fronte ucraino

TACCUINO UCRAINO: Tornare a casa, lo stesso cielo, un’altra lingua

Taccuino ucraino è il diario di Sofiya Stetsenko, il diario del ritorno a casa in un paese in guerra che si ostina a resistere…

Giorno 1 – Nessun altro cielo 

Mi sveglio e già so che mi aspetta un viaggio lungo e stancante. Me lo immagino quasi come se fosse una staffetta: corri, sudi e se sei abbastanza bravo e paziente ricevi il premio. Il mio premio è casa. Vedere com’è cambiata in un anno e mezzo e sperare che possa essere solo in meglio, umanamente parlando. 

L’itinerario del mio viaggio prevede un volo di due ore per Cracovia, un treno dall’aeroporto verso il centro (30 minuti), un altro treno per Przemysl di tre ore – una cittadina al confine polacco-ucraino – e finalmente l’ultimo treno di dieci ore per Kyiv, che per me simbolicamente è il più faticoso e lungo proprio perché il premio è prezioso – casa. 

Stava andando tutto liscio, ma il confine è da sempre un problema. Una fila di tre ore per i controlli dei passaporti ha causato un ritardo di un’ora e mezzo del treno. Non era come all’inizio del conflitto: file chilometriche di persone – donne, anziani e bambini. Però quello a cui ho pensato è che quel treno è pieno di persone che tornano a casa perché nessun cielo sereno in un paese diverso dal tuo potrà mai competere con gli odori e i sapori del proprio focolare. Perché la guerra può portarci via tante cose, ma non l’amore verso quel che ci appartiene. 

Giorno 2 – La lingua è la mia casa

Mancano due ore per arrivare a Kyiv. L’ansia e l’emozione è a mille. Penso a quanto sarà bello poter riabbracciare mio fratello, camminare sulla mia terra e poter parlare la mia lingua, che ora è l’ucraino. Sono di Zaporizhzhya e parlo russo dalla mia nascita, il russo è la mia prima lingua ma… non lo è più. Perché la lingua è il mio confine personale. A casa parlerò ucraino perché casa è l’Ucraina. 

“Prossima fermata: Kyiv-Pasazhyrski”.  Non ho dormito quasi niente eppure mi sento piena di forze. Appena scesa del treno, ho visto tanti occhi che cercavano i propri cari, tanti sorrisi e tante lacrime che sapevano del “finalmente, sono a casa”. E poi ho visto casa mia, mio fratello. Un uomo che ha mandato via la famiglia al sicuro ed è rimasto a Kyiv tra le bombe e l’incertezza di cosa potrebbe riservargli il futuro. 

La prima cosa che noto sono le innumerevoli bandiere blu-cielo e giallo-grano. I soldati in giro con gli occhi persi, però se incroci il loro sguardo sorridono. E questo è bello perché la guerra non ha distrutto il buono che c’era in loro. La presenza di ricci cechi hanno innescato in me un meccanismo di ansia e timore, specialmente quando ho visto i segni dei carri armati che a febbraio del 2022 erano diretti a Bucha, Irpin, Hostomel

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Ma quello che spaventa di più, forse, sono le pubblicità di reclutamento militare, ovunque. L’Ucraina ha bisogno di soldati perché si sa che questa guerra non finirà presto. In fondo, non si può romanticizzarla sempre. A volte, bisogna fermarsi e prenderla per quel che è: guerra. Sinonimo di morte, paura e terrore. 

Avete presente quella sensazione quando si viaggia all’estero e al ritorno la prima cosa che si fa è concedersi una fetta di pizza o qualsiasi altra prelibatezza italiana? Bene, nel mio caso, ho fatto una dritta per il borsch, il piatto tradizionale ucraino. Tuttavia, gli italiani, più di chiunque altro, comprendono che il cibo è parte integrante dell’identità nazionale. Sebbene i nostri gusti possano differire, ciò che unisce ucraini e italiani è la nostra dedizione a preservare il nostro patrimonio culturale e culinario. Un primo esempio di ciò si è verificato nel 2019 quando l’account Twitter ufficiale della Federazione Russa ha affermato che il borsch è un tipico piatto russo. Per fortuna, lo chef Yevgen Klopotenko ha risolto rapidamente questa controversia, dichiarando l’intoccabilità del borsch del patrimonio culinario ucraino, con l’UNESCO che alla fine ha confermato la verità. È divertente ma anche stimolante perché, ipoteticamente, se la Francia affermasse che la carbonara apparteneva solo a loro, la risposta italiana comporterebbe probabilmente un esercito in marcia verso l’UNESCO.

