Il 30 novembre del 1939 otto bombardieri sovietici Tupolev SB-2 tormentano la città di Helsinki, presa di mira a causa del cattivo tempo che non permette ai piloti di colpire il porto, reale obiettivo dell’aviazione sovietica. A farne le spese sono un centinaio di civili finlandesi che muoiono sotto i bombardamenti.
È così che inizia la Guerra d’inverno tra l’URSS e la Repubblica di Finlandia, un conflitto che metterà in mostra tutta la debolezza dell’Armata Rossa agli inizi della Seconda guerra mondiale ma che si concluderà con una vittoria sovietica e la firma del Trattato di pace di Mosca nel marzo del 1940.
Finlandia e URSS, un passato tormentato
Granducato autonomo dell’Impero Russo dal 1809, la Finlandia raggiunse la piena indipendenza politica il 6 dicembre 1917, subito seguita da una cruenta guerra civile che vide, sulla scia della Rivoluzione d’ottobre, “rossi” e “bianchi” contendersi il potere.
A uscire fuori dalla pozza di sangue della guerra civile fu un’élite politica conservatrice culturalmente vicina alla Germania. Nel 1918, mentre nei territori dell’ex Impero zarista infuriava la guerra civile, la Finlandia apriva il proprio territorio alle truppe tedesche, mentre l’anno successivo concedeva al Regno Unito l’uso delle sue basi navali per attaccare quelle russe.
Impegnati simultaneamente nella guerra civile e nel conflitto contro la Polonia, i bolscevichi firmarono nel 1920 un trattato di pace con la Finlandia tanto necessario quanto svantaggioso: il confine veniva eroso con la perdita della Carelia orientale e di altri territori. Leningrado si trovava ora a soli 32 chilometri dalle frontiere finlandesi.
La vicinanza finlandese alla Germania nazista
Le condizioni per avere buoni rapporti diplomatici tra i due paesi naufragarono definitivamente durante gli anni ’30, quando la Finlandia intensificò le collaborazioni militari con Berlino. Nell’estate del ‘39 il governo organizzò grandi manovre militari al confine, rafforzando le fortificazioni lungo tutta la frontiera dell’istmo careliano grazie all’aiuto dei militanti della Società Accademica di Carelia (Akateeminen Karjala-Seura), un movimento studentesco di estrema destra.
Mantenere i confini stabiliti nel 1920 significava per la Finlandia non cedere di fronte a un vicino percepito come nemico “naturale” degli interessi nazionali. Le attività militari al confine erano parallele ad un viscerale sentimento antirusso fomentato da diversi gruppi di estrema destra non estranei alla retorica razzista, come il Movimento di Lapua e la Guardia Civile.
Uno stato di cose, questo, che non poteva non indispettire i sovietici.
La difesa del socialismo in un solo paese
Durante gli anni ’30 l’Unione Sovietica guidata da Iosif Stalin si era compattata intorno al principio del socialismo in un solo paese e agiva seguendo l’interesse strategico dello stato. La sicurezza e la difesa dell’Unione dai potenziali nemici esterni era diventata, agli occhi dell’élite sovietica, un elemento essenziale per la sopravvivenza del socialismo nel mondo.
Poco importava che la difesa in questo caso doveva declinarsi in attacco. Piegare militarmente la Finlandia, una repubblica ostile all’URSS e vicina alla Germania nazista, significava liberarsi di una grave minaccia a pochi chilometri da Leningrado, che rimaneva una città cruciale non solo dal punto di vista strategico, ma anche sotto il profilo simbolico, portando essa il nome del padre della rivoluzione bolscevica, Lenin.
Falliti i negoziati per sbloccare la situazione pacificamente, non rimaneva per Mosca altra soluzione che la guerra. Una guerra che Stalin immaginava veloce e indolore e che si tramutò invece in un pantano da cui sarebbe stato difficile uscire.
L’offensiva sovietica
A fine novembre alcuni soldati sovietici caddero sotto i colpi sparati dall’artiglieria finnica nei pressi del villaggio di frontiera di Mainila. Sebbene la Finlandia contestasse questa versione dei fatti, l’episodio costituiva per l’URSS il casus belli perfetto per incominciare una guerra ritenuta ormai inevitabile.
