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ALBANIA: Raid della polizia contro i dissidenti iraniani del MEK

In Albania, la polizia ha fatto irruzione in un campo appartenente all’Organizzazione dei Mujaheddin del Popolo dell’Iran (MEK), il gruppo in esilio che si oppone al governo teocratico iraniano, causando un morto e decine di feriti.

20 giugno 2023, campo Ashraf-3 a Manez, cittadina a una trentina di chilometri a ovest da Tirana. È qui che ha avuto luogo il raid della polizia albanese costato la vita a un uomo in circostanze ancora poco chiare. Sospettando il coinvolgimento di membri dell’Organizzazione dei Mujaheddin del Popolo dell’Iran (Mojahedin-e-Khalq, MEK) in “attività politiche illegali”, le forze dell’ordine albanesi – diverse decine di agenti in tenuta antisommossa – hanno fatto irruzione nel complesso dei dissidenti iraniani causando la morte del sessantacinquenne Ali Mostashari e il ferimento di un centinaio di persone (secondo quanto riportato dalla segreteria del Consiglio nazionale della resistenza iraniana) poi condotte all’ospedale di Tirana.

Il raid

I video girati dalle persone coinvolte e i rapporti stessi del raid mostrano uno scenario di grande confusione, con urla e tafferugli da parte dei membri del MEK nei confronti di polizia e stampa. Le dinamiche degli scontri restano ancora opache, ma secondo la polizia albanese, la morte dell’uomo non ha nulla a che fare con l’azione svolta dagli agenti, i quali “si sono astenuti dal commettere azioni violente”.

L’associazione giornalistica no-profit AP sostiene che la polizia albanese abbia sequestrato anche 150 dispositivi informatici presumibilmente collegati ad attività politiche illecite. A tal proposito, il ministro dell’Interno albanese Bledar Çuçi ha riferito ai media che la polizia stava facendo rispettare “un’ordinanza del tribunale” per sequestrare dispositivi e attrezzature all’interno del campo in virtù dei “ragionevoli dubbi” che alcuni membri del MEK fossero coinvolti in attività politiche che violerebbero i termini dell’accordo che consente loro di rimanere in Albania.

Come spesso accade in questi frangenti, le parti coinvolte si rimbalzano le responsabilità dell’accaduto. Ma in questo caso, la natura internazionale dello scenario e l’intricata vicenda storica del MEK complicano ulteriormente la questione.

Le reazioni

Sia il ministro Çuçi, che il capo della polizia di stato Muhamet Rrumbullaku hanno confermato l’accaduto: in una conferenza stampa, Çuçi ha definito la reazione del MEK “inaccettabile, intollerabile e riprovevole“, sostenendo al contempo la totale estraneità degli agenti albanesi nel decesso di Ali Mostashari. Rrumbullaku ha inoltre respinto le accuse secondo cui gli agenti avrebbero usato violenza, affermando che la polizia ha utilizzato spray al peperoncino soltanto verso quei membri che “insistevano nella sommossa”. Secondo gli esponenti del MEK invece il decesso sarebbe stato causato dai gas lacrimogeni usati dalla polizia.

Il portavoce del ministero degli Esteri iraniano, Nasser Kanani, ha commentato la notizia accusando il MEK di rappresentare “un pericolo per la sicurezza del paese che lo ospita a causa della sua natura terroristica”. In un tweet di qualche giorno fa, Kanani ha dichiarato che è proprio a causa di questa sua natura che il governo iracheno espulse a suo tempo il MEK, augurandosi al contempo che il governo albanese si accorga al più presto di quanto sia pericoloso e sbagliato “ospitare questo culto terroristico”.

Dagli Stati Uniti arrivano commenti solidali con la polizia albanese. In una nota del Dipartimento di Stato si legge infatti che la polizia albanese “ha assicurato che tutte le azioni sono state condotte in conformità con le leggi applicabili”, anche per quanto riguarda la protezione dei diritti e delle libertà di tutti i cittadini albanesi. Nella nota viene anche ribadito il diritto del governo albanese “a indagare su qualsiasi potenziale attività illegale all’interno del suo territorio”, dal momento che secondo Washington il MEK non è “un movimento di opposizione democratica che rappresenta il popolo iraniano”. Il governo americano prende dunque le distanze dal MEK, quello stesso gruppo che in passato ha ottenuto l’appoggio di alcune importanti figure anti-Teheran all’interno dell’amministrazione Trump, oltre ad aver ricevuto una visita dall’ex vicepresidente degli Stati Uniti Mike Pence nel 2022.

Un lungo scontro diplomatico

Nato nel 1965 come movimento rivoluzionario studentesco di ispirazione marxista e sciita che si opponeva all’allora shah Reza Pahlavi, dopo la rivoluzione iraniana del 1979 il MEK entrò in conflitto con l’Ayatollah Khomeini e i suoi membri si allearono con l’allora presidente dell’Iraq, Saddam Hussein, al fianco del quale combatterono durante il conflitto iraniano-iracheno. I membri del gruppo lanciarono diverse offensive armate sul suolo iraniano durante gli otto anni di guerra Iran-Iraq degli anni ’80. Alla luce di queste attività sovversive, il governo iraniano li considera un gruppo “terrorista” e li ritiene responsabili della morte di circa 17.000 iraniani.

Sebbene nel 1997 il MEK fu etichettato anche dagli USA come organizzazione terroristica, i rapporti mutarono con lo scoppio della guerra in Iraq nel 2003 e la conseguente cattura di Saddam Hussein. Per questo motivo, nel 2012 l’allora segretario di stato americano, Hillary Clinton, rimosse il MEK dalla lista delle organizzazioni terroristiche e iniziò ad accogliere i membri in fuga dall’Iraq, a cui fece seguito l’accordo per il ricollocamento per scopi umanitari di circa 3500 mujaheddin in Albania, iniziato nel 2013 e terminato nel 2016. In quegli anni furono circa 3.000 i membri del MEK che si stabilirono nel paese delle aquile.

La politica albanese di accogliere i membri del MEK ha deteriorato sensibilmente i rapporti tra Teheran e Tirana, come dimostrano alcuni scontri diplomatici tra i due paesi avvenuti negli ultimi anni. Le relazioni diplomatiche tra Albania e Iran si incrinarono ulteriormente dopo il cyber attacco ai siti web governativi albanesi del 15 luglio 2022. A seguito dell’evento, infatti, l’Albania interruppe le proprie relazioni diplomatiche con l’Iran, portando al culmine le criticità delle relazioni tra i due paesi. Ciò ebbe una forte rilevanza internazionale nel contesto dei difficili negoziati per un accordo tra i paesi occidentali e l’Iran sul programma nucleare di quest’ultimo, tenuti all’epoca. 

Foto: www.rferl.org

Chi è Paolo Garatti

Storico e filologo, classe 1983, vive in provincia di Brescia. Grande appassionato di Storia balcanica contemporanea, ha vissuto per qualche periodo tra Sarajevo e Belgrado dove ha scritto le sue tesi di laurea. Viaggiatore solitario e amante dei treni, esplora l'Est principalmente su rotaia

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