Russia obiettivi

RUSSIA: Obiettivi veri e presunti della guerra in Ucraina

Quali sono gli obiettivi di Vladimir Putin in questo conflitto? Perché il Cremlino si è lanciato in una guerra che a molti osservatori è sembrata dapprima impossibile e oggi appare inutile a fare gli interessi stessi della Russia? La sfera di cristallo non ce l’abbiamo, ma qualche considerazione possiamo cominciare a farla, distinguendo le ragioni addotte dal Cremlino – perlopiù caratterizzate da retorica e propaganda – e le motivazioni profonde, non espresse, della guerra.

Le “ragioni” di Mosca

Il Cremlino ha dichiarato di voler de-militarizzare e de-nazificare l’Ucraina, a questi obiettivi di breve termine si associa la volontà di impedire un allargamento della NATO in un paese considerato politicamente e storicamente parte della sfera di influenza russa. La guerra – che il Cremlino chiama “operazione speciale” – avrebbe quindi un carattere difensivo e si motiverebbe con la necessità di garantire la sicurezza del paese di fronte all’espansionismo occidentale. Non solo, l’intervento avrebbe anche lo scopo di proteggere la popolazione russofona da una persecuzione ai loro danni (che il Cremlino non esita a definire “genocidio”) ordita dal governo “nazista” di Kiev.

La questione NATO e la minaccia alla sicurezza russa

Tuttavia l’Ucraina non ha mai ospitato missili o armi puntate verso la Russia, e il paese è rimasto neutrale fino al 2019 quando – a seguito dell’aggressione in Crimea e Donbass – il governo di Poroshenko ha deciso di inserire in Costituzione l’adesione alla NATO. Il paese si trovava allora in piena campagna elettorale e il richiamo alla NATO era quindi pensato per ottenere consensi alle urne, e non ha avuto alcun seguito. Anzi, la vicenda dell’allargamento della NATO era congelata da tempo.

È vero che nell’aprile 2008 l’amministrazione americana aveva fatto vaghe promesse a Kiev in merito a una futura adesione ma l’invasione della Georgia da parte dei russi, nell’agosto dello stesso anno, aveva chiarito al mondo che Mosca non sarebbe rimasta a guardare. Da quel momento in poi, la questione è stata accantonata e nessun processo di integrazione alla NATO (Membership action plan) è mai stato avviato.

Nel dicembre 2021 il Cremlino ha chiesto il ritiro della NATO da tutti i paesi dell’Europa centro-orientale altrimenti l’invasione dell’Ucraina sarebbe stata inevitabile. Un vero e proprio ultimatum cui l’Alleanza Atlantica ha risposto proponendo una moratoria sull’ingresso di Kiev nella NATO e una reciproca trasparenza su manovre militari e schieramenti di armi convenzionali nell’Europa centro-orientale, impegnandosi infine a non installare mai missili o truppe nel paese. In verità non abbiamo il testo della proposta, che non è mai stata formalizzata davanti all’opinione pubblica, ma ne conosciamo i contenuti grazie al quotidiano americano Politico, che ha pubblicato i documenti. Abbiamo conferma del fatto che una simile proposta sia stata effettivamente avanzata dal fatto che il Cremlino ha reso pubblico il proprio rifiuto, motivandolo con la sfiducia verso Washington. Se Mosca avesse accettato avrebbe ottenuto quelle garanzie sulla propria sicurezza che andava chiedendo a gran voce. Ma non lo fa, perché? Perché quella dell’adesione NATO è una foglia di fico dietro cui celare altri obiettivi.

La de-nazificazione

Quello dei “nazisti a Kiev” è un vecchio refrain più volte utilizzato per delegittimare le forze politiche liberali e democratiche. Già nel 2004 Viktor Juščenko, poi eletto presidente dell’Ucraina sulla scorta della “Rivoluzione arancione”, venne accusato di essere un “nazista”. Siccome questo non servì a fermarlo, si decise di avvelenarlo con la diossina. Ma l’accusa di “nazismo” è un veleno altrettanto fatale, capace di penetrare l’opinione pubblica sia nell’Ucraina orientale, sia nella stessa Russia, grazie alla propaganda diffusa a reti unificate dal Cremlino. Tuttavia non ci sono nazisti al governo, né ci sono mai stati.

È vero che la fase più acuta della Rivoluzione di Maidan (2014) è stata dominata da gruppi di estrema destra, come il famoso Pravyj Sector, ed è vero che Oleh Tyahnybok, leader del partito neonazista Svoboda, cerco di accreditarsi come leader delle proteste, ma è anche vero che nessun movimento di estrema destra siede in parlamento. Alle elezioni del 2019 Svoboda ha raccolto il 2,9% dei voti, Pravyj Sector il 2,5% e il Partito Radicale di Oleh Liashko il 4,1%. Possiamo dire che gli ucraini non si riconoscano nell’estrema destra, visto che non la votano. Non possiamo dire lo stesso della Russia, dove il partito liberal-democratico di Vladimir Zhirinovsky ha ottenuto l’8% dei voti alle ultime elezioni, o dell’Italia, in cui un partito neo-fascista gode del 20% dei consensi nei sondaggi. Occorre quindi ribadirlo con forza: su una popolazione di 44 milioni di abitanti, i neonazisti si limitano a poche migliaia di persone. Gli ucraini non si riconoscono e mai si sono riconosciuti nei movimenti di estrema destra.