Il conflitto si svolse in una lunga striscia di terra che andava dal Mare Glaciale Artico a nord all’immenso lago Ladoga a sud. Un contesto caratterizzato dalla tundra artica e da fitte foreste, decine di migliaia di laghi, fiumi e paludi che tappezzavano tutto il confine fino all’istmo di Carelia, dove erano posizionati i sistemi difensivi della Linea Mannerheim.
L’arrivo prematuro delle nevicate, la morfologia del terreno e la mancanza di strade per gli spostamenti dei veicoli su ruote e cingoli furono un’ulteriore spina nel fianco dell’Armata Rossa. A peggiorare la condizione dei sovietici fu poi il gelo eccezionale dell’inverno ’39-’40, con temperature che raggiunsero anche i 70 °C sottozero.
Nonostante le difficili condizioni territoriali e atmosferiche, nei primi giorni di dicembre le truppe sovietiche, numericamente superiori (540.000 uomini a fronte di 300.000 finlandesi) e dotate di un importante mole di carri armati veloci, cannoni e aerei, avanzarono senza incontrare una grossa resistenza.
A nord la 14ª Armata occupò presto il porto di Petsamo e si arrestò a Kemijärvi, dove si stabilì la linea difensiva finlandese. Più a sud, l’Armata Rossa avanzò fino al villaggio di Suomussalmi mentre in Carelia i finlandesi fermarono la marcia dell’8ª Armata sulle sponde del fiume Kollaanjoki.
La risposta finlandese
Passata la prima settimana, l’esercito finlandese riuscì ad arginare l’avanzata sovietica e poi a infliggere pesantissime sconfitte all’Armata Rossa (celebri furono le battaglie di Tolvajärvi e Raate). La conoscenza del territorio permise infatti ai reparti dell’esercito di muoversi con velocità anche in pessime condizioni atmosferiche, mentre i sovietici arrancavano nelle poche strade percorribili immerse tra foreste e paludi.
La guerriglia messa in atto dalla fanteria finlandese si rivelò fortunata. Spostandosi velocemente lungo i fianchi delle colonne sovietiche, i finlandesi riuscivano a infliggere attacchi rapidi in diverse parti delle colonne per poi dileguarsi agilmente nella foresta. Così facendo, le truppe dell’Armata Rossa venivano spezzate e successivamente circondate e distrutte. Questa tattica venne battezzata “motti”, che nella lingua finlandese indica la legna accatastata prima di essere tagliata.
A differenza della controparte sovietica, l’esercito finnico era dotato di un equipaggiamento consono ad affrontare il durissimo inverno e che permetteva di muoversi con agilità: sci, tute mimetiche bianche e tende riscaldate furono fattori chiave per la buona riuscita della guerra.
Eccezionale fu anche l’apporto dei caccia dell’aviazione finlandese, con i Fokker D.XXI che si rivelarono padroni dei cieli al cospetto di un nemico tanto superiore in termini numerici quanto male addestrato e poco motivato.
La fine della prima fase della guerra e la sconfitta sovietica
Dopo la cocente sconfitta nella Battaglia di Summa (17-20 dicembre), che aveva causato la distruzione di 239 carri sovietici, era ormai evidente che la prima fase della guerra aveva segnato una sconfitta umiliante per i sovietici, che uscivano dall’offensiva fortemente ridimensionati nello spirito e nelle risorse.
Furioso con i suoi subordinati, Stalin fu afflitto dal danno d’immagine che l’Armata Rossa aveva subito di fronte al mondo, piegata in un mese da un avversario che sulla carta doveva essere spazzato via in poche settimane.
Tuttavia, una parte delle colpe per il fallimento dell’offensiva ricadevano proprio sulla superficialità dimostrata dal Segretario generale del PCUS. Durante la fase di preparazione alle operazioni militari, Stalin di fatto sminuì le preoccupazioni di Boris Michajlovič Šapošnikov, capo di stato maggiore dell’Armata Rossa.
Šapošnikov, cosciente delle potenzialità della controparte finlandese, aveva ammonito Stalin della necessità di una addestramento mirato delle truppe da inviare in Finlandia e chiesto l’impiego delle forze migliori dell’Armata Rossa. Tutte richieste snobbate dal leader georgiano.
Un errore pagato a caro prezzo e a cui l’URSS rimedierà versando un tributo di sangue altissimo durante la seconda fase della Guerra d’inverno, di cui parleremo nel prossimo articolo.
Foto: Finnish Wartime Photograph Archive