Jovica Stanišić e Franko Simatović, i due ex-funzionari serbi condannati a 15 anni per crimini di guerra

BALCANI: Stanišić-Simatović, arriva la condanna per i crimini commessi in Bosnia

Ci sono voluti vent’anni perché il Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia portasse a termine il processo a Jovica Stanišić e Franko Simatović, due ex-funzionari dell’intelligence serba già condannati nel 2021 per crimini contro l’umanità commessi in Bosnia. Il 31 maggio una nuova sentenza ha esteso le loro condanne, chiudendo così il più lungo processo per crimini di guerra dell’Aja, e dimostrando il ruolo della Serbia nelle guerre in Bosnia-Erzegovina e Croazia.

L’Aja, 31 maggio 2023. Di fronte a una tribuna pubblica gremita, i giudici del “Meccanismo Residuale” (IRMCT) hanno condannato a 15 anni di carcere Jovica Stanišić e Franko “Frenki” Simatović, i due ufficiali dei servizi segreti serbi ritenuti colpevoli della pulizia etnica e delle atrocità commesse durante la guerra sotto il governo dell’allora presidente serbo Slobodan Milošević.

A vent’anni di distanza dal suo inizio, si è concluso così l’ultimo e il più lungo processo ereditato dal Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia (ICTY), creato dalle Nazioni Unite nel 1993 e sostituito nel 2010 dall’IRMTC, il cui compito è quello di concludere le attività residuali dei Tribunali penali internazionali per il Ruanda e, appunto, per la ex-Jugoslavia.

La sentenza

Il verdetto dei giudici ritiene Stanišić e Simatović colpevoli di aver partecipato a un’operazione criminale congiunta che mirava all’allontanamento forzato e permanente della maggioranza dei non-serbi da vaste aree in Croazia e in Bosnia-Erzegovina nel 1992, compiendo al contempo omicidi, deportazioni, azioni disumane e persecuzioni la cui responsabilità è ora incontrovertibile.

Lo storico verdetto non li collega solo ai crimini commessi nel 1992 a Bijeljina, Zvornik, Bosanski Šamac, Derventa, Sanski Most, e sul monte Dalj, ma anche a quelli commessi nel 1995 a Trnovo e Sanski Most. Queste ultime due condanne portano a 93 il numero delle condanne emesse in 30 anni di giustizia internazionale nella regione, sulle 161 persone incriminate dall’ICTY.

Un processo lungo vent’anni

Stanišić e Simatović vennero incriminati e arrestati per la prima volta nel 2003, quando l’ICTY ritenne che fossero coinvolti nella sopracitata operazione congiunta del 1992 per la pulizia etnica. Furono arrestati dalla polizia serba durante l’Operacija Sablja, un’indagine sull’assassinio del premier serbo Zoran Đinđić, freddato a Belgrado da un colpo di fucile esploso quello stesso anno.

I pubblici ministeri delle Nazioni Unite accusarono Stanišić e Simatović di aver organizzato, armato, addestrato e finanziato alcune delle più famigerate milizie serbe operative in Bosnia-Erzegovina e Croazia tra il 1991 e il 1995, compresi i gruppi paramilitari noti come “Scorpioni” e “Tigri”. Dopo un processo durato quattro anni, furono assolti nel 2013. Nel verdetto di primo grado, i giudici dell’Aja ritennero Stanišić e Simatović colpevoli solo per le azioni delle unità di polizia segreta serba in Bosnia, senza dunque trovarli responsabili dei crimini commessi da altri gruppi paramilitari serbi in Bosnia. I giudici infatti stabilirono che, sebbene i reati contestati nell’accusa fossero stati commessi, gli imputati non potevano essere ritenuti legalmente responsabili, in quanto non vi era alcuna prova che gli ordini dati erano “specificamente destinati” a facilitare l’esecuzione di questi crimini.

