Lenin, foto di Goldshtein G.

Lenin, la tenacia di un (ex) sconfitto

Il 22 aprile del 1870 nasce a Simbirsk Vladimir Il’ič Ul’janov, meglio conosciuto con lo pseudonimo di Lenin: un uomo che oggi trascina con sé un secolo e mezzo di storia.

A 150 anni dalla nascita il rivoluzionario russo continua ad esercitare un sincero fascino su fiumi di studiosi e generazioni di militanti comunisti. Allo stesso modo, le vicende storiche che avvolgono la sua figura causano lo sdegno, la condanna e l’odio ideologico dei suoi detrattori.

Quello che rimane difficile da confutare è il ruolo di protagonista che Lenin ha svolto nella Rivoluzione d’ottobre, uno degli eventi chiave della storia del ‘900.  Una rivoluzione che stravolse i rapporti tra le classi dando vita al più imponente esperimento di ingegneria sociale del XX secolo, la costruzione dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS).

Lenin è riuscito a materializzare le sue utopie (o almeno una parte di esse). La sua parabola politica si è conclusa con un irripetibile successo: la presa del Palazzo d’Inverno e la nascita di un nuovo sistema socioeconomico. Tuttavia, è altrettanto evidente che l’esistenza di Lenin è stata costellata di sconfitte, delusioni e privazioni (tanto materiali quanto spirituali) a cui il rivoluzionario ha risposto con un’incrollabile tenacia durante tutto l’arco della vita.

Lenin si è infatti distinto per la straordinaria capacità di resistenza ai fallimenti che hanno infestato il suo cammino umano e politico.

Una storia di lotte e sconfitte

Nato in un’agiata famiglia borghese, all’età di 17 anni perde il fratello maggiore Aleksandr, impiccato dalle autorità zariste nel maggio del 1887 a causa del coinvolgimento in un fallito attentato allo zar Alessandro III. Un evento che segna profondamente l’adolescente Ul’janov e che lo spinge verso l’impegno politico contro l’autocrazia.

Congedata velocemente l’organizzazione rivoluzionaria Narodnaja Volja, Lenin si avvicina con crescente interesse alle letture di K. Marx ed F. Engels, da cui rimane folgorato. Entra nel Partito Operaio Socialdemocratico Russo (POSDR) diventando in pochi anni uno dei maggiori teorici del marxismo in Russia. A seguito delle idee espresse nel “Che fare”, celebre opera programmatica scritta tra il 1901 e il 1902, causa la scissione tra bolscevichi e menscevichi. Il suo attivismo lo porta a vivere l’esperienza della prigionia e del confino. È poi esule in Svizzera, Francia e Germania.

Nel gennaio del 1904, deluso dal Comitato centrale del POSDR, si dimette da tutte le cariche: i bolscevichi si sono allineati con i menscevichi contro la sua proposta di convocare un nuovo congresso. Vladimir Ul’janov ha 34 anni e Julij Martov (leader della corrente menscevica e tra i suoi principali oppositori sul piano teorico) lo considera politicamente finito.

L’anno successivo ritorna a Pietroburgo sotto il falso nome di Karpov; vorrebbe i bolscevichi alla testa della rivolta popolare scoppiata a gennaio, ma il suo appello per un’insurrezione non viene ascoltato. I menscevichi tollerano malvolentieri il suo appoggio alle azioni violente come le rapine in banca e l’espropriazione dei terreni; Lenin spinge quindi la corrente bolscevica ad affrancarsi dal resto del partito ma il gruppo da lui guidato non ha intenzione di troncare i rapporti con l’altra corrente: nell’aprile del 1905 si tiene il III Congresso del POSDR ed entrambi le fazioni sono presenti.

Dopo il fallimento della rivoluzione del 1905 e il ripristino dell’autocrazia Lenin fugge in Finlandia e nel dicembre del 1908 si trasferisce a Parigi. Sarà esule ancora per 9 anni. Vive tra Londra, Parigi, Cracovia e Berna senza perdere di vista la necessità di realizzare organicamente la rivoluzione nella sua madrepatria. Nel 1912 organizza una conferenza a Praga con l’intenzione di rafforzare la sua posizione all’interno del partito, ma i suoi metodi di lotta vengono aspramente criticati dai membri convocati per l’evento, membri la cui maggioranza (16/18) è bolscevica: l’ennesima sconfitta, l’ennesimo insuccesso.

Il riscatto

L’opportunità di recuperare una carriera politica fino a quel momento deludente nei risultati si concretizza solo nell’aprile del 1917, durante la fase finale del Primo conflitto mondiale: la rivoluzione di febbraio e il crollo dell’impero dello zar Nicola II hanno permesso la nascita della Repubblica russa e la formazione di un Governo provvisorio. Lenin ha 47 anni e si avventura nel viaggio sul treno piombato che lo riporterà a casa.

Una volta rientrato in Russia non si limita a svolgere una parte marginale nel nuovo mondo che prende forma. Lenin vuole dare a quel mondo la forma da lui concepita: collaborare con la repubblica parlamentare significherebbe assecondare le barbarie della guerra imperialista e rinunciare all’ipotesi di una rivoluzione proletaria. Rifiuta persino l’idea che la realizzazione del socialismo sia un compito necessario nell’immediato.

Racchiude questi ed altri punti cardine del suo pensiero nelle “Tesi di aprile” e al momento opportuno riesce, complici i risultati disastrosi del governo provvisorio guidato da Aleksandr F. Kerenskij, ad organizzare un’insurrezione armata. Il 25 ottobre (calendario giuliano) 1917 i bolscevichi conquistano il Palazzo d’Inverno: è l’inizio di un nuovo capitolo non solo della vita del rivoluzionario originario di Simbirsk, ma della Russia e del mondo intero.

L’eredità politica di Lenin

Quello che per Lenin e i bolscevichi fu un riscatto a lungo cercato (la fine della democrazia borghese, la vittoria della guerra civile e la nascita di un sistema monopartitico) si rivelò per altri un terribile epilogo. Fare un bilancio degli stravolgimenti successivi alla Rivoluzione d’ottobre e all’instaurazione della dittatura comunista diventa un compito arduo, e non può che portare a conclusioni e giudizi divergenti a seconda della sensibilità politica di chi si avventura in questo compito.

Il rifiuto di Lenin al compromesso, l’idea di non lasciarsi corrompere dalle conquiste spesso effimere del presente rimane però un insegnamento valido per ogni uomo politico che ha a cuore la lotta alle disuguaglianze e l’emancipazione delle classi subalterne. Una lotta indispensabile oggi esattamente come 150 anni fa: è questa la lezione più alta che ha lasciato in eredità il rivoluzionario russo.

Chi è Stefano Cacciotti

Sono nato a Colleferro (RM) nel '91 mentre i paesi del socialismo reale si sgretolavano. Sociologo di formazione, ho proseguito i miei studi con una magistrale sull'Europa orientale (MIREES) e un master in Comunicazione storica.

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