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BALCANI: Pubblicato il nuovo “pacchetto allargamento” Ue

Da ormai quasi un decennio, la politica di allargamento dell’Unione Europea nei confronti dei suoi vicini balcanici vive una fase complicata, fatta più di bassi che di alti. Dopo l’adesione della Croazia nel luglio 2013, l’azione dell’Unione ha dovuto fare i conti con quella che molti analisti chiamano “fatica dell’allargamento”. Uno stallo provocato da un’azione spesso inefficace dell’Unione, da una progressiva regressione democratica dei paesi coinvolti, dalla mancata risoluzione delle controversie regionali e da risultati economici ben al di sotto delle aspettative.

Nonostante le difficoltà legate alla crisi pandemica, il 2020 si è caratterizzato per un rinnovato impegno europeo, almeno a parole. Il veto posto ad ottobre 2019 dal presidente francese Emmanuel Macron sull’avvio dei negoziati con Albania e Macedonia del Nord era stato accompagnato dalla presentazione di una nuova strategia per l’allargamento la cui adozione, nel marzo di quest’anno, ha permesso di dare il via libera alle negoziazioni con i due paesi.

I report della commissione

Il 6 ottobre, la Commissione Europea ha pubblicato il “pacchetto allargamento”, le relazioni annuali (quest’anno estremamente lunghe) che valutano l’attuazione delle riforme fondamentali nei Balcani Occidentali.

Analizzando i singoli rapporti nazionali è possibile rintracciare alcuni elementi comuni a tutti i paesi. Innanzitutto il complicato quadro economico provocato dalla pandemia che ha praticamente cancellato i progressi fatti registrare negli ultimi anni soprattutto in termini di crescita del PIL, riduzione della disoccupazione e lotta all’economia sommersa.

Altro elemento comune è la debole lotta alla corruzione. Uno dei limiti principali alla credibilità delle classi dirigenti e che necessita di ulteriori e significativi sforzi. Un problema aggravato da un’insufficiente lotta alla criminalità organizzata che può contare ancora su una significativa penetrazione nel tessuto economico regionale.

Preoccupazioni derivano anche dal basso livello di libertà dei media, spesso controllati dai partiti politici e vittime di censura in tutti i paesi. Un quadro reso ancor più complicato dal non corretto funzionamento della magistratura, la cui autonomia è spesso limitata da influenze politiche.

A questi problemi comuni si aggiungono inoltre elementi specifici di ogni singolo paese. L’Albania si è caratterizzata per una forte polarizzazione politica con il boicottaggio dei lavori parlamentari da parte delle opposizioni. Per quanto riguarda il Kosovo, una delle preoccupazioni maggiori deriva dall’instabilità del quadro politico e dalla mancata risoluzione delle controversie con la Serbia. Serbia che, a differenza del Kosovo, fa registrare un’eccessiva stabilità politica caratterizzata dallo strapotere del partito di governo, il Partito Progressista Serbo (SNS) del presidente Aleksandar Vučić, e dall’assenza di un’opposizione parlamentare. In Montenegro, nonostante le elezioni del 30 agosto siano state “competitive e trasparenti”, la Commissione ha registrato un “clima di tensione e sfiducia” alimentato dallo scontro tra la Chiesa Ortodossa Serba e il governo. Ancora più complicata la situazione della Bosnia-Erzegovina, la cui Costituzione continua a violare la Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU). In riferimento all’emergenza migranti, l’Ue “esorta le autorità ad adottare con urgenza tutte le misure necessarie per evitare che si sviluppi una crisi umanitaria”.

I report non hanno solo evidenziato limiti ma anche sottolineato alcuni importanti progressi come nel caso della Macedonia del Nord che ha fatto registrare una buona collaborazione politica, una maggiore trasparenza dei lavori parlamentari e una situazione interetnica “nel complesso calma” con un buon livello di partecipazione della società civile.

Il nuovo piano di investimenti

La pubblicazione dei rapporti è stata accompagnata dalla presentazione di un piano di investimento e sviluppo volto a “sostenere la ripresa economica e la convergenza”. Il piano prevede un impegno economico complessivo di 9 miliardi di euro nel prossimo settennato, destinati principalmente al settore dei trasporti, all’energia e alla transizione ecologica. Proprio quest’ultimo punto sarà al centro del summit di Sofia, il 10 novembre prossimo, dove si spera di poter adottare una comune “agenda verde”.

Secondo le stime della Commissione, il piano dovrebbe catalizzare risorse per circa 20 miliardi di euro nel prossimo decennio. Una cifra considerevole che rientrano tra quelle già stanziate dagli Strumenti di Assistenza Pre-Adesione (IPA III), circa 14,5 miliardi complessivi per il periodo 2021-2027. Per la Commissione, il piano sarà “un fattore chiave per facilitare l’aumento degli investimenti pubblici e privati nella regione da parte di istituzioni finanziarie europee e internazionali”.

L’importanza del nuovo piano è stata sottolineata dal viaggio nella regione, la settimana scorsa, del Commissario per il Vicinato e l’Allargamento Oliver Varhelyi. Durante il suo tour il Commissario ha parlato ai parlamenti nazionali e ha incontrato sia capi di stato e primi ministri che i leader delle opposizioni, con l’obiettivo di ottenere il massimo supporto bipartisan. Varhelyi ha ribadito per l’ennesima volta che il futuro dei Balcani occidentali è nell’Unione Europea, con la promessa fatta ad Albania e Macedonia del Nord di convocare la prima Conferenza Intergovernativa entro la fine dell’anno.

Passare dalle parole ai fatti, ottenendo risultati soddisfacenti in grado di trasformare la “fatica” in un nuovo slancio, sarà la sfida più impegnativa dei prossimi anni. Non solo per l’Unione Europea, la cui politica di allargamento necessita di un cambio di direzione e di una maggiore concretezza, ma anche per i singoli paesi candidati che dovranno dimostrare di voler attuare le riforme richieste per l’adeguamento al cosiddetto acquis comunitario.

Immagine: picture-alliance/Photoshot/Qian Yi

Chi è Marco Siragusa

Nato a Palermo nel 1989, ha svolto un dottorato all'Università di Napoli "L'Orientale" con un progetto sulla transizione serba dalla fine della Jugoslavia socialista al processo di adesione all'UE.

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