Per la procura, impegnata da anni nel tentativo di dimostrare la responsabilità penale della Serbia nelle guerre jugoslave, fu un colpo durissimo. Altri due eventi avrebbero poi minato ulteriormente il difficile proseguo della giustizia: nel 2006, nel mezzo del suo processo, morì Milošević, e all’inizio del 2013 il capo delle forze armate serbe durante il conflitto, Momčilo Perišić – inizialmente condannato per crimini di guerra e crimini contro l’umanità – fu assolto dalla Corte d’appello.

Alla prima assoluzione, fece seguito nel 2015 la richiesta, accolta, di rifare il processo a causa di gravi errori fattuali e procedurali. Dopo aver scontato sette anni di carcere fino ad oggi, i condannati dovrebbero rimanere in carcere per altri tre anni prima di poter presentare domanda di rilascio anticipato. 

Le reazioni politiche

Secondo Iva Vukusic, storica dell’Università di Utrecht, dal punto di vista legale questa nuova condanna costituisce “un cambiamento sostanziale” ma non un “punto di svolta“, dal momento che il Tribunale è visto con grande scetticismo in Serbia, dove la glorificazione dei criminali di guerra è ormai una realtà consolidata e molti di questi uomini sono considerati eroi. 

Per le vittime, tuttavia, il verdetto è significativo, dal momento che dimostra la “responsabilità della Serbia” nella guerre jugoslave, come dichiara Munira Subašić, membro del gruppo di attiviste conosciute come le “Madri di Srebrenica”. Queste donne, molte delle quali ormai anziane, hanno presenziato le udienze lungo tutto il procedimento penale, rappresentando i sopravvissuti all’assedio di Srebrenica, compreso il massacro di oltre 8.000 musulmani bosniaci che l’ICTY ha riconosciuto come genocidio.

La sentenza dell’IRMCT è stata “attesa a lungo”, ha dichiarato Matthew Miller, portavoce del Dipartimento di Stato americano, e segna la conclusione di un “importante capitolo della giustizia penale internazionale nell’ex-Jugoslavia”. L’Alto rappresentante per la Bosnia-Erzegovina, Christian Schmidt, si augura che il verdetto in questione aiuti i sopravvissuti e le famiglie delle vittime “a trovare un po’ di pace e tranquillità” dopo gli orrori vissuti durante la guerra.

Un verdetto importante

Come già scritto, il verdetto è stato accolto con favore dalle organizzazioni delle vittime di guerra in Bosnia-Erzegovina, che da anni sostengono la necessità da parte della leadership serba di affrontare la responsabilità penale per i crimini commessi nelle ex repubbliche jugoslave, ma anche di procedere con quei risarcimenti che la Serbia ha sempre fermamente rifiutato di erogare, insistendo sulla mancanza di un coinvolgimento diretto da parte di Belgrado nella guerra in Bosnia.

Ma il verdetto Stanišić-Simatović ha dimostrato proprio questo, e cioè che la guerra in Bosnia-Erzegovina non fu una guerra civile, ma un conflitto internazionale in cui la leadership politica dei paesi vicini svolse un ruolo significativo. Un risultato importante, atteso per vent’anni, che palesa come, pur con tempi dilatati, la giustizia per i crimini dei gruppi paramilitari sponsorizzati dallo stato sia un obiettivo raggiungibile. Un risultato che potrebbe quindi avere eco concreta nell’attuale realtà geopolitica europea, e che potrebbe tradursi nella volontà di raccogliere il – già forte – desiderio degli ucraini di trovare uno spazio internazionale dove giudicare i responsabili dei crimini di guerra commessi dalle milizie russe nella loro terra.

Foto: n1info.ba 

Chi è Paolo Garatti

Storico e filologo, classe 1983, vive in provincia di Brescia. Grande appassionato di Storia balcanica contemporanea, ha vissuto per qualche periodo tra Sarajevo e Belgrado dove ha scritto le sue tesi di laurea. Viaggiatore solitario e amante dei treni, esplora l'Est principalmente su rotaia

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