Un comizio contro il secessionismo in Vojvodina

SERBIA: Vucic si scaglia contro il separatismo immaginario in Vojvodina

Mentre le proteste anti-governative infiammano le università e le strade serbe, a partire da Novi Sad, il presidente Aleksandar Vučić è tornato a parlare di separatismo in Vojvodina. Il 15 febbraio, durante la manifestazione a favore del governo organizzata a Sremska Mitrovica, è stata resa pubblica la “Dichiarazione sulla Vojvodina”, che riafferma l’inseparabilità della provincia autonoma da Belgrado, e viceversa. La marginalità della questione autonomista nel nord della Serbia e il tempismo della dichiarazione sollevano interrogativi, mentre il dibattito politico è polarizzato dalle proteste studentesche.

Contro un separatismo immaginario

Nonostante l’assenza di un reale movimento secessionista in Vojvodina – i partiti con le posizioni più radicali sull’autonomia sono rimasti fuori dall’assemblea locale – Vucić ha tentato di riportare la questione voivogiana al centro del dibattito pubblico, convocando lo scorso 15 febbraio a Sremska Mitrovica un comizio per annunciare l’adozione per acclamazione popolare della “Dichiarazione sulla Vojvodina”.

«La Vojvodina è espressione dei valori europei […] parte inseparabile dell’identità nazionale, politica, costituzionale e culturale della Serbia moderna. […] La Vojvodina non è solo una parte della Serbia, la Vojvodina è Serbia, Vojvodina è il nome e Serbia il cognome, e non c’è Serbia senza Vojvodina, come la Vojvodina non può esistere fuori dalla Serbia». Così recita il documento, che è diviso in cinque sezioni riguardanti lo sviluppo storico della Vojvodina serba, i continui tentativi di imporre l’idea della cosiddetta nazione della Vojvodina, la posizione costituzionale e giuridica della Vojvodina, l’arresto delle aspirazioni separatiste e la Vojvodina come una comunità multiculturale, multinazionale e multiconfessionale basata sull’uguaglianza tra i cittadini.

Sebbene Vučić sostenga che l’offensiva contro il separatismo voivogiano non abbia nulla a che fare con le proteste, iniziate proprio da Novi Sad, che scuotono il paese da settimane, le opposizioni ritengono che si tratta di una strategia per deviare l’attenzione mediatica, ricorrendo alla  retorica del nazionalismo: non a caso il primo ministro uscente Miloš Vučević ha paragonato la situazione nella regione all’indipendenza del Montenegro del 2006.

“[Vučić] mente dicendo che qualcuno vuole separare la Vojvodina dalla Serbia”, ha affermato ai cittadini di Sombor Dragan Djilas, presidente del partito d’opposizione Libertà e Giustizia, prima di paragonare il presidente serbo all’imperatore romano Nerone. “Continua a spaventare la popolazione e a incitare i cittadini gli uni contro gli altri. Non c’è nessuno in Serbia che sia a favore della secessione. Solo il socio in affari, modello politico e grande amico di Vučić, Viktor Orbán ha tali ambizioni, come dimostra quando indossa una sciarpa con la Vojvodina come parte dell’Ungheria”.

La storia dell’autonomia in Vojvodina

La Vojvodina è un mosaico di lingue, culture ed etnie. In un’area poco più grande della Lombardia convivono pacificamente serbi, ungheresi, slovacchi, croati, rom, romeni, montenegrini, bosniaci, sloveni, macedoni, albanesi, polacchi, valacchi, russini e tedeschi, per un totale di un milione e settecentomila abitanti in tre diverse aree geografiche: lo Srem (Sirmia), la Bačka e il Banato. La regione ha dapprima ottenuto lo status di provincia autonoma nella Jugoslavia socialista nel 1948, e con la Costituzione del 1974 la Vojvodina e il Kosovo furono riconosciute come soggetti federali. Godevano di un forte decentramento, al pari delle altre Repubbliche, pur rimanendo parte integrante della Serbia.

Le cose cambiarono con l’ascesa di Slobodan Milošević e con le sue “rivoluzioni anti-burocratiche”. Nel 1988 dei manifestanti vicini al presidente serbo costrinsero alle dimissioni l’Assemblea provinciale di Novi Sad – la capitale voivogiana -, che aveva bloccato alcuni emendamenti alla futura costituzione serba. La nuova costituzione entrò in vigore nel 1990, e con questa la Vojvodina e il Kosovo cessarono di essere soggetti della Federazione iugoslava, diventando semplici province autonome della Serbia.

Gli equilibri nella regione furono nuovamente modificati durante le guerre degli anni ’90, quando Milošević per modificare il tessuto demografico locale ricollocò 160.000 profughi serbi, provenienti da Bosnia e Croazia, in zone con forti presenze ungheresi. In seguito a questa modifica artificiosa delle proporzioni tra le etnie che abitano la Vojvodina, si verificarono episodi d’odio tra la comunità serba e ungherese, acuiti dall’ingresso nella Nato dell’Ungheria, avvenuto poco prima dell’inizio dei bombardamenti contro la Jugoslavia, a cui Budapest ha collaborato prestando l’uso degli aeroporti agli aerei da guerra dell’Alleanza.

In seguito alla fine dei conflitti e alla caduta di Milošević nel 2000, la legge “omnibus”, successivamente confermata da uno statuto nel 2014, ha restituito alla Vojvodina parte dell’autonomia sottratta negli anni Novanta, nel campo della sanità, dell’educazione, delle finanze e delle pensioni, sebbene in maniera limitata rispetto ai tempi della Jugoslavia socialista. Negli anni seguenti le spinte autonomiste nella regione sono state deboli e i movimenti che le sostenevano si sono spesso rivelati fuochi di paglia.

Uno strumento propagandistico

L’improvvisa attenzione sul separatismo in Vojvodina si inserisce in un contesto politico segnato da crescenti tensioni. L’ondata di proteste che ha invaso tutta la Serbia in seguito alla tragedia della stazione di Novi Sad sta minando il consenso del Partito Progressista di Vučić, il quale dunque insiste sui temi cari all’elettorato nazionalista nella speranza di riaffermare l’unità nazionale in un clima assai teso, sebbene il pericolo secessionista sia molto lontano.

Resta da vedere se la retorica nazionalistica di Vučić rimarrà un’arma di propaganda, utile a distogliere l’attenzione dalle colpe che gli vengono attribuite dai manifestanti, o sarà seguita da manovre concrete volte a limitare ulteriormente l’autonomia voivogiana, in barba al fido Orbán, principale alleato serbo nell’Unione Europea.

Foto: profilo Facebook di Vucic

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