Vi ricordate quando l’Unione Europea venne premiata con il Nobel per la Pace? Correva l’anno duemiladodici, un’era geologica fa. Oggi la Commissione europea promuove un piano di riarmo, paventa minacce ai confini, prepara manuali per sopravvivere alla guerra, mentre i leader europei si baloccano con l’idea di un esercito comune. Cade così l’ultimo inganno europeista. Dopo aver respinto a fucilate i migranti, dopo aver affamato i greci, dopo aver chiuso le frontiere interne, dopo aver speculato sui vaccini per la pandemia, è venuto il tempo della guerra. Una guerra che si chiama pace. Poiché è questo che ci assicurano da Bruxelles, le armi servono a mantenere la pace.
Una strana aria
L’intelligence danese ha dichiarato che la Russia potrebbe scatenare una guerra in Europa entro cinque anni. Nei paesi scandinavi sembrano parecchio preoccupati dal deterioramento dell’Alleanza Atlantica e da qualche tempo sono corsi ai ripari, estendendo il servizio di leva alle donne o reintroducendolo per gli uomini: “Non per fare la guerra, ma per evitarla”, ha dichiarato la premier danese Mette Frederiksen. In Francia, dopo che il presidente Emmanuel Macron ha dichiarato di essere pronto a mandare truppe in Ucraina – salvo poi cambiare idea – si sta preparando un manuale di sopravvivenza da distribuire ai cittadini in cui è descritto come sopravvivere in caso di guerra o altri disastri.
L’Unione Europea non è da meno: la Commissaria europea per la Gestione delle crisi, Hadja Lahbib, ha presentato un manuale per “sopravvivere settantadue ore in caso di attacco”. Il manuale è parte di una più ampia “strategia di preparazione” che l’UE sta approntando per i suoi cittadini. Insomma, in Europa si parla di riarmo, di esercito comune, di minaccia ai confini, di manuali per sopravvivere in caso di guerra. Tira una strana aria. Sembra che si voglia abituare l’opinione pubblica all’idea della minaccia militare, instillando timori e qualche paranoia, per rendere i cittadini europei più docili nei confronti del militarismo che sta prendendo piede in questi mesi.
Debito pubblico per compare armi?
Com’è noto, l’Unione Europea si appresta a una corsa agli armamenti, suscitando critiche e opposizioni da parte di molti cittadini europei. Si è deciso così di cambiarne il nome, ma non la sostanza: il piano di riarmo europeo, presentato dalla presidente della Commissione, Ursula Von der Layen, con la necessità di “scoraggiare ogni minaccia dall’esterno mossa dall’odio verso l’Europa”, e approvato dal Parlamento europeo, prevede di mobilitare circa 800 miliardi di euro per la difesa europea. Questo denaro arriverà in parte da un allentamento dei vincoli del patto di bilancio, e in parte da un programma di indebitamento comune attraverso cui prestare soldi agli Stati membri al fine di acquistare armamenti. Sarà possibile anche utilizzare i fondi non utilizzati per la coesione e le politiche strutturali che potranno essere riallocati per le spese militari. Insomma, si tratta di fare debiti. E i debiti hanno un difetto: vanno restituiti.
Non è un piano realmente europeo
Un buon motivo per cui il piano di riarmo europeo va rifiutato è perché non è realmente europeo. L’Unione farà solo da intermediario ma il conto verrà pagato dai singoli Stati con l’effetto di aumentare il debito pubblico. Quando sarà il momento di rimborsare il debito, i governi dovranno tagliare sulle spese e difficilmente taglieranno quelle militari. Il rischio concreto è che venga tagliata la spesa sociale (sanità, istruzioni, pensioni…). Ecco allora che questo piano non è altro che una riallocazione di risorse a favore della spesa militare.
Il problema della duplicazione dei sistemi d’arma
Spendere di più in armamenti non risolve i problemi della difesa europea se, al contempo, non si affronta il problema della duplicazione dei sistemi d’arma. Per ogni sistema d’arma statunitense i paesi UE ne hanno in media ben sette. Eliminare queste ridondanze creando una difesa davvero comune permetterebbe di ridurre le spese del 10-30%. Ma si tratta di un’utopia. Gli Stati membri non hanno alcuna intenzione di mettere in comune i propri sistemi d’arma semplicemente perché non hanno fiducia nel progetto europeo, nella sua reale capacità di rispondere agli interessi comuni.
L’impossibile difesa comune
Ogni Stato europeo individua obiettivi di sicurezza propri e realizza armamenti adatti a perseguirli. La Francia, ad esempio, ha individuato da tempo il proprio ambito operativo nella vecchia France Afrique, realizzando un carro armato leggero che possa essere trasportato con gli aerei. Al contrario, la Germania ha prodotto un carrarmato pesante, come il Leopard 2, perché ha in mente la minaccia continentale, sui suoi confini orientali. Questo discorso vale per la gran parte dei sistemi d’arma.
Quale sarebbe il più adatto a una difesa comune europea? Dipende dagli obiettivi di difesa che si intendono perseguire. Ma per definirli, occorre almeno una politica di difesa comune, una politica estera comune, se non una vera e propria unità politica. Anche la minaccia russa – ammettendo che lo sia – non è percepita ugualmente da polacchi e spagnoli, per ovvie ragioni di prossimità. Definire quindi obiettivi strategici e minacce comuni appare una chimera.
Parole, parole, soltanto parole
Non interessa a nessuno della difesa comune, e la minaccia russa è solo una bella scusa. A ingrassarsi sarà l’industria degli armamenti, e ciò non è necessariamente un male: si tratta pur sempre di un comparto industriale importante – l’italiana Finmeccanica è la più grande azienda europea del settore – peccato che si tratti di un investimento di denaro pubblico che non tornerà indietro ai cittadini in alcun modo. Il piano di riarmo europeo va rifiutato. Anzitutto, perché significa aumentare il debito pubblico; in secondo luogo, perché è un inganno. E quest’ultimo è, in effetti, il motivo migliore. Se l’Unione Europea vuole davvero la pace, deve individuare una via diplomatica comune per ricostruire quell’architettura di sicurezza che la guerra in Ucraina ha smantellato. La strada è quella della diplomazia, non delle armi. Ma ci vogliono visione politica e leader forti. Al momento, in Europa, mancano entrambe le cose.