Izetbegović

BOSNIA: A vent’anni dalla morte di Alija Izetbegovic, padre della patria

Nell’ultima intervista rilasciata dall’ospedale di Sarajevo, dove sarebbe poi morto il 19 ottobre 2003 dopo molti mesi di malattia, Alija Izetbegović, leader politico bosgnacco e primo presidente della Bosnia-Erzegovina dopo l’indipendenza del 1992, disse: “Le persone dovrebbero pensare al futuro, non alla vendetta. La vendetta può causare solo il male”. Lui, nato nel 1925, il male che provoca la vendetta e la violenza lo aveva visto e provato più volte sulla sua pelle.

Avversità al comunismo tra fede e laicità

Nato a Šamac nel nord della Bosnia, ma trasferitosi ben presto con la famiglia a Sarajevo, durante la Seconda guerra mondiale Alija aderisce ai Giovani Musulmani e nel ’56 si laurea in giurisprudenza unendo cosi un’istruzione laica ad una profonda fede musulmana. Izetbegović attira così su di se l’attenzione del regime titoista, che lo fa arrestare più volte per le sue idee e per il suo rifiuto di aderire al partito comunista jugoslavo.

Nel 1970 dà alle stampe la Dichiarazione Islamica, un trattato sull’Islam e la modernizzazione in cui Izetbegović tenta di conciliare il progresso occidentale con la tradizione religiosa musulmana. L’opera fu successivamente utilizzata come prova contro Izetbegović e altri panislamisti in un processo politico, tenutosi Sarajevo nel 1983, e che si concluse con una condanna a 14 anni di reclusione per “attività ostili ispirate dal nazionalismo musulmano”. Izetbegović esce di prigione dopo due anni, ma l’accusa di estremismo gli resta addosso e dà adito alla propaganda serba e croata di fine anni ’80 che prepara il successivo conflitto.

Le elezioni del ’90 e il piano Izetbegović-Gligorov, e il referendum sull’indipendenza

Con la fine del regime a partito unico, nel 1990 Izetbegović fonda il Partito dell’Azione Democratica (SDA) e ottiene la maggioranza relativa alle prime elezioni libere nel paese, ancora parte della Jugoslavia. Ne nasce una paradossale coalizione tra i tre partiti nazionalisti, con il partito croato HDZ e il serbo-bosniaco SDS di Radovan Karadžić, che non eviterà lo scoppio del conflitto.

In quegli anni di transizione antebellica, Izetbegović e il leader macedone Kiro Gligorov cercano di mediare un’impossibile soluzione politica alla fine della Jugoslavia. Il loro piano prevede una (con)federazione asimmetrica 2+2+2: Serbia e Montenegro al centro, Bosnia Erzegovina e Macedonia come primo cerchio, e Croazia e Slovenia con autonomia e sovranità, sempre all’interno del perimetro jugoslavo. Una soluzione creativa che non riesce a superare il divario tra le élite serbe e croate. Il quotidiano di Belgrado Politika titola: “Accidentalmente o deliberatamente, tale piano è contro gli interessi della Serbia”, il cui leader Slobodan Milošević vorrebbe mantenere in vita una Jugoslavia sempre più dominata da Belgrado.

Mentre Slovenia e Croazia hanno dichiarato la propria indipendenza, e già i serbi di Croazia e quelli di Bosnia hanno messo in piedi le proprie “regioni autonome”, Izetbegović sa di non poter più attendere. Per il 1° marzo 1992 indice anche in Bosnia Erzegovina un referendum sull’indipendenza. Croati e bosgnacchi votano risolutamente a favore, mentre la popolazione serba diserta le urne. La Bosnia Erzegovina viene riconosciuta dai paesi UE ed entra all’ONU, ma la guerra è sempre più vicina.

Il conflitto in Bosnia

L’esercito federale jugoslavo e le milizie serbo-bosniache, ben armate, sono già in postazione in Bosnia Erzegovina. Il governo di Izetbegović a Sarajevo può fare affidamento solo sulla male armata “milizia territoriale”, trasformata nell’Armija BiH, e a cui impedito il rifornimento dall’embargo ONU sulle armi alla Jugoslavia. L’assedio di Sarajevo durerà quattro anni e il presidente Izetbegović lo vivrà all’interno della città, un gesto forte riconosciutogli da tutto il popolo bosgnacco.

E’ il luglio del 1995 quando i soldati di Ratko Mladić entrano nell’enclave di Srebrenica e massacrano oltre 8000 uomini e ragazzi bosniaco-musulmani, in ciò che viene in seguito riconosciuto internazionalmente come un atto di genocidio. Su Srebrenica continua a pesare la voce, mai comprovata, che il governo di Sarajevo e i suoi sponsor internazionali, USA in testa, volessero spingere agli accordi di pace tramite una “semplificazione territoriale” che passasse anche dalla fine delle enclavi lungo la Drina, benché Izetbegović avesse più volte rifiutato uno scambio di territori.

Dayton e la Bosnia di oggi

Proprio nell’autunno 1995 Izetbegović è a Dayton, in Ohio, per partecipare alle trattative di pace assieme ai capi di stato dei paesi limitrofi, il croato Franjo Tuđman e il serbo Slobodan Milošević, entrambi poi accusati e condannati al Tribunale dell’Aja. Gli accordi di pace riconoscono la Bosnia Erzegovina nei suoi confini precedenti il conflitto, modificandone gli assetti interni in un mosaico di entità e cantoni, come suggerito dai mediatori internazionali. Il conflitto è durato quattro anni e ha fatto 250.000 morti.

Superati quelli che lui stesso definì “ i dieci anni più difficili”, dopo esser stato parte del primo trio di Presidenza bosniaca, nel 2000 Izetbegović si ritira dalla vita politica ed affronta una lunga malattia. Anche quest’anno, nel ventesimo anniversario della morte, nel cimitero di Kovači a Sarajevo si è tenuta una cerimonia religiosa alla presenza di amici, parenti e alcune delegazioni istituzionali.

Lo SDA resta al centro del gioco politico nella comunità bosgnacca, sebbene oggi all’opposizione. Sulejman Tihić, suo successore a capo del partito, nel 2003 affermò che senza Izetbegović “non esisterebbe nemmeno la Bosnia Erzegovina”. Anche i suoi nemici gli resero onore: Momčilo Krajisnik, stretto collaboratore di Radovan Karadžić arrestato nel 2000 per genocidio e crimini contro l’umanità, definì Izetbegović un “nemico essenziale”. L’odierno leader della Republika Srpska, Milorad Dodik, lo ha ricordato affermando che “solo la morte ha salvato Izetbegović dal dover rendere conto del proprio ruolo durante la guerra”.

Oggi il partito SDA è all’opposizione, le tensioni politiche continuano nonostante la convivenza giornaliera tra serbi, croati e bosgnacchi. Ripensando alle ultime parole di Izetbegović, sembra sempre più fondamentale pensare al futuro ed evitare la vendetta.

Foto: The Telegraph

Chi è Andrea Mercurio

Ho 26 anni, sono laureato in Scienze Politiche, amo scrivere in ogni modo e in ogni forma. Sono appassionato di Storia e Attualità, da qualche anno mi sono interessato in particolare ai Balcani.

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