referendum Kosovo

KOSOVO: Tra tensioni e referendum fallito, il nord resta nel limbo

di Leonardo Torelli

E’ passato un anno dagli scontri avvenuti a Zvecan, nel nord del Kosovo, tra manifestanti serbi e soldati NATO. Dopo il fallimento ad aprile scorso del referendum per la rimozione dei sindaci albanesi, il nord del paese rimane nel limbo. 

Il 29 maggio 2023, il Kosovo veniva scosso da violenti scontri tra manifestanti serbi e soldati della NATO, avvenuti nel nord del paese, area a maggioranza serba. In quell’occasione, nel tentativo di impedire l’insediamento nelle sedi istituzionali dei sindaci albanesi eletti, a Zvecan la protesta dei serbi si era fatta violenta, provocando feriti gravi tra i soldati NATO impiegati nel paese.

Nel settembre 2023, il governo di Pristina ha accettato di annullare gli esiti delle elezioni comunali nel nord del paese e di tenerne di nuove, assecondando le pressioni dell’Unione Europea. Il referendum promosso lo scorso aprile per rimovere i sindaci albanesi, che avrebbe dovuto aprire la strada a nuove elezioni locali, è pero’ fallito a causa del boicottaggio dei residenti serbi, lasciando i quattro comuni settentionali in uno stato di pericoloso limbo.

Il contesto

Da anni Kosovo e Serbia sono impegnate in colloqui mediati dall’Unione Europea per normalizzare le loro relazioni. Tra i temi sul tavolo c’è la costituzione di un’entità che riunisca i serbi del Kosovo, nelle vesti di un’Associazione dei comuni a maggioranza serba, inclusi i quattro del Kosovo settentrionale, Nord Mitrovica, Zvecan, Zubin Potok e Leposavic. Il governo kosovaro teme che l’Associazione permetta a Belgrado di istituzionalizzare il proprio controllo sul Kosovo del nord, area su cui le istituzioni di Pristina hanno fatto fatica negli anni ad estendere la propria sovranità. In questo senso, dal momento del suo insediamento nel 2021, il premier del Kosovo Albin Kurti ha promosso una maggiore integrazione delle aree settentrionali nel sistema statale kosovaro, una politica che ha aumentato le tensioni con Belgrado e con la popolazione serba.

Tra le politiche adottate dal governo, particolarmente controversa è stata quella sulle targhe delle auto, che ha causato nel novembre 2022 la decisione dei serbi di abbandonare le istituzioni del Kosovo, rendendo necessarie le elezioni anticipate nelle quattro municipalità a maggioranza serba nel nord del paese. Il 23 aprile 2023, a seguito delle votazioni boicottate dai serbi su ordine della Lista Serba, il principale partito dei serbi del Kosovo, controllato da Belgrado, i rappresentati di etnia albanese sono risultati vincitori a fronte del solo 3,47% dei votanti.

L’insediamento di questi sindaci ha portato alle violenze di Zvecan, seguite poi dai fatti di Banjska in settembre, quando in un villaggio vicino Leposavic si è consumato un attacco ad opera di una trentina di uomini serbi mascherati contro una pattuglia di polizia, che ha causato la morte di un poliziotto della polizia del Kosovo. Milan Radoičić, allora vicepresidente della Lista Serba, ha ammesso tramite il suo legale di aver organizzato “in autonomia” l’agguato, “senza il contributo di Belgrado”. Pochi giorni dopo l’uomo, vicino al presidente della Serbia Aleksandar Vučić, è stato arrestato in Serbia, ma immediatamente rilasciato.

Il referendum

A fronte di queste tensioni, e soprattutto alle pressioni internazionali, la soluzione adottata da Pristina consisteva nell’indire un referendum, prima delle nuove elezioni, con cui la popolazione avrebbe potuto esprimersi sull’opportunità di rimuovere i quattro sindaci delle municipalità coinvolte. Tale soluzione è stata respinta dalla Lista Serba, secondo cui i sindaci avrebbero dovuto semplicemente dimettersi. Il partito sosteneva inoltre che il referendum non fosse stato frutto di un accordo tra Pristina, Belgrado ed i mediatori internazionali, ed ha esortato i serbi che vivono nei quattro comuni a boicottarlo.

Un flop annunciato, dunque. Il 21 aprile scorso, alle urne si sono presentati 253 elettori dei circa 46.000 iscritti nelle liste elettorali nei quattro comuni, senza che la consultazione raggiungesse il quorum. La Lista Serba ha affermato che la buona riuscita del referendum è stata minata da una campagna di pressione e intimidazione nei confronti dei serbi da parte del governo del Kosovo, accuse che Pristina ha negato. Il partito ha peraltro riconosciuto di voler “sostituire questi falsi sindaci”, ma di non voler “fare i giochi diretti dal regime di Pristina”. Per contro, nelle municipalità di Mitrovica Nord, Zvecan e Leposavic i vice-sindaci serbi, non appartenenti alla Lista, sono rimasti in carica e promuovono un dialogo costruttivo con le istituzioni ed il premier Kurti, nonostante le intimidazioni.

D’altra parte, la presidente del Kosovo Vjosa Osmani ha accusato Belgrado di aver esercitato pressioni sui serbi del Kosovo affinché boicottassero il referendum: “Ancora una volta la Serbia ha interferito illegalmente nel processo elettorale di un altro Paese. Ancora una volta (ndr Aleksandar) Vučić non ha mantenuto la parola data ai partner internazionali (ndr di non interferire)”, ha dichiarato.

Immediata è stata anche la condanna di USA, Italia, Francia, Germania e Regno Unito, che hanno espresso in un comunicato “rammarico per le dichiarazioni della Lista Serba e di altri attori politici serbi kosovari che invitano a ritirarsi dalla partecipazione a questo voto (…). La partecipazione democratica è fondamentale per garantire che le istituzioni elette siano rappresentative delle popolazioni di cui sono al servizio. Il voto è una libertà fondamentale delle società democratiche”.

Il limbo

Dopo il fallimento del referendum, i sindaci albanesi sono rimasti al loro posto, e la popolazione serba continua ad essere senza rappresentanza politica. La scelta del boicottaggio, sponsorizzata da Belgrado, sembra aver accentuato le tensioni già presenti, lasciando l’area in un limbo che non vede soluzione imminente. 

Photo: Balkan Insight

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