Ohrid Kosovo Serbia

BALCANI: Due anni dopo l’accordo di Ohrid, cosa succede nei rapporti tra Kosovo e Serbia?

A quasi due anni dall’Accordo di Ohrid del marzo 2023, il processo di normalizzazione delle relazioni tra Kosovo e Serbia mediato dall’Unione Europea continua a incontrare sfide significative. Nonostante l’accordo rappresentasse un passo cruciale verso la stabilità regionale e desse speranza per un avanzamento nel dialogo tra i due paesi, la sua attuazione rimane incompleta.

Ohrid e le tensioni

Il 18 marzo 2023, ad Ohrid in Macedonia del Nord, Albin Kurti, primo ministro kosovaro, e Aleksandar Vučić, presidente serbo, avevano raggiunto un’intesa verbale sull’accordo raggiunto poche setttimane prime a Bruxelles e sul suo allegato che ne delinea i passi necessari per l’implementazione, alla presenza dell’allora Alto Rappresentante UE Josep Borrell e inviato speciale UE per il dialogo Miroslav Lajçak. Tuttavia, mentre Bruxelles ritiene l’accordo giuridicamente vincolante, il governo serbo non lo ha mai riconosciuto tale in quanto mancante di firma – e Vučić, scherzandoci su, ha affermato di ‘sentire un forte dolore alla mano che lo impossibilita a firmare qualsiasi accordo con il governo kosovaro’. Kurti, dal canto suo, nonostante si sia detto più volte pronto a firmare l’accordo, nei fatti si è opposto alle richieste europee di procedere alla realizzazione dell’Associazione delle municipalità del Kosovo a maggioranza serba (ASM), un organo di autonomia per i serbi del Kosovo parte dell’accordo del 2013, e da allora mai realizzato da Pristina.

L’Accordo di Ohrid prevedeva diversi punti chiave per la normalizzazione delle relazioni tra Kosovo e Serbia. Tra i principali dettami c’erano il riconoscimento reciproco dei documenti ufficiali, il rispetto dell’integrità territoriale, la non opposizione serba all’ingresso nelle organizzazioni internazionali da parte del Kosovo, il rafforzamento della protezione per la chiesa ortodossa serba in Kosovo e la creazione di una forma di autonomia per i serbi del Kosovo, di fatto la ASM.

A parte qualche accordo su questioni meramente tecniche, come il riconoscimento delle targhe, i principali obblighi sanciti da Ohrid non hanno mai trovato attuazione nella realtà e le violazioni sono state numerose, come per esempio il voto contrario della Serbia all’adesione del Kosovo al Consiglio d’Europa o l’assenza di passi concreti da parte del Kosovo per realizzare la ASM. A questo si sono sommate numerose tensioni che hanno caratterizzato gli ultimi due anni di relazioni tra Kosovo e Serbia, come gli scontri tra manifestanti serbi e truppe NATO, l’attacco di Banjska, il referendum per rimuovere sindaci etnicamente albanesi dalle municipalità nel Nord del paese, la questione del ponte di Mitrovica, l’esplosione di un acquedotto nel Nord del Kosovo.

Il nuovo rappresentante speciale

In questo contesto di tensioni persistenti e continue difficoltà nel progredire nel dialogo tra Kosovo e Serbia, l’Unione Europea ha nominato il diplomatico danese Peter Sørensen come nuovo rappresentante speciale, con un mandato iniziale di 13 mesi a partire dal 1° febbraio. Sørensen porta con sé una vasta esperienza nei Balcani occidentali, avendo infatti ricoperto in passato il ruolo di capo delegazione UE in Bosnia-Erzegovina ed in Macedonia del Nord, oltre ad essere stato il rappresentante permanente per conto dell’UE presso le Nazioni Unite a Ginevra.

La nomina di Sørensen rappresenta un’opportunità per rivitalizzare il processo di dialogo e affrontare le questioni irrisolte che hanno finora impedito una completa normalizzazione delle relazioni tra Kosovo e Serbia.

Un bilancio del mandato di Lajčák

Sørensen succede allo slovacco Lajčák, che ha ricoperto il ruolo di inviato speciale dell’UE per quasi cinque anni, a partire dal 2020. Durante il suo mandato, Lajčák non è mai riuscito pienamente a costruire un rapporto di fiducia tra lui e le parti coinvolte, in modo particolare con le autorità kosovare che lo hanno più volte accusato di attuare un doppio standard e di non riservare lo stesso trattamento nei confronti di entrambe le parti. In generale, Kurti ed il suo governo hanno più volte espresso preoccupazione per l’approccio dell’UE, e degli Stati Uniti, nei confronti della Serbia, accusando i funzionari occidentali di “accomodamento” verso Belgrado, le cui violazioni dei dettami di Ohrid sono rimaste impunite. Da sottolineare, inoltre, che il Kosovo è oggetto di sanzioni da parte di UE e Stati Uniti in quanto accusato di non star facendo abbastanza per smorzare le tensioni nei comuni del nord.

Questa mancanza di fiducia nei confronti del mediatore si è trasformata di fatto in uno stallo dei negoziati e nel fallimento di far progredire in modo concreto la normalizzazione delle relazioni, particolarmente evidente se si pensa che gli accordi di Ohrid sono il maggiore risultato prodotto dal dialogo sotto la guida di Laičak, ma una delle due parti non ne riconosce la validità vincolante, annullandone di fatto ogni effetto.

Il cambio ai vertici della politica estera europea nei Balcani, con la nomina di Kaja Kallas come Alto Rappresentante UE e di Sørensen come inviato speciale per il dialogo, offre sicuramente la speranza di una imminente rivitalizzazione del processo di normalizzazione delle relazioni tra i due paesi. Questo è di fondamentale importanza anche nel contesto del percorso di integrazione europea di Kosovo e Serbia, che dovranno risolvere le questioni bilaterali per potere fare passi avanti tangibili verso l’adesione all’UE. Tuttavia, ad oggi il futuro del dialogo è reso ancora più incerto da questioni interne che caratterizzano la Serbia, scossa ormai da mesi da imponenti manifestazioni, il Kosovo, che dopo le elezioni è in una fase di stallo che potrebbe durare a lungo in attesa della formazione di un nuovo governo, e anche gli Stati Uniti, attore chiave nella regione le cui mosse con la nuova amministrazione Trump sono difficili da prevedere. Queste nuove problematiche, sommate agli storici problemi che hanno da sempre caratterizzato il rapporto tra Kosovo e Serbia, renderanno la ripresa del dialogo ancora più difficile.

Foto: Balkan Insight

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