Stanotte ho provato la sensazione del primo allarme aereo. Oltre all’allarme aereo ordinario, il ministero della Trasformazione Digitale dell’Ucraina ha sviluppato un’app che produce lo stesso suono dell’allerta aerea, inserendo la propria città di residenza. Così, il mio letto per un paio d’ore era diventata la vasca da doccia e la paura ha funzionato meglio del caffè. Quando il cielo sopra Kyiv era di nuovo al sicuro, non sono riuscita comunque a dormire perché ogni minimo rumore – ad esempio, le macchine che passavano – mi spaventavano a morte e quindi ero sempre sull’attenti. Mio fratello, invece, era abituato e al mio: “ma non hai paura?” mi ha risposto: “ma non si è sentito nemmeno niente”. La gente misura la propria tranquillità e sicurezza in base alle esplosioni. E questo pure spaventa.

Giorno 3 – Dentro Maidan

Il mio piano iniziale era quello di esplorare la capitale nel suo nuovo aspetto uscendo la mattina presto. Tuttavia, le ripercussioni della distruzione della diga di Nuova Kakhovka stavano iniziando a colpire anche Kyiv. Con l’aumento della scarsità di acqua potabile nelle aree allagate della regione di Kherson, il panico ha cominciato a diffondersi anche nella regione di Kyiv. Di conseguenza, ho dovuto rimandare i miei piani fino alle 14:00, quando finalmente è arrivata una consegna di 20 litri di acqua potabile. Era insolito perché in genere gli ordini di acqua vengono evasi entro un’ora o due. Era il mio primo reality check della routine ai tempi di guerra. 

Il centro di Kyiv. Che meraviglia. La gente ride e vive come se non ci fosse un domani… coraggiosi. Tutto questo fino a che non arrivi all’edificio del consiglio municipale. Il poster che chiede di rilasciare dalla prigionia i difensori dell’Azovstal, un poster prodotto dall’IA di Zaluzhnyi che porta Putin in tribunale e una macchina distrutta dai proiettili… più avanti c’è il Maidan. 

Il poster di fronte il Consiglio Comunale di Kyiv

Prima di dirigermi verso Maidan ho preso la decisione di fermarmi un attimo, perché sapevo che questo luogo intriso di forza, un simbolo di determinazione, libertà e dignità umana mi avrebbe commosso fino alle lacrime. Alla ricerca di una breve tregua, sono entrata in una caffetteria. Lì, ho ordinato una tazza di caffè e ho avviato una conversazione con il barista, curiosa di sapere come la sua vita fosse stata influenzata dalla guerra. Un sorriso e poi: “la mia vita è cambiata completamente”. Poi ha indicato il proprietario della caffetteria.  La mia attenzione è stata attirata dai suoi inconfondibili tatuaggi patriottici, come la palyanytsia e i motivi della vyshyvanka sulla sua maglietta. Dalla nostra conversazione ho scoperto che proveniva da Kharkiv e aveva fondato questo stabilimento solo due mesi fa, nel mezzo della guerra in corso. Sorpresa, chiesi: “Durante la guerra?” Ha risposto con determinazione, dicendo: “Se non ora, quando? Se non noi, chi?” Prima di andarmene, mi ha offerto i famosi biscotti di Kharkiv, motivo di orgoglio per lui. Motivo di orgoglio per me, invece, è condividere la stessa nazionalità di queste persone. 

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Maidan… beh. Non c’è molto da dire. Avevo visitato questa piazza per la prima volta quando avevo otto anni, nel 2006. Due anni dopo la Rivoluzione Arancione. Non capivo molto, ma mi piacevano quelle bandierine. Ora le bandierine non mi piacciono più perché rappresentano i soldati caduti in questa guerra. E come se non bastasse la potenza di questa scena, noto un soldato che firma un’altra bandiera – un’altra morte – e piange per il compagno caduto nella stessa battaglia combattuta insieme, ma con esiti diversi. Non riesco ad andare oltre. È troppo intenso. Riesco solo a sfogare il mio dolore tramite le lacrime, accovacciata sulle scalinate della piazza. 

Chi è Sofiya Stetsenko

Laureata al MIREES (Università di Bologna). Nata in Ucraina e cresciuta in Italia, è appassionata di politica e questioni energetiche nello spazio post-sovietico. E' coautrice di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022)

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