UCRAINA: La verità di Meloni al falso diplomatico

La premier italiana Giorgia Meloni ha ammesso che i leader europei sono “stanchi” della guerra in Ucraina, e che “siamo vicini al momento in cui tutti capiranno che abbiamo bisogno di una via d’uscita”. Parole che rivelano un segreto di pulcinella. Parole che sono state dette a una coppia di comici russi i quali, al telefono, si sono spacciati per funzionari dell’Unione Africana. A dirla tutta, i leader europei si sono dimostrati “stanchi” della guerra fin dal primo giorno e hanno temporeggiato in ogni modo prima di vedersi costretti a prendere qualche iniziativa a sostegno di Kiev.

L’audio della chiamata, avvenuta a settembre, è stato pubblicato online mercoledì primo novembre dai comici russi Vovan e Lexus, i cui veri nomi sono Vladimir Kuznetsov e Alexei Stolyarov. La prima cosa da appurare è se all’Ufficio diplomatico della Presidente del consiglio, a Palazzo Chigi, ci lavori Topo Gigio. Perché essere beffati da due burloni che si fingono funzionari della Commissione dell’Unione Africana, per un paese che non sia tentato di modificare la Costituzione proclamandosi repubblica delle banane, è piuttosto imbarazzante.  Ora, i due burloni sono stati accusati di agire come uno “strumento pro-Cremlino di guerra dell’informazione” prendendo di mira gli occidentali di alto profilo che si sono espressi contro Mosca dopo l’invasione russa dell’Ucraina. Sarà, oppure no. Ma non cambia una virgola della figura da cioccolatai né del contenuto delle affermazioni della premier.

L’Ufficio diplomatico si è detto dispiaciuto ma insomma, dai, la telefonata è arrivata il 18 settembre, poco prima degli incontri previsti con i leader africani all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, e quindi poteva pur essere vera, no? La prossima volta basterà consultare gli impegni della premier per fingersi Napoleone poco prima di un incontro all’Eliseo e concordare i dettagli della prossima Waterloo del governo.

La conversazione è trapelata proprio all’indomani della richiesta del presidente ucraino Zelens’kyj di “non allentare il sostegno all’Ucraina“, che sarebbe la “cosa più spaventosa” cedere adesso e cercare un appeasement con la Russia. Spaventosa lo è di sicuro, ma anche molto attraente. Il limitato sostegno occidentale, sia economico sia militare, è arrivato con il contagocce. I miliardi spesi sono in verità poca cosa rispetto a quanto si è sborsato per altre recenti guerre. Senza contare che Berlino e Parigi hanno fatto di tutto per trovare un accordo con il Cremlino, come già nel 2014, quando costrinsero Kiev a firmare quegli accordi capestro a Minsk. E poi le armi da offesa no, i carri Abrams no, i missili ATacMS no, ma qualche bomba a grappolo e proiettile all’uranio impoverito va bene, così si svuotano gli arsenali di quella robaccia ormai non più utilizzabile. Ha detto bene lo scrittore Andrei Kurkov: “[Gli occidentali] sono molto lenti nella consegna di armi e munizioni perché vogliono che questa guerra vada a rilento in modo da dare ai russi il tempo di capire che non possono vincere, ma a costo della vita dei soldati ucraini”.

Quando la Meloni diceva che “Putin difende i valori europei e l’identità cristiana”

Il governo italiano, benché attraversato da pulsioni filorusse, sta mantenendo dritta la barra dell’atlantismo. Anche perché è una barra che non si può piegare. Così sono state messe in soffitta le magliette con la faccia di Putin, le richieste di eliminare la sanzioni alla Russia e quelle di introdurre in Italia il vaccino Sputnik – sì, anche Meloni lo chiese – ma è difficile pensare che non si tratti di opportunismo. Certo, nella telefonata con i due impostori russi, la premier non si è lasciata andare a dichiarazioni scomode. «Il problema – ha detto nella telefonata – è trovare una via d’uscita accettabile per entrambe le parti senza distruggere il diritto internazionale. Ho alcune idee su come gestire questa situazione, ma aspetto il momento giusto per metterle sul tavolo. […] In ogni caso gli ucraini stanno facendo quello che devono fare, quello che è giusto fare, e noi cerchiamo di aiutarli».

La faccenda si chiuderà probabilmente qui, senza ulteriori strascichi, ma appare ormai chiaro quello che già si presentiva da tempo: gli europei non hanno voglia di andare avanti a oltranza, e cercano una via d’uscita. L’obiettivo, in fondo, è raggiunto: dissanguare la Russia, metterla in condizione di non nuocere per qualche decennio, relegarla ad attore regionale e secondario a livell0 internazionale. In merito alla riconquista e alla liberazione dell’intero territorio ucraino, c’è poco da crederci. Ancora qualche sacrificio – ucraino, s’intende – e Mosca finirà in knock out tecnico. Poi si troverà un accomodamento, una tregua, un armistizio. Una toppa peggiore del buco. Ed è questa l’amara verità emersa da una falsa telefonata.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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