Il genocidio nel Donbass

Come ampiamente spiegato qui, in Donbass non ha avuto luogo una guerra civile tra ucraini di lingua russa. Nel Donbass si è assistito a uno “scenario crimeano”, con agitatori e milizie giunte dalla Russia. Non si può negare che la fuga di Yanukovich, nel 2004, abbia generato confusione e sentimenti contrastanti tra coloro che lo ritenevano un traditore e quelli che sentivano invece di aver perso un punto di riferimento a Kiev (Pishchikova, 2019).

È vero che nel Donbass hanno operato truppe paramilitari che si sono rese protagoniste di crimini di guerra. I famigerati battaglioni Azov o Aidar, composti da membri dei suddetti movimenti neonazisti, sono ridotti a poche migliaia di uomini, peraltro dal 2015 integrate nell’esercito e quindi soggette a un relativo controllo militare.

Quello che non viene detto è che il finanziamento dell’estrema destra ucraina è il risultato dell’azione di oligarchi come Igor Kolomoisky, già governatore di Dnipro, abile a creare e finanziare questi gruppi al fine di usarli come leva interna, minacciando la stabilità del paese. Più che una genuina espressione del nazismo degli ucraini, questi estremisti sono stati creati in provetta da oligarchi impegnati nella lotta per il potere.

I veri obiettivi di Mosca, un’Ucraina sottomessa

L’imprevedibilità della guerra e dei suoi sviluppi rende difficile fare previsioni sui possibili obiettivi politici e miliari di Mosca. Tuttavia alcuni elementi sembrano chiarirsi.

Anzitutto il Cremlino intende riportare l’Ucraina sotto il proprio controllo, il paese è infatti centrale per i disegni di potenza russi: “L’Ucraina è fondamentale perché la Russia possa essere una grande potenza. Senza l’Ucraina, la Russia cessa di essere un impero, ma con un’Ucraina subordinata o sottomessa, la Russia diventa automaticamente un impero” dichiarò, nel lontano 1994, Zbigniew Brzezinski, già consigliere per la sicurezza del presidente americano Jimmy Carter. Sottomettere l’Ucraina è diventato necessario dal momento che il paese aveva imboccato, nel 2014, la via dell’occidentalizzazione. Prima di quella data, l’Ucraina era un paese subalterno, dominato da un’oligarchia corrotta e vicina agli interessi del Cremlino. Due rivoluzioni hanno però mostrato come larga parte della popolazione ucraina non condividesse le scelte politiche degli oligarchi asserviti alla Russia. Liquidare la statualità ucraina è l’obiettivo più evidente dell’aggressione russa.

Un modello da cancellare

Pur tra molti limiti, contraddizioni e difficoltà, l’Ucraina post-Maidan ha dato vita a una società aperta, plurale, segnata da un progressivo incremento delle libertà individuali e politiche, e da un’economia in crescita. La prossimità storica e culturale dell’Ucraina aumenta i rischi di contagio democratico nella vicina Russia. Evitare diffondersi pluralismo politico e benessere economico in paesi vicini, pericolosi «modelli» per l’opinione pubblica russa, diventa quindi un imperativo per il Cremlino.

“Ciò che molto probabilmente Putin va cercando è la dimostrazione che l’Ucraina è uno stato fallito […] Per Mosca l’Ucraina è una minaccia perché è diventata il simbolo di una europeizzazione e una democratizzazione riuscita” scrive Simone Attilio Bellezza, ricercatore di Storia contemporanea, Università Federico II di Napoli, nel suo ultimo – e necessario – libro “Il destino dell’Ucraina, il futuro dell’Europa” (Scholé 2022). L’impressione è che la guerra, comunque vada a finire, porterà al risultato sperato dal Cremlino. L’Ucraina post-bellica faticherà a ritrovare gli spazi di libertà e il benessere che aveva costruito negli ultimi anni.

Un nuovo ordine mondiale

L’aggressione russa dell’Ucraina ha portato alla luce la visione che il Cremlino ha delle relazioni internazionali. Un mondo fatto di grandi potenze – Stati Uniti, Russia e Cina – che si spartiscono il potere globale dividendolo in sfere di influenza. Non si tratta quindi di una visione multipolare, in cui diversi attori politici concorrono alla sicurezza mondiale, comprese le potenze regionali emergenti nel continente africano, asiatico o latinoamericano, ma di una versione novecentesca degli equilibri internazionali che – è bene ricordarlo – esclude l’Europa, ridotta a campo da gioco per le opposte potenze.

Quale futuro per l’Europa?

Nel chiedere lo smantellamento della NATO dai paesi dell’Europa centro-orientale, la Russia ha espresso chiaramente che idee ha sul futuro del vecchio continente. Per questo la guerra in Ucraina è una minaccia per tutti noi. La Russia punta al fallimento del progetto europeista – lo ha sempre fatto, finanziando partiti euroscettici e diffondendo propaganda anti-europea dai suoi media di regime. E occorre ricordare che, per quanto imperfetto, criticabile e magari persino deprecabile, il processo di unificazione europea rappresenti l’unica via d’uscita dalla sottomissione alle grandi potenze, americana o russa, che da un secolo influenzano la vita politica ed economica del nostro continente.

Conclusione

Gli obiettivi di Mosca vanno quindi molto oltre i confini dell’Ucraina, e ci riguardano tutti. Sarebbe ora di capire la minaccia che la Russia rappresenta per la nostra sicurezza, il nostro stile di vita, la nostra economia, rifiutando le retoriche che il Cremlino è abile a diffondere, facendo presa su antiche paure e vecchie ideologie. In gioco c’è molto di più che il futuro di Kiev.

Immagine da Unsplash, di Kevin Schmid

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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