Kosovo tensione

KOSOVO: Mitrovica e la chiusura serba, rimane la tensione al nord

Se il mese di agosto è solitamente un momento in cui i toni della politica e della diplomazia si abbassano per un breve periodo, così non è stato per il Kosovo. Durante lo scorso mese sono state due le questioni chiave che hanno mostrato, ancora una volta, la differenza di vedute tra l’attuale classe politica al governo del paese, guidata dalla presidente Vjosa Osmani e dal primo ministro Albin Kurti, la comunità internazionale e la minoranza serba al nord, allineata in buona parte al presidente serbo Aleksandar Vučić.

La tensione si è di nuovo alzata, anche se senza che si siano registrate violenze, quando il governo kosovaro ha annunciato il piano per riaprire il ponte principale di Mitrovica e ha poi chiuso cinque istituzioni parallele nel nord del Kosovo.

Il ponte di Mitrovica

Chiuso al traffico delle auto da ormai più di due decenni, il ponte di Mitrovica è il simbolo della divisione che ancora esiste tra i kosovari di etnia albanese e quelli di etnia serba. Il ponte, che attraversa il fiume Ibar divide Mitrovica sud, a maggioranza albanese, da Mitrovica nord, a maggioranza serba, ed è presidiato 24 ore al giorno da una pattuglia dei Carabinieri nell’ambito della missione NATO KFOR.

Ad inizio agosto, il premier Kurti aveva affermato pubblicamente l’intenzione di riaprire il ponte al traffico automobilistico, sostenendo come questo sia un passo necessario per favorire l’integrazione delle due comunità e riunificare una città divisa dalla guerra. Le dichiarazioni del primo ministro avevano, come previsto, generato un notevole nervosismo all’interno dell’UE, del Quint (il gruppo informale di coordinamento tra Stati Uniti, Regno Unito, Italia, Germania e Francia) e del governo serbo. La presidente Osmani, a sua volta, aveva ribadito la necessità di riaprire il ponte, adottando tuttavia toni meno accesi e affermando che ciò sarebbe comunque dovuto avvenire in consultazione con i partner occidentali e in pieno rispetto delle norme necessarie per garantire la sicurezza dei cittadini di entrambe le etnie.

La reazione negativa da parte della comunità internazionale alla proposta di Kurti è stata netta. Il colonnello dell’esercito italiano Salvatore Mascoli, portavoce della missione KFOR, ha affermato come la missione NATO si opponga ad ogni decisione unilaterale che possa dare vita a tensioni tra le comunità. Allo stesso modo, l’Ambasciatore statunitense in Kosovo Jeff Hovenier ha affermato che i paesi del Quint non avrebbero sostenuto l’apertura del ponte al traffico veicolare. Anche l’UE, tramite il suo portavoce Peter Stano, ha nuovamente ribadito come la questione del ponte sia parte integrante del dialogo tra Kosovo e Serbia e debba essere discussa tra le parti a Bruxelles. Tuttavia, un accordo mediato dall’UE era stato raggiunto nel 2016 e prevedeva la riapertura, mai avvenuta, per il 20 gennaio 2017.

Osteggiata dai serbi del Kosovo e da Belgrado, che denuncia il rischio di un aumento delle violenze e di una vera e propria pulizia etnica a danno dei serbi, e invece richiesta a gran voce dagli albanesi, l’annosa questione dell’apertura del ponte di Mitrovica è ormai diventata una questione meramente politica e simbolica più che di sicurezza, considerando che a meno di due chilometri dal ponte che divide il centro cittadino ci sono ben due ponti aperti da sempre al traffico veicolare.

La chiusura delle istituzioni parallele

Se sull’apertura del ponte non sono stati compiuti, al momento, passi concreti, il 31 agosto, la polizia del Kosovo ha invece chiuso al nord cinque istituzioni considerate parallele, in quanto parte del sistema istituzionale della Serbia ed illegali per le leggi kosovare. Gli edifici che sono stati chiusi dalla polizia kosovara ospitavano la sede dei quattro comuni paralleli delle municipalità a maggioranza serba a Nord del fiume Ibar, inclusa Mitrovica, più quello regionale, e rappresentavano un sistema di amministrazione che forniva servizi ai cittadini serbi, operando al di fuori delle leggi del Kosovo.

Questa azione unilaterale, voluta dal governo di Pristina, è stata nuovamente criticata dalla comunità internazionale e da Belgrado, e ha provocato altre tensioni come dimostra il massiccio dispiegamento di truppe KFOR sul ponte.

La politica di Kurti

Dinari serbi, documenti, targhe, obbligo di pagamento dell’elettricità e ora la chiusura delle istituzioni parallele: da quando Kurti è al governo, ha utilizzato il concetto di ripristino della legalità come principio guida per la reintegrazione del nord, ottenendo risultati oggettivi ma al contempo ricevendo crescenti critiche dalla comunità internazionale per le tensioni che hanno provocato all’interno della comunità serba.

La questione del ponte di Mitrovica e la chiusura delle istituzioni parallele nel Nord del paese sono solo gli ultimi due eventi che hanno ulteriormente inasprito i rapporti tra il governo Kurti ed i partner occidentali. Dal giugno dello scorso anno sono infatti state imposte sanzioni dall’Unione Europea e dagli Stati Uniti nei confronti del Kosovo, nonostante il paese sia completamente allineato con i valori e la politica estera e di sicurezza dell’Unione Europea. Una posizione vissuta da Pristina come una forma di doppio standard adottato nei confronti della Serbia, che non è oggetto di sanzioni nonostante il suo evidente collegamento con l’attacco terroristico di Banjska di un anno fa e la sua vicinanza con la Russia.

Dialogo, quale futuro?

Il dialogo mediato dall’UE dovrà sicuramente proseguire nei prossimi mesi, e la questione del ponte sarà probabilmente in agenda, nella speranza che possa finalmente produrre risultati tangibili. Ad oggi, il dialogo sembra ad un punto morto, come confemato lo scorso 17 settembre, quando le squadre negoziali di Kosovo e Serbia hanno incontrato separatamente la delegazione europea a Bruxelles, senza che si tenesse l’incontro tripartito, a causa della divergenza di vedute tra le parti.

Regna ad oggi molta incertezza sui prossimi passi che Bruxelles adotterà, visto che non è ancora stato nominato il sostituto dello slovacco Miroslav Lajčák, che, nonostante non sarà il nuovo Ambasciatore UE in Svizzera come precedentemente comunicato, quasi sicuramente non ricoprirà più il ruolo di mediatore tra Kosovo e Serbia visti gli scarsi risultati ottenuti e la poca fiducia nei suoi confronti nutrita dalle autorità kosovare. In attesa delle prime mosse della nuova Alta Rappresentante UE per gli affari esteri e la Sicurezza, l’estone Kaja Kallas, e dell’esito del voto politico in Kosovo, in programma a febbraio 2025, la situazione di stallo resta fonte di tensione, che riemerge con preoccupante regolarità.

Fonte immagine: La Repubblica

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