Se sono pochi i lungometraggi est europei a Cannes, le sezioni dei corti presentano una vasta selezione proveniente prevalentemente dalla Polonia.

CINEMA: Cannes, i corti dell’Est

Se sono pochi i lungometraggi est europei a Cannes, le sezioni dei corti presentano una vasta selezione proveniente prevalentemente dalla Polonia, ma non solo.

Il cinema corto spesso viene sottovalutato, eppure è un esercizio filmico degno di nota e che spesso permette di identificare i talenti dei cineasti del futuro. A Cannes, le tre sezioni principali in cui si suddivide il festival – la selezione ufficiale, la Sémaine de la Critique e la Quinzaine des Cineastes – ciascuno includono anche una sezione dedicata ai corti. Si segnala che a presiedere la giuria del concorso cortometraggi della selezione ufficiale è Ildikó Enyedi, regista ungherese di massimo livello, premio Camera d’Or a Cannes per il suo debutto Il mio XX Secolo ed Orso d’oro – nonché candidatura agli oscar – per Corpo e Anima. La sua opera più recente, Storia di Mia Moglie, è stata presentata in concorso sempre a Cannes nel 2021 ed ha avuto la sua anteprima italiana al Trieste Film Festival – seguito da un’uscita nelle sale.

In totale sono cinque le opere brevi provenienti dall’Est e presentati alla croisette.

27 di Flora Anna Buda

L’animazione in ungheria ha una tradizione ben consolidata ed anche oggi persistente, si pensi a White Plastic Sky presentato alla scorsa Berlinale, per cui non deve sorprendere che l’opera ungherese presentata nel concorso corti di Cannes sia un film animato – destinato ad un pubblico adulto. Al suo ventisettesimo compleanno, Alice, che vive ancora con i genitori, sente un’esplosione di ribellione che si manifesta molto a livello sessuale, ma che al suo interno presenta anche molte altre insicurezze giovanili legati alla maturazione all’età adulta, alle difficoltà economiche che non permettono l’indipendenza dalla famiglia di origine. Attraverso immagini surreali, caricati di eros, si crea un’atmosfera irriverente, assurda ed unica. 27 ha ottenuto la palma d’oro al miglior cortometraggio.

As it was di Anastasyia Solonevich e Damian Kocur

Il regista polacco Damian Kocur, appena reduce dalla vittoria del premio della giuria Orizzonti a Venezia per il suo debutto Chleb i Sol, si affianca alla esordiente ucraina Anastasyia Solonevich per raccontare un argomento per lei molto autobiografico: il ritorno a Kyiv di una ragazza ucraina, fuggita a Berlino all’inizio della invasione russa. Si ripropone la tecnica che ha caratterizzato Chleb i Sol, l’uso di attori non-professionisti e l’implemento di improvvisazioni e di aneddoti personali, ma in As it Was il risultato è più scioccante: ritroviamo i giovani ucraini ad una festa mentre raccontano loro esperienze al fronte, si vantano del numero di russi uccisi. Caratterizzato da una fotografia molto bella, è forse il corto est europeo presentato a Cannes di più alto spicco, e che si auspica possa lanciare Anastasyia Solonevich per una carriera di successo quanto quella del co-regista (che, tra l’altro, compare in un cameo ad inizio film).

The Real Truth about the fight di Andrea Slaviček

Il corto di produzione croata segue la narrazione di una ragazza preadolescente, che racconta come voce narrante la “verità” riguardo ad uno scontro avvenuto con alcune compagne di scuola. Non è un film appesantito da tematiche di disagio giovanile come il bullismo, ma piuttosto la trasposizione filmica accurata di un discorso confuso, con continue digressioni, molto veritiero a come un’adolescente estroversa potrebbe raccontare ad un’amica un pettegolezzo. Il film, dalla velocità molto incalzante, scherza giocosamente con i mezzi del cinema, compiendo spesso brecce nella quarta parete o saltando da un evento all’altro. Impossibile non restare divertiti ma anche confusi alla conclusione del corto, presentato alla Sèmaine de la Critique.

Krokodyl di Dawid Bodziak

Altro corto della semaine è l’opera di laurea del regista polacco, appena laureatosi alla prestigiosa scuola del cinema di Lodz, Krokodyl viene descritto come un Neo-Giallo, dato che eredita dal cinema horror a cui si legano i nomi di Dario Argento e Mario Bava la presenza di scene violentissime molto estetizzate e l’illuminazione a colori molto accentuati, atmosferica, alla Suspiria. Difficile descriverne la trama, molto non-lineare e contraddittoria. In qualche modo un argomento più accentuato è quello della violenza nei videogiochi, ed il suo effetto sulle persone e sui bambini. Bodziak ha raccontato che il videogioco che si vede nel film non è solo un’animazione di computer grafica ma che era veramente giocabile, sviluppato ad hoc per le scene del film, una scelta che forse non ha molti precedenti nel cinema. Non è un film senza imperfezioni, in primis la trama molto contorta e poco seguibile, ma suggerisce comunque una visione registica peculiare che potrebbe rivelarsi sorprendente.

I saw the face of the devil di Julia Kowalski

Regista nata in Francia ma di origini polacche, ha spesso esplorato nelle sue opere la propria identità molteplice. Il corto che ha presentato alla Quinzaine des Cineastes anch’esso in un certo senso ritorna sull’argomento: ambientato in un villaggio rurale polacco, il film segue una ragazza che si rivolge al prete locale per un esorcismo. Opera di finzione derivante dalle ricerche compiute per il suo prossimo lungometraggio, che analizzerà il rapporto tra il femminile ed il mistico, ha anche una vena semi-parodistica, con vari riferimenti a L’Esorcita di William Friedkin.

Chi è Viktor Toth

Cinefilo focalizzato in particolare sul cinema dell'est, di cui scrive per East Journal, prima testata a cui collabora, aspirante regista. Recentemente laureato in Lingue e Letterature Straniere all'Università di Trieste, ha inoltre curato le riprese ed il montaggio per alcuni servizi dal confine ungherese-ucraino per il Telefriuli ed il TG Regionale RAI del Friuli-Venezia Giulia.

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