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UCRAINA: Genocidio, pulizia etnica e stupro. Facciamo ordine

Le atrocità commesse dai russi nel corso di questi primi due mesi di guerra hanno spinto molti osservatori e politici a parlare di genocidio, pulizia etnica o stupro etnico. Cosa c’è di vero? Per come stanno le cose adesso, non molto.

Le reciproche accuse di genocidio

L’accusa di genocidio è quella che viene ripetuta con maggiore insistenza. Il “crimine dei crimini” è stato fin qui effettivamente compiuto? Secondo il presidente americano, Joe Biden, gli attacchi contro obiettivi civili in Ucraina configurerebbero un genocidio. Della stessa opinione è il presidente ucraino, Volodymyr Zelens’kyj, che ha fin da subito accusato il Cremlino di aver messo in campo uno sterminio organizzato. Anche il presidente russo, Vladimir Putin, ha più volte parlato di “genocidio” della popolazione russofona del Donbass, questa volta perpetrato dagli ucraini, come una delle ragioni che hanno spinto Mosca all’intervento militare. Si tratta tuttavia di dichiarazioni politiche, atte a demonizzare l’avversario e trovare giustificazioni per la guerra davanti all’opinione pubblica.

Cos’è il genocidio

Nel diritto internazionale penale, il genocidio è la distruzione pianificata di un popolo – inteso come gruppo etnico, religioso o nazionale – e può riguardare anche solo una parte della popolazione, purché sia dimostrata l’intenzionalità. Il concetto risale al 1948, quando l’ONU ha adottato una convenzione che punisce questo particolare crimine, dandone una definizione poi accolta nel Diritto penale internazionale. Il precedente principale è quello ex-jugoslavo che ha spinto a ridefinire parte del concetto: con la sentenza del 2004 nota come sentenza Krstic’ il Tribunale penale internazionale dell’Aja per l’ex Jugoslavia (ICTY) ha introdotto l’idea di genocidio anche in una sola regione e anche in presenza dell’annientamento di un solo genere. A costringere i giudici a rivedere il concetto giuridico di genocidio è stato il massacro di Srebrenica.

Annientamento di genere

Tra i 7.412 morti di Srebrenica non c’erano donne. Gli uomini furono separati, trasportati fuori città e uccisi nella convinzione di cancellare in tal modo la presenza dell’intera comunità bosgnacca. Alla base di questa convinzione stava la cultura patriarcale che vede nell’uomo il continuatore della gens. Uccidere gli uomini significava, agli occhi degli assassini, uccidere il popolo. L’intenzione e la pianificazione di quanto avvenuto a Srebrenica bastano a configurarlo come genocidio, anche se non tutto il popolo è stato eliminato, e malgrado i fatti si siano concentrati in una sola regione e contro un solo genere. La cosa più importante per definire un genocidio è quindi l’intenzione di volerlo compiere, e la pianificazione dello stesso.

Stupro etnico

Lo stupro è uno degli strumenti di terrore più largamente usati in guerra, a scopo di umiliazione o vendetta sul nemico. Quando però la violenza sessuale diventa “di massa” allo scopo di colpire la capacità riproduttiva del gruppo etnico nemico, ecco che lo stupro diventa strumento di pulizia etnica. Il valore del cosiddetto “stupro etnico” è quello di lasciare viva nella comunità la ferita della violenza, senza quindi uccidere la vittima. Inoltre, come dimostrato dalle molte testimonianze raccolte dall’ICTY, lo scopo dello stupro etnico – per come è stato praticato in ex-Jugoslavia – era quello di incidere, attraverso lo stupro, sulla composizione etnica futura della comunità aggredita. Aggressori e aggrediti, infatti, avevano in comune un’idea patriarcale della società nella quale il nascituro è visto come “figlio dell’uomo” e quindi – nel caso di violenza sessuale – dell’aggressore. A testimonianza di ciò ci sono i numerosi casi di donne stuprate e poi detenute fino a che non fosse più possibile abortire.

Pulizia etnica

L’espressione “pulizia etnica” va a indicare una serie di azioni criminali volte a rimuovere forzatamente una minoranza etnica da un certo territorio. L’eliminazione della minoranza è quindi un atto programmato e condotto attraverso molteplici interventi: deportazione, ghettizzazione e confinamento, violenza sessuale, detenzione arbitraria, tortura, omicidio, attacchi militari alla popolazione civile.

Quello in Ucraina è conflitto etnico?

Il conflitto ucraino non è un conflitto etnico. I due gruppi coinvolti – russi e ucraini – non appartengono, se non latamente, a gruppi etnici distinti. Entrambi sono infatti slavi orientali, d’identico ceppo linguistico, comune storia e tradizione culturale, religiosa e sociale. Inoltre, la presenza di russofoni tra le fila dell’esercito e della classe dirigente ucraina (lo stesso Zelens’kyj è russofono e ha dovuto imparare l’ucraino nel 2017, allorché ha iniziato la propria carriera politica) dimostrano l’infondatezza della chiave “etnica” per interpretare il conflitto. L’esercito russo, dal canto suo, annovera soldati siberiani, baschiri, ceceni, e non conduce una guerra “etnica” anzi, nella sua retorica, si propone di liberare un “popolo fratello”. Quella in Ucraina è una guerra tutta politica, delle cui cause abbiamo già scritto.

Genocidio, stupro e pulizia etnica in Ucraina

Le violenze sessuali emerse dai drammatici racconti dei sopravvissuti di Bucha non sembrano essere perpetrati al fine di colpire la capacità riproduttiva del nemico, quanto a terrorizzarlo e annichilirlo, fiaccandone le capacità di resistenza. Lo stupro, in guerra, è comunque un crimine perché colpisce la popolazione civile. In questo caso, però, non sembra essere lo strumento di una pianificata azione di pulizia etnica.

Le vittime civili dei bombardamenti non sono “danni collaterali”. I civili sono diventati bersaglio dell’aggressione russa non per caso, ma per una deliberata intenzione di colpirli, seminando così terrore e sgomento. Ma non siamo davanti a un genocidio in primo luogo perché manca l’intenzione di sterminare gli ucraini, di distruggerli come popolo. Stiamo assistendo a una guerra, e la guerra è così. Un atroce e disumano massacro. Vestire il massacro con i panni del genocidio non serve a renderlo più atroce. E sbaglia chi, mosso da convenienza politica, piega i concetti del diritto alla retorica di guerra. Non esiste una classifica dei crimini, e a nulla serve parlare di “genocidio” per farne uno slogan politico.

La “de-ucrainizzazione”

Le deliranti dichiarazioni pubblicate in un editoriale di Ria Novosti, agenzia di stampa di stato russa, in cui si affermava (oltre all’abituale de-nazificazione) la necessità di una “de-ucrainizzazione”, al punto che “il nome Ucraina non dovrà più essere usato”, accusando l’intera popolazione di essere complice di un regime “nazista” e quindi meritevole di morte, bambini compresi, ebbene tali dichiarazioni gettano un’ombra inquietante sulle intenzioni russe. Ma attribuire quelle parole fanatiche al Cremlino, e pensare che corrispondano con le intenzioni di Putin, sarebbe una forzatura. Certo, la guerra ci sta insegnando che non c’è limite alla barbarie, che ogni abominio è possibile, ma al momento la “de-ucrainizzazione” è folle propaganda, sinistro segnale dell’aria che si respira in Russia, ma non è ancora – e speriamo mai – programmata azione di sterminio di un popolo. Non abbiamo bisogno del nostro genocidio quotidiano. 

immagine da Depositphoto, licenza per uso editoriale non commerciale

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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