cui avessero svolto “azioni politiche o attività politiche finanziate o altrimenti assistite da entità straniere”. Di fatto una legge che, come sostenuto dal Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Michael O’Flaherty, criminalizzava le ONG al punto da indurre la Corte costituzionale ad associarla esplicatamene alla vigente legislazione russa e a definirla una chiara “violazione della libertà di associazione”, incompatibile con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, oltre che “non necessaria in una società democratica” e contraria “al bisogno sociale impellente” della società bosniaca. Una nettezza che non lascia alcun margine di discrezionalità.

La reazione di Dodik

Sceglie l’ironia il presidente Dodik che, nel frattempo tira dritto per la sua strada incurante di tutto e di tutti, e annuncia (per l’ennesima volta) la formazione di una polizia di frontiera e una nuova costituzione dell’entità che prevederebbe, tra l’altro, la definizione della Republika Srpska come Stato del popolo serbo con il diritto di creare un proprio esercito e un proprio servizio di intelligence. In un tweet, il leader serbo-bosniaco sostiene che “la Corte costituzionale della Bosnia-Erzegovina è l’unica al mondo che è riuscita a rendersi incostituzionale”, aggiungendo sarcasticamente “come una capra custodisce un cavolo, così questa Corte custodisce la Costituzione”.

Del perché Dodik si comporti così da almeno un paio di decenni si è già scritto tutto e il suo contrario. Così come delle sue ambizioni secessioniste, vere o presunte che siano. Ma la minaccia – paventata il giorno stesso del pronunciamento della Corte – che “tali decisioni non verranno attuate”, lascia facilmente presagire che, a pochi giorni dall’inizio del processo d’appello contro la sua condanna, assisteremo ad altri episodi di questa tristissima querelle. In gioco c’è la sopravvivenza politica del leader di Banja Luka. Ma, soprattutto, quella della Bosnia Erzegovina.

Foto: jurist.org

Chi è Pietro Aleotti

Milanese per caso, errabondo per natura, è attualmente basato a Parigi. Svariati articoli su temi ambientali, pubblicati in tutto il mondo. Collabora con East Journal da Ottobre 2018 per la redazione Balcani ma di Balcani ha scritto anche per Limes, l’Espresso e Left. E’ anche autore per il teatro: il suo monologo “Bosnia e il rinoceronte di pezza” ha vinto il premio l’Edizione 2018 ed è arrivato secondo alla XVI edizione del Premio Letterario Internazionale Lago Gerundo. Nel 2019 il suo racconto "La colazione di Alima" è stato finalista e menzione speciale al "Premio Internazionale Quasimodo". Nel 2021 il racconto "Resta, Alima - il racconto di un anno" è stato menzione di merito al Premio Internazionale Michelangelo Buonarroti